domenica 20 dicembre 2009

LA LETTERA. Siamo sicuri che la cura per i disagi giovanili sia imbottire i ragazzi di farmaci?

Egregio Direttore,
ho letto che il 27 ottobre c.a., alcuni deputati siciliani hanno presentato all'Assemblea regionale il disegno di legge n. 482 di iniziativa parlamentare, dal titolo: "Disposizioni in materia di disturbi di specifici di apprendimento".
Sembra che siano bastate due lettere al giornale La Sicilia, per avere dopo 10 giorni una proposta di legge presentata al Parlamento siciliano. Una lettera di una mamma di Vicenza, che ha decantato i benefici ricevuti dal figlio che, grazie all'essere stato riconosciuto dislessico, è stato opportunamente aiutato a recuperare il processo di apprendimento e l’altra di un preside che lamenta che la certificazione di dislessia non figurando tra gli handicap non prevede l’insegnante di sostegno. Una tempestività che sorprende se il tutto non facesse parte di un copione ormai vecchio, come denunciato anche da un reportage di Rai 3: un gruppo di psichiatri vota a maggioranza che esiste un determinato disturbo, viene creata l'associazione promotrice, formata da parenti e pazienti , che farà da cassa di risonanza ed eserciterà pressione presso i governi e l'opinione pubblica, affinché vengano approvate leggi che ne convalidano l’esistenza e la cura. Non sono le prove scientifiche a sostenere l’esistenza di tali “disturbi”, ma diagnosi basate su test scritti o orali e non su esami oggettivi clinici di laboratorio, senza contare che sembra che la scuola sia diventata un succulento potenziale mercato per business sanitario anziché luogo di istruzione e cultura e che le figure sanitarie e i progetti di rilevamento di “disturbi” psichici diventino sempre più importanti degli insegnanti e dei progetti per il miglioramento dell'istruzione e dell'educazione. I dettati, le letture in classe e la soluzione dei problemi da sempre utilizzati dagli insegnanti per verificare il processo di apprendimento dei propri alunni e correggerne gli errori, ora vengono utilizzate dal neuropsichiatra infantile per individuare la quantità di errori che per protocollo concordato proverà l’esistenza del “disturbo”, pur in presenza di un normale o alto quoziente intellettivo. La segnalazione dell’alunno al neuropsichiatra, viene fatta da un insegnante che è stato addestrato nei corsi di aggiornamento sulla dislessia e questi disturbi di apprendimento, tenuti dai neuropsichiatri infantili. Grazie a questa astuta strategia, in Italia nel 2002 sono state stabilite le linee guida sull’ADHD ( deficit di attenzione ed iperattività) ed oggi abbiamo 70 mila bambini che assumono psicofarmaci. La stessa strategia con la quale ora si vogliono fare screening di massa per individuare e dare l'etichetta di handicap ai bambini siciliani. Come insegnante di scuola superiore in una regione (la Lombardia) dove purtroppo ormai ogni anno mi ritrovo mediamente due o tre alunni per classe etichettati con disturbi specifici dell'apprendimento non ho visto situazioni idilliache come quelle raccontate dalla madre di cui sopra. Al contrario ho visto e vedo situazioni disperate di alunni e genitori ai quali gli " esperti " hanno detto che sono affetti da questi “disturbi” e che non potranno guarire ma dovranno accettarli e rassegnarsi, seguendo percorsi diversi dal resto dei compagni. In una mia classe, tre alunni certificati con disturbi dell’apprendimento sono parcheggiati in classe con lo sguardo disperso, timidi, confusi, uno non porta neanche il quaderno e la penna. Seguiti per circa 6 ore alla settimana dall’insegnante di sostegno, questi alunni dispensati dal leggere, scrivere e fare calcoli, ovviamente si annoiano perché non hanno niente da fare. Non so come in questo modo si possano recuperare il processo di apprendimento e l'autostima. Alcuni di questi ragazzi protestano, rifiutano totalmente la scuola e disturbano continuamente, un giorno una di questi alunni alla mia domanda sul perché venisse a scuola visto che non era interessata alla lezione, ha risposto: “Prof io sono diversamente abile!” e si è messa a ridere. Come dire, mi avete dato l’etichetta ora sopportatemi. Queste sono alcune delle tante situazioni che possono essere citate. Ho visto anche situazioni in cui ridando fiducia e responsabilità all’alunno gli ostacoli nello studio vengono superati, ne è prova un alunno che pur essendo stato etichettato dislessico, disgrafico e discalculo, senza insegnante di sostegno perché la madre non aveva presentato la certificazione alla scuola, ha superato con successo la seconda superiore. Ora quando lo incontro mi sorride e vedo il suo sguardo fiero, lui sa che è capace come gli altri, l'ha dimostrato . Che cosa è l'autostima se non provare a se stessi che si è capaci? Bisogna viverci nelle classi, bisogna sperimentare queste situazioni per sapere che queste etichette non aiutano nessuno, ma affossano e buttano nel caos e nella confusione alunni, genitori ed insegnanti. Gli alunni hanno bisogno di un sostegno, non perché sono incapaci, ma perché spesso si perdono in classi numerose (30 per classe) e non possono essere seguiti adeguatamente. Nella mia scuola su 140 docenti, 21 sono insegnanti di sostegno, perché ad esempio non investire le risorse economiche di personale aumentando le classi e diminuendo il numero di studenti per classe creando migliori condizioni per l'apprendimento? Perché non fare corsi di aggiornamento per migliorare la didattica dei docenti invece di corsi per individuare fantomatiche “diversità patologiche” degli alunni?
Prof.ssa Margherita Pellegrino

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