di Salvo Palazzolo
Un blitz antimafia è scattato in contemporanea a Palermo, New York e Miami (guarda il video). Venti persone sono state arrestate in Sicilia, sette negli Stati Uniti. La polizia italiana e l'Fbi ritengono di avere bloccato alcuni dei nuovi vertici di Cosa nostra palermitana e delle famiglie americane dei Gambino e dei Colombo. Le indagini coordinate dalla Procura del capoluogo siciliano hanno svelato che da mesi, ormai, è intervenuto un profondo cambiamento negli equilibri dell'organizzazione mafiosa: nei posti chiave di Cosa nostra sarebbero tornati vecchi cognomi legati allo schieramento dei cosiddetti "perdenti" della guerra di mafia di inizio anni Ottanta. A tessere il nuovo asse criminale Palermo-New York c'era un fidato ambasciatore delle cosche siciliane: Roberto Settineri, 41 anni, ufficialmente solo un imprenditore siciliano del settore vinicolo che dal 1998 si è ormai trasferito fra New York e Miami. Tornava spesso nella sua Palermo, soprattutto per presiedere riunioni d'affari. Gli investigatori della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile, guidati da Nino De Santis, e i colleghi del Sco di Roma hanno pedinato e intercettato a lungo Settineri. Così sono emersi i progetti imprenditoriali dei nuovi mafiosi, fra Palermo e New York. In Sicilia, i boss e i loro prestanome erano tornati ad investire nel cemento. Negli Stati Uniti, puntavano sulla grande distribuzione.
Settineri è stato arrestato negli Stati Uniti. A Palermo sono finiti in manette: Leonardo Algeri, Giovanni Burgarello, Andrea Casamento, Gaetano e Massimiliano Castelluccio, Massimiliano Modiglione, Gianpaolo e Gioacchino Corso, Gaetano Di Giulio, Giuseppe Di Maio, Umberto Di Cara, Claudio Faldetta, Francesco Guercio, Giuseppe Lo Bocchiaro, Salvatore Luisi, Massimo Mancino, Pietro Pilo, Girolamo Rao, Giovanni Lo Verde e Pietro Gandolfo. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di droga ed estorsioni. Con i nomi dei 20 inizia il provvedimento di fermo firmato dai sostituti procuratori della Dda di Palermo Francesca Mazzocco e Roberta Buzzolani nonché dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci. In 470 pagine ci sono le ultime mosse dei mafiosi che stavano cercando di riprendersi Palermo dopo i duri colpi inferti da magistratura e forze dell'ordine all'organizzazione che si riconosceva in Totò Riina e Bernardo Provenzano. Da Santa Maria di Gesù alla Guadagna, da Villagrazia a Brancaccio, un agguerrito fronte di nomi noti e meno noti era tornato a controllare la parte orientale della città. Già nel febbraio 2008 un'altra operazione congiunta di polizia ed Fbi aveva messo in evidenza le prime avvisaglie del ritorno di alcuni "perdenti" della guerra di mafia, gli Inzerillo. Quella volta, il contatto fra i siciliani e gli americani era un altro uomo del clan Gambino, Frank Calì. All'epoca, Settineri era già attivo per conto di Cosa nostra siciliana e americana, ma era stato più prudente e così era riuscito a sfuggire al primo blitz di polizia ed Fbi. Lui si vantava di essere un brillante imprenditore e soprattutto un grande ambasciatore del Made in Italy: in realtà, secondo gli investigatori, sarebbe stato uno dei faccendieri più accreditati nella famiglia Gambino di New York. L'Fbi l'ha seguito mentre accompagna alcuni mafiosi palermitani in viaggio d'affari negli Stati Uniti. Non si tirava mai indietro Roberto Settineri, e con i suoi concittadini si vantava: "Peccato che la settimana prossima non sarai qui, perché se no vedevi un pezzo di storia". Ovvero, alcuni dei più importanti capi di Cosa nostra americana. Il cuore della riorganizzazione mafiosa a Palermo era nel mandamento mafioso di Santa Maria di Gesù, un tempo governato da Stefano Bontade, il primo ad essere eliminato da Riina e Provenzano nella guerra di mafia del 1981. Per anni, Santa Maria di Gesù è rimasta ai margini di Cosa nostra. Ora, finiti Riina e Provenzano in carcere, il nuovo corso mafioso riparte proprio da questa parte di Palermo. Ironia della sorte, il padrino al centro delle ultime indagini si chiama Corso, Gioacchino Corso, che era già finito in carcere con l'accusa di aver favorito la latitanza di Pietro Aglieri, il figlioccio di Provenzano. Per gli investigatori è una conferma importante ai sospetti già maturati da tempo: c'è l'ombra di Bernardo Provenzano e della sua "fazione" per molti versi ancora misteriosa dietro il ritorno delle vecchie gerarchie mafiose.
NELLA FOTO: Roberto Settineri (a sinistra) e Giampaolo Corso si incontrano a Mondello, nell’agosto 2010. Fotografati dai poliziotti della squadra mobile
mercoledì 10 marzo 2010
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