Salvatore Lupo |
Caro Salvatore,
permettimi, prima di tutto, di darti ancora del tu, perchè ti ho sempre considerato un vero amico e ho sempre avuto fiducia in te e nei tuoi studi. Ma da qualche tempo a questa parte, almeno a partire dalla presentazione, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, del mio libro “Storia segreta della Sicilia” (novembre 2005) che ho voluto che tu facessi, è come se qualcosa si fosse messo a stridere, rendendo difficoltosa persino la comunicazione tra di noi. E’ andata avanti così fino all’uscita di “Lupara nera” (Bompiani, 2009) che ho scritto con Mario J. Cereghino.Ricordo ancora bene quello che dicesti in quella occasione, nel 2005: “La storia procede per accumulazione”. Tu ritieni forse che tutto si debba sedimentare, consolidare, depositare sul piano di calpestio degli esseri umani, nella vita di tutti i giorni e che compito dello storico sia quello di leggere la stratigrafia che se ne ricava, come in un sondaggio geologico. Anch’io, da operaio della ricerca quale mi sento, senza presunzioni, ho ritenuto per molto tempo che ciò fosse vero. Ma non è così. I fatti umani, anche quando si sedimentano, non hanno nulla di meccanicistico e di gravitazionale, non si sedimentano come rocce stratificate nel tempo, rocce arenarie ricche di fossili marini o vegetali. L’uomo è una struttura complessa e dinamica, anche da morto. Non è un oggetto che puoi prendere con la trivella o con le pinze. E’ una realtà che rinvia a connessioni lontane e profonde. Perciò vengo subito alla questione.
Ho letto sul “Corriere della Sera” del 1° agosto 2010 (p. 33) la tua seguente dichiarazione: “Di tanti personaggi famosi si è detto che erano ancora vivi e che al loro posto era stato ucciso un sosia. Sono leggende frutto della fantasia popolare, su cui poi si costruiscono dietrologie”. Hai ragione. Tra queste leggende, la più grave è stata quella che Giuliano fosse un Robin Hood che toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Storiella inventata di sana pianta dall’agente Mike Stern, del Counter Intelligence Corps, il controspionaggio militare americano, in Italia dal 1944. Il suo nome, guarda caso, sta scritto anche nelle indagini sulla strage di Bologna del 2 agosto ’80, di cui domani ricorre il trentesimo anniversario. Ma chi fosse veramente Giuliano, tu non lo dici. Anzi. Inviti esplicitamente i giudici che stanno indagando su una questione nodale della nostra storia ad occuparsi “di questioni ben più gravi”. Frase che mi lascia di stucco. E’ evidente che, a tuo dire, ciò che è accaduto in Sicilia tra il 1943 e il 1950 è irrilevante anche per le sorti della Repubblica italiana. Mi dispiace, ma questa volta hai proprio torto. Per almeno tre motivi:
1) Salvatore Giuliano è il criminale siciliano più efferato del Novecento. Ha al suo attivo 411 delitti, diverse stragi di militari e di civili, l’uccisione di almeno cento tra carabinieri e poliziotti, 34 assalti a caserme e altre centinaia di crimini come sequestri di persona, traffico di armi da guerra e via di seguito. Sai benissimo che la sua fine è segnata da atti falsi che durano da sessant’anni e che continuano a tormentare la gente di buon senso e soprattutto i familiari delle vittime. Se esistesse una sola possibilità su cento che questo terrorista, con le protezioni di cui godeva ai più alti livelli dello Stato, potesse averla fatta franca, avremmo tutti l’obbligo di verificarla. Senza offesa per nessuno. Tanto più che il personaggio è del 1922 e oggi avrebbe l’età di 88 anni. Scrivendo questo, non sto affermando che Giuliano è ancora vivo. Dico solo che, a fronte dei sospetti che le cose non siano andate per come ci sono state rappresentate, la magistratura ha l’obbligo di accertare i fatti. Punto per punto. Trattandosi di stragi, ancora ad oggi senza mandanti, non capisco francamente come tu possa essere convinto che il trascorrere del tempo possa rendere i misfatti umani meno gravi.
2) Per quale motivo la procura dovrebbe desistere dall’indagare? Perchè glielo suggerisce l’Università di Palermo? Perchè glielo chiedi tu? La cosa mi ricorda un altro professore accademico, già avanti negli anni, il quale di fatto cassò con le sue considerazioni un lavoro di scavo attento e silenzioso, durato cinque anni e presentato da me tra il 2004 e il 2005 alla procura di Palermo (“Motivazioni della richiesta di riapertura delle indagini sulle stragi del 1° maggio 1947, Portella della Ginestra, e del 22 giugno 1947, assalti alle Camere del Lavoro della provincia di Palermo” e successive integrazioni). Non è da par tuo un atteggiamento del genere. Chi fa ricerca non può consentirsi il lusso di agire in negativo, suggerendo a chicchessia di non fare questo o quello. Non può e non deve desiderare che si dia lo stop alla ricerca. E’ come fare lo sgambetto a uno sportivo in corsa. A meno che non si desideri che questi si rompa l’osso del collo.
3) Le tue affermazioni, lasciatelo dire, tradiscono una sottile inquietudine. Quasi che, Dio ce ne scampi e liberi, si dovesse mai arrivare alla verità su quegli anni. Al momento in cui tutti i veli dovessero scomparire da fatti e persone. Vive o morte che siano.
Giuseppe Casarrubea
(1) Si tratta di una lettera aperta, diretta al professore Salvatore Lupo (Università di Palermo), autore di vari volumi sulla storia italiana contemporanea.
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