venerdì 13 novembre 2009

Sicilia, hanno perso la testa. Il Partito Democratico e le spaccature congressuali

di Francesco Palazzo
Hanno perso la testa. Vedendo in rete alcuni spezzoni dell'assemblea regionale dei democratici, consumatasi, in tutti i sensi, domenica 8 novembre, non si può dire che questo. L'hanno persa, e alla grande, i vincitori e i vinti. Nel PCI e nella DC, che sono, grosso modo, i contenitori di provenienza degli iscritti al partito, mai sarebbe accaduta una cosa del genere. Almeno nella misura in cui è avvenuta questa spaccatura verticale, con un'intera mozione che lascia il campo e con il parapiglia che ne è conseguito. Insomma, se il Partito Democratico in Sicilia voleva trovare il modo migliore per farsi del male, c´è perfettamente riuscito. E ciò avrà senza dubbio conseguenze negli enti locali. Per fare un solo esempio, al comune di Palermo, dove l'opposizione nell'ultimo periodo ha fatto un buon lavoro, dopo questa vicenda sono già volate parole grosse tra chi ora si trova arroccato su fronti contrapposti. Sì, il partito ha un segretario, ma il partito c'è ancora? Crediamo che la domanda sia del tutto legittima. Soprattutto perché, dopo la nascita del PDL Sicilia, si parla del possibile varo del PD regionale. Non ci facciamo mai mancare niente. A livello nazionale, lo abbiamo visto, sabato 7 novembre sono riusciti a salvare, pur nel permanere di aspre e profonde contrapposizioni, la forma e, forse, pure la sostanza. In Sicilia, e pensiamo sia l'unico caso tra quelli in cui era previsto il ballottaggio, è andato in onda uno psicodramma che potrebbe pure fare ridere se non facesse solo piangere. Forma e sostanza sono andate a farsi benedire. Sembrava il congresso di un pezzo minoritario della più estrema sinistra, o destra se volete, e non la celebrazione di un momento fondamentale del secondo partito italiano. Facce paonazze, parole lanciate come clave, accuse da una parte e dell'altra che neanche i più acerrimi nemici usano rivolgersi. Non è neanche tanto importante capire i dettagli della lite, c'importa davvero poco pesare torti e ragioni. Non è questo il nostro compito. Anche perché in questa storia non pare ci siano state ragioni e ragionevolezza. Dobbiamo solo dire che non si doveva, e non si poteva, arrivare a tanto. Segno che l´elezione con il metodo delle primarie, giubilata in ogni dove, che in Sicilia ha portato dentro i gazebo a votare quasi duecentomila persone, non può essere una messa cantata per l'occhio delle telecamere, se poi è esclusivamente l´antefatto di uno scontro che non riguarda tanto il partito ma le persone. O, per meglio dire, i gruppi contrapposti di tifosi, possiamo ben dirlo, scesi nell´arena per darsele di santa ragione. Accecati dall'ira e non condotti dal ragionamento politico, dal rispetto di regole democratiche che senz'altro disciplinano tutto il percorso delle primarie. Ora la domanda è una sola. Diretta e brutale, se volete. Ma al momento non ce ne vengono di più interessanti. Cosa può farsene la politica siciliana, in un momento in cui anche dal centrodestra giungono forti segnali di ingovernabilità, di una formazione politica siffatta? Davvero molto poco. Eppure le premesse per scrivere una storia diversa c´erano tutte. Bastava vedere le file interminabili di uomini e donne che il 25 ottobre cercavano, imbucando le loro schede dentro le urne, un nuovo partito di cui fidarsi e su cui puntare per fare in modo che la politica dell´alternanza non sia nella nostra regione solo teoria, ma pratica da potere applicare. Altro che infiltrati di altri partiti del centrodestra, come si temeva, che avrebbero tirato la corsa a questo o a quel candidato. Qui il problema stava e sta altrove. E coincide nell´incapacità, per usare un pietoso eufemismo, di un´intera classe dirigente, di un pur grande partito, nel non sapersi porre nella lunghezza d´onda dei drammatici problemi che vive questa terra. Spiace dirlo. Ma un partito, che a quindici giorni da una giornata di democrazia partecipata e serena, non riesce a organizzare tra centoottanta delegati una semplice assemblea e un ballottaggio tra i due primi arrivati, è una collettività politica in cui non si salva proprio nessuno. Ora si cercherà di mettere una pezza a quanto accaduto. I pontieri, da una parte e dall'altra, proveranno a ricucire e a minimizzare. Temiamo però che la pezza sarà più visibile e dannosa del guaio procurato. Servirebbe personale politico autorevole, gente in grado di farsi capire da un partito che ancora non c'è. Oggi più di ieri. Ma all'orizzonte non si intravede niente di tutto ciò.
Da CENTONOVE
Settimanale di politica, cultura, economia
n. 43 del 13/11/09

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