di Stefano Fantino
Carlo Lucarelli, scrittore, da anni impegnato a divulgare sul grande schermo le tematiche riguardanti la mafia in Italia, ci concede una intervista sul tema caldo di questi giorni: i beni confiscati, che un emendamento alla finanziaria, già passato in Senato, mette a rischio. La possibile vendita sarebbe infatti la fine di una legge, la 109/96, che prevede il riuso sociale dei beni immobili confiscati alla mafia facendone un simbolo di rinascita per tutto un territorio.
Cosa pensa dell'emendamento votato al Senato?
Penso che sia sbagliato, naturalmente. Penso che con tutta la buona fede possibile, fatto così sia un errore e i motivi sono lampanti per tutti.
Cerchiamo di rivederli insieme...
I motivi sono essenzialmente questi: se uno mette in vendita, dall'alto, pur con controlli elevati, un bene della mafia, il primo problema è che la mafia, quel bene, se lo può ricomprare. Perché la mafia ha due cose in abbondanza: uno una disponibilità infinita di soldi liquidi, che derivano dalle attività illecite e questo significa soldi senza interesse, soldi che non sono stati prestati dalle banche, che non hanno i “problemi” che hanno i soldi dei normali imprenditori. In secondo luogo la mafia ha a disposizione un esercito di colletti bianchi e prestanomi che riescono facilmente ad eludere dei semplici controlli. Da un lato la mafia si ricompra il bene, cosa negativa che da, se vogliamo, un messaggio ancora peggiore che viene ben compreso da chi vive in territori “occupati”: la mafia non solo tiene testa allo Stato dal punto di vista militare, cioè non facendosi arrestare e controllando il territorio, ma anche dal punto di vista economico.
Come ne escono da questo scenario la legge Rognoni La Torre e la legge 109/96 ?
Non bene. Quando si parla di mafia non si parla solo di soldi, ma anche del fatto che i beni confiscati potessero produrre ricchezza in un altro modo.
Uno dei motivi alla base dell'emendamento è quello di fornire più soldi alla sicurezza, cosa ne pensa?
Da un punto di vista squisitamente di principio, i soldi servono; so benissimo che servono soldi per la benzina delle auto di polizia e magistrati, ma attenzione non è che dobbiamo fare un danno più grosso. Una volta si diceva che la lotta alla mafia costava 10 mila miliardi, dando 5 mila miliardi alla mafia si risolveva il problema. Era una provocazione assurda, speriamo che non sia così: vendiamo i beni, che vengono ricomprati dalla mafia, così avremo i soldi per dare la benzina ai carabinieri per arrestare i mafiosi. Così non funziona. C'è un altro modo di agire, oltre ai beni che devono diventare produttivi, ci sono anche i soldi liquidi.
Sono questi i soldi che, con un appello lanciato lo scorso anno, lei e la Casa della Cultura del Comune di Casalecchio, volevate riservare a una rinascita culturale del Paese?
Si, certamente. Non sono un esperto, ci saranno molte difficoltà e bisogna stare molto attenti, ma penso che i soldi liquidi debbano andare dentro le macchine dei carabinieri e dentro le attività culturali. Bisogna trattare la liquidità perchè di soldi bloccati nei conti correnti e sequestrati ce ne sono tanti. Prendiamoli lì piuttosto che vendere una calcestruzzi in Sicilia che verrebbe comprata dalla mafia. Per loro sarebbe come dire: eccoci, siamo tornati, abbiamo ricomprato.
Eppure Maroni aveva parlato di costituzione di un agenzia dei beni confiscati...
Da fuori sicuramente c'è la percezione di un qualcosa di contraddittorio. Una sensazione però riservata a chi se ne intende un po' di queste cose; è chiaro che per la gente non è facile mettere in relazione lo scudo fiscale con la lotta alla mafia. Tutti gli arresti effettuati in questi mesi si notano e sono frutto di una attività antimafia che una volta non vedevamo. Benissimo. Ma è anche vero che molti di questi arresti sono ai danni delle cosche perdenti, e servono fino a un certo punto. Non dobbiamo cantare vittoria, bisogna guardare anche al peso dei latitanti che non sono tutti “uguali”. Quando leggiamo arresti nel clan dei Nuvoletta, sarebbe ben diverso leggere dell'arresto di Zagaria.
Libera sta organizzando una raccolta firma e alcune iniziative prima che l'emendamento passi alla Camera, cosa ne pensa?
La battaglia sarà dura anche se qualcuno in questo governo ha orecchie sensibili a questo argomento. Non sarà una battaglia partitica anche se chi muove contro è comunque presente, perchè la criminalità organizzata ha i suoi referenti politici. A me pare che queste tematiche siano un po' uscite ultimamente, credo che dobbiamo continuare, con questa battaglia di Libera e con iniziative che spieghino il valore dei beni, anche alla presenza di persone trasversali che nel governo portano l'interesse per queste tematiche.
Che valore ha il bene confiscato e come spiegarlo alle persone che magari non ne hanno percezione?
Il valore è duplice: da un lato il valore simbolico, dall'altro il valore materiale ed economico. Il valore simbolico è quello di un pezzo di territorio che era proprietà della mafia che ce l'aveva rubato ed è ritornato di proprietà degli italiani. Il valore è ance materiale: se in un luogo non c'è lavoro e i ragazzi stanno seduti tutto il giorno in piazza, ora con il bene confiscato abbiamo una possibilità lavorativa anche per quei ragazzi: il bene produce lavoro che prima non produceva, era solo un attività per fare altri soldi per portarci via un altro pezzo d'Italia. Ora a gente disoccupata, onesta, pulita è permesso di lavorare e produrre ricchezza. Così facendo dimostri alla gente che c'è una alternativa a lavorare per la mafia, lavorare per se stessi. Al Sud come al Nord.
Andiamo al Nord, recentemente lei ha parlato della situazione dell'Emilia Romagna, anche in riferimento ai beni confiscati a Parma, la sua città natale...
Ormai è una realtà palese il fatto che la mafia sia un problema italiano e non meridionale. La mafia si è estesa lungo tutta la penisola da tempo, soprattutto se partiamo dall'idea che il controllo militare del territorio sia affiancato da un ragionamento di tipo economico. Molto più normale che la mafia investa al Nord e ne abbiamo la dimostrazione lampante. Si continua dire che al Settentrione la mafia non esiste, anche alla luce di indagini giudiziarie. I beni al Nord sono molti, anche un pezzettino di Nord era in mano della mafia. Lupo, nel suo ultimo libro, parla di mafiosi che a Milano trattano stupefacenti con gli Usa già nel 1940, settantanni fa. Un problema italiano. Da sempre.
LiberaInformazione, 23.11.2009
lunedì 23 novembre 2009
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