mercoledì 11 febbraio 2009

Trapani, città del sole, della vela e... del cemento "pulito"

di Rino Giacalone
Non è una legalità tanto per dire, fatta a parole, di quella che in giro ce ne è tanta. E’ un percorso di legalità intriso di risultati, positivi; dentro questo tragitto assieme alla rivolta di un gruppo di operai contro i mafiosi che li volevano o asserviti o disoccupati, c’è il lavoro e la tutela dell’ambiente, che non sono poca cosa in un momento in cui l’occupazione è in costante pericolo, per colpa di un sistema di mercato che è già criminale di suo quanto è perverso, e poi l’ambiente che non vive di tanti riguardi. Un’azienda di Trapani confiscata alla mafia, la Calcestruzzi Ericina è tornata così sul mercato con più di una sfida. È la prima in Italia tra quelle confiscate che esce dalla gestione straordinaria. Resta proprietà dello Stato, ma sarà affidata dal Demanio a una «coop» costituita dagli operai della precedente azienda: quella nuova, la Calcestruzzi Ericina Libera, produrrà sempre cemento, «della legalità» precisano, facendo però da sé le materie prime, trasformando gli inerti, sfabbrici, i rifiuti non pericolosi.

Trapani, da oggi anche città del cemento pulito

Una idea don Luigi Ciotti a proposito di parole e antimafia, l’ha lanciata con chiarezza, lunedì 9 febbraio 2009 in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto, quasi una sfida dietro un suggerimento rivolto al sindaco della città: «Arrivando a Trapani – ha detto – ho visto un cartello che presenta la città legando il nome al sale e alla vela, io adesso aggiungerei anche città della Calcestruzzi Ericina Libera e del calcestruzzo pulito». Perché questa proposta? «Perchè la prima mafia da combattere è quella delle parole, sono i fatti che contano. La lotta alla si fa anche dando lavoro, dando alla gente la garanzia dell’occupazione, restituendo dignità a chi lavora, come abbiamo fatto qui a Trapani». «Questa è la vittoria della buona economia contro gli interessi della mafia. Da un bene confiscato alla criminalità organizzata nasce un’impresa che trasforma i rifiuti in risorsa» ha detto Enrico Fontana dell’osservatorio «Ambiente e legalità» di Legambiente. Pensate ciò che farà questo impianto (che ha il nome, al plurale, di un fiore, Rose, ossia Recupero omogeneizzato scarti edilizi): finisce l’era dello scriteriato abbandono di rifiuti edili, in discariche abusive.

La legalità che crea sviluppo per l'economia

In tutto il Sud questa «industria» non ha eguali. È frutto di un investimento di due milioni di euro, vi ha concorso un finanziamento Por Sicilia, un mutuo con la Unipol Banca, un intervento dell’Agenzia del Demanio, di Anpar e Legacoop, e la partecipazione tratta dal bilancio della Calcestruzzi Ericina. «Un grande risultato - prosegue Fontana - in Sicilia deve essere data concretezza a quelle norme europee che prevedono l’obbligo, negli appalti pubblici, dell’utilizzo di materiale che deriva dal riciclaggio degli inerti».Determinante è stato il mutuo di 700 mila euro “liquidato” da Unipol Banca. Quando non c’erano molte garanzie di quelle solite che cercano le banche. «Sono garanzie formidabili – ha detto Pierluigi Stefanini il presidente di Unipol Banca (la “nuova Unipol” ha sottolineato don Ciotti) – quelle di don Ciotti e di Libera, ma la verità è un’altra, il nostro approccio verso i progetti da finanziare si basa maggiormente sulle garanzie fornite a proposito di lavoro e legalità, noi al fianco dei mafiosi non saremo mai».

Confindustria Sicilia

Da Palermo si è fatto sentire il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello: «Il caso Trapani – ha detto – è una conferma delle novità positive di una Sicilia che cambia pelle e dove risulta sempre più incisivo il ruolo di don Ciotti e Libera». E c’è anche in questa storia la dimostrazione che la lotta alla mafia riesce quando ci sono le sinergie, come quelle tra magistratura, forze dell’ordine e società civile rappresentata anche dalle banche. Era l’azienda, la Calcestruzzi Ericina, che apparteneva al capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, che dopo la confisca la mafia voleva riprendersi o fare fallire. Non accadde niente di tutto questo per l’opera dell’allora prefetto Fulvio Sodano che nello stesso periodo aveva smosso le acque delle confische, non trovando al suo arrivo nel 2001 a Trapani un solo bene assegnato, mentre i mafiosi restavano nei loro possedimenti. Per la gestione dei beni confiscati si rivolse a Libera e a don Ciotti e da allora si è andato avanti, sino a ieri con la inaugurazione del nuovo impianto della «Calcestruzzi Ericina Libera», Sodano nel frattempo non è più a Trapani, trasferito dal Governo d’improvviso nel luglio 2003 ad Agrigento (oggi ammalato è a disposizione) senza uno straccio di ringraziamento per l’opera compiuta e non solo a favore della Calcestruzzi Ericina. Anzi un sottosegretario dell’epoca, Antonio D’Alì, secondo il racconto fatto ai magistrati da Sodano, gli chiese conto di quello che “stava combinando”.

Un prefetto scomodo e la sua battaglia

I mafiosi intercettati sono stati ascoltati auspicare questa “cacciata”, lui, Sodano, era “cosa tinta” per essersi messo di traverso rispetto agli intendimenti dei boss. Ai magistrati che perciò indagano sul suo trasferimento, il prefetto ha consegnato alcune considerazioni e ricostruzioni: "Non appena assunte le funzioni di prefetto di Trapani mi resi conto che la situazione dell'amministrazione dei beni confiscati alla mafia era estremamente grave, nel senso che erano numerosissimi i beni confiscati ma mai assegnati e che molti di tali beni erano ancora nella materiale disponibilità dei soggetti mafiosi cui erano stati confiscati. Immediatamente mi attivai per promuovere incontri con tutti gli enti interessati per tentare di fare attivare le procedure burocratiche di assegnazione incontrando difficoltà ed inerzie, per asserita mancanza di personale"…..."Ho avuto conoscenza del mio trasferimento nel tardo pomeriggio del giorno precedente la seduta del Consiglio dei Ministri. Mi telefonò il capo di gabinetto del ministro facendomi presente che l'indomani sarei stato nominato prefetto di Agrigento. Alle mie rimostranze basate sul mio momento non facile di salute, noto al ministero, e per il quale avevo chiesto di rimanere a Trapani almeno altri sei mesi, ebbe a dirmi che la distanza che rispetto ad Agrigento c'era con Palermo era identica a quella con Trapani, mi invitò a prendere servizio ad Agrigento perché l'amministrazione mi sarebbe stata vicina. Tutto questo avveniva mentre non molto tempo prima aveva avuto garanzia che per un po' di tempo non sarei stato trasferito. All'epoca di quel mio trasferimento molti altri colleghi che avevano raggiunto le loro sedi in concomitanza con la mia assegnazione a Trapani erano ancora in quelle stessi sedi".Storia «pesante» quella della Calcestruzzi Ericina, ma come si è arrivati a questo risultato? «La mafia qui – risponde il pm Andrea Tarondo – ha cercato di strangolare questa impresa, impedendo la vendita di cemento, esercitando pressioni, la mafia ha fatto di tutto, ha messo in campo il suo peso, questo (dice indicando l’area dell’impianto messo a nuovo) è stato un campo di battaglia dove lo Stato ha vinto cancellando quella che era il simbolo del controllo mafioso sull’imprenditoria, qui che era casa del boss Virga e dei suoi figli Franco e Pietro, si pagava il pizzo, adesso vedo qui sventolare la bandiera italiana, giusto, su questo terreno è stata riconquistata la dignità dello Stato, grazie alla figura del prefetto Sodano che è riuscito, su una linea del Piave, di riappropriarsi del bene, quella resistenza è stata da stimolo a tanti altri». Si dice ci sono i mafiosi ma non c’è più la mafia, è vero?

La mafia a Trapani oggi

«La mafia – risponde il magistrato – si è trasformata si è evoluta e tenta di adattarsi ai tempi ed è più pericolosa. Oggi tenta di selezionare fra le sue attività quelle meno rischiose dal punto di vista penale e più redditizie. In provincia di Trapani sta raggiungendo massima espressione, è più avanti nel fare credere che non ci sia più, che sia in regressione. Nessuno deve illudersi che sia finita qui, la mafia cerca nuove strade per svuotare di contenuti il lavoro che si sta facendo».Il prefetto Sodano invitato non c’era all’inaugurazione della nuova Calcestruzzi Ericina Libera, non ha possibilità di muoversi, ha perduto la voce, vive su una sedia a rotelle attrezzata per permettergli di ricevere ossigeno e alimenti, la malattia che lo ha colpito si è aggravata forse anche da quel trasferimento, per la situazione di tensione che si è determinata, ma anche perché ad un certo punto si è ritrovato da solo all’interno del proprio apparato ministeriale. Ha però mandato un suo scritto: «Quando lo Stato fa pienamente il suo dovere con tutte le sue istituzioni non c’è spazio per l’antistato». Ha chiesto di immaginarlo con indosso la tuta blu: «Per un giorno non sono stati gli uomini con la toga a scrivere pagine di giustizia, oggi sono stati altri uomini, quelli che indossano la tuta blu di chi va in cantiere, in fabbrica, a dirci che la mafia si può sconfiggere».

La voce dei lavoratori

All’interno del nuovo impianto della Calcestruzzi Ericina Libera, un gruppo di imprenditori edili, portavoce se ne è fatto il presidente dell’Api (associazione piccole imprese) Ninni D’Aguanno, ha voluto dedicare una statua in bronzo a colui il quale si battè per impedire che l’azienda fosse riacquistata da Cosa Nostra, il prefetto Fulvio Sodano: «In questo luogo lo Stato, rappresentato da un uomo solo, si affermò», si legge sulla base del monumento costituito da tre finestre, due aperte, dalle quali escono delle colombe. «Oggi è un giorno di festa – ha detto il commissario del Governo per i beni confiscati prefetto Antonio Maruccia – suscita ottimismo e dimostra la capacità che si ha di togliere i beni ai mafiosi. Quello di oggi è un esempio ma in Italia ce ne sono tanti altri, ma molti altri restano da assegnare, serve una legge per velocizzare le procedure, c’è un impegno del Parlamento e del Governo per dare effettività a quello che è un diritto dei cittadini a riavere questi beni».Una realtà emersa quella che non è agevole il percorso per la fruizione dei beni confiscati. «Ce ne sono tanti, 1700– dice don Ciotti – che non possono essere assegnati per le ipoteche, allora diciamo alle banche di fare un gesto chiaro, trasparente, un segnale forte al paese cancelliamo le ipoteche e mettiamo in grado Comuni e associazioni di occupare questi beni, di gestirli, creando servizi. la vera festa la faremo quando avremo dinanzi la grande corresponsabilità del nostro Paese, ognuno di noi deve concorrere per creare situazioni di libertà, ce lo dicono gli operai della Calcestruzzi Ericina Libera».

La storia, giudiziaria, si diceva.

I beni confiscati non venivano assegnati e la magistratura ha dovuto aprire a Trapani più di una indagine per scoprire come questo accadeva. Un funzionario del Demanio oggi è sotto processo. I mafiosi intercettati a Trapani, si legge sugli atti processuali, quelli che hanno portato alla condanna del “padrino” Francesco Pace, dicevano che la legge sulle confische andava cambiata, ma a loro favore. «Intercettati ridevano – ricorda don Ciotti – sostenevano che non sarebbe stato possibile tutto quello che oggi invece succede a loro sfavore e non solo in Sicilia. In Italia ci sono botteghe dove si vendono i prodotti che vengono dai terreni confiscati. Allora è possibile, è possibile affermarsi, ci vuole si una legge più incisiva, più efficace, lo Stato quando vuole dà segnali di grande valore, ieri come oggi, poi ci sono le aree grigie, troppe persone hanno depenalizzato i reati nella loro coscienza e quindi questo ritorno di colletti bianchi, di corruzione, ci inquieta molto. Uniamo allora le forze, l’energia, usiamo la testa, diamo una bella graffiata alla realtà». A proposito del boss Francesco Pace. Il caso ha voluto che mentre si inaugurava la nuova «Calcestruzzi Ericina Libera», compariva davanti ai giudici del Tribunale di Trapani Francesco Pace, il «padrino» erede di Vincenzo Virga, che la voleva far comprare ai suoi «amici», per poi pensare di farla fallire quando il tentativo non riuscì anche per l’opposizione alla vendita condotta dal prefetto dell’epoca Fulvio Sodano. Il boss Francesco Pace da ieri è imputato in nuovo processo (in un altro è stato condannato a 20 anni), scaturito da una indagine della Dia – denominata operazione «Betòn» – su intrecci malavitosi tra le “famiglie” di Paceco e Castellammare, anche in questo caso di mezzo cementi e gestione di impianti «in odor di mafia». Ma il nome di «don» Ciccio Pace è riecheggiato anche per altro durante l’inaugurazione della nuova azienda. Tra le proprietà che gli sono state tolte anche una cascina con giardino molto lontano da Trapani, a Moncalvo d’Asti, trasformata in centro di accoglienza per donne vittime di violenza sessuale. La struttura sarà gestita dall’associazione Onlus «Rinascita » di Asti. È stato il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, ad annunciarlo: «C’è, dunque, un sottile filo conduttore tra il Piemonte e la bella Sicilia».Ma di fili conduttori ce ne sono altri. Un ficus, che ricorda l’albero Falcone di Palermo, è stato piantata all’interno dell’area della nuova azienda. L’iniziativa è dell’ordine degli Architetti della provincia di Trapani: «Ne pianteremo uno per ogni nuovo iscritto» ha detto il presidente Vito Corte.

La nuova Calcestruzzi Ericina Libera

A guidare il cammino della nuova azienda gli amministratori giudiziari, Luigi Miserendino e Carmelo Castelli, presidente della coop è stato nominato l’ex ragioniere della Ericina Giacomo Messina: «Quando scattò il sequestro – ricorda Messina – è stato un incubo, impressionante vedere posti dalla Polizia i sigilli nei nostri impianti, per noi la paura di aver perso il lavoro, vedevamo lo Stato come nemico, l’approccio per noi è stato del genere che quell’azione era brutale, contro di noi, ma ci sbagliavamo, se non c’era lo Stato oggi nessuno poteva essere qui. Oggi l’incubo è finito, ci siamo svegliati da quel brutto sogno, la realtà è risultata essere diversa da come sembrava dovesse essere. Continuiamo a lavorare e a dare lavoro, grazie ad una persona che è diventato nostro collega in forma “onoraria”, il prefetto Sodano, lui è un nostro collega, non finiremo mai di ringraziarlo». Luigi Miserendino, commercialista, palermitano, è l’amministratore giudiziario che con l’avv. Carmelo Castelli ha guidato la “ripresa” della Calcestruzzi Ericina. Con lui ci siamo trovati a chiederci se tutto quello che oggi accade non doveva avvenire molto tempo prima. «Meglio tardi che mai – risponde – l’importante è che sia riuscito il nostro progetto, abbiamo superato difficoltà enormi ma non ci voglio più pensare, oggi interessa il lavoro, oggi c’è il grazie alle istituzioni, a tanti uomini, che hanno permesso questo risultato. E’ stato raggiunto l’obiettivo perché questi operai una volta dipendenti dal mafioso Virga oggi da imprenditori possano avere un futuro».Ricorda il primo giorno in cui mise piede qui da amministratore giudiziario? «Ho conosciuto tutti i dipendenti, ho cercato di capire cosa stavano facendo per conoscere i loro problemi, già erano chiare le avvisaglie, il calo delle commesse, il rischio della chiusura dell’impianto, abbiamo avuto diversi periodi di cassa integrazione, grazie al prefetto Sodano siamo riusciti a riprendere quota nel mercato. Oggi c’è grande soddisfazione, penso che per Trapani sia una cosa importante, si comprende, e lo comprendono soprattutto gli imprenditori, che stare dalla parte della legalità contiene una grande convenienza, oggi gli imprenditori non hanno più qualcuno che dica loro dove comprare il cemento, gli imprenditori possono fare una scelta e non subire imposizioni». Oggi gli operai-imprenditori della Calcestruzzi Ericina offrono grandi sorrisi. Don Luigi Ciotti li ricorda quando incontrandoli non nascondevano i loro lacrimoni. «La Calcestruzzi Ericina non è più “cosa loro”, ma è “cosa nostra” – dice don Ciotti - un “noi” importante nel contrasto all’illegalità, ce lo dicono i meravigliosi operai e amministratori di questa azienda. Qui si è affermata la nostra Costituzione, gli articoli 1 e 4, quelli che riguardano il lavoro e la dignità del lavoro. Oggi qui c’è la dignità del lavoro, c’è la libertà di tante persone, è “cosa nostra” perché tutto questo è stato restituito alla gente onesta, agli operai, alle loro famiglie, qui col ciclo di recupero degli inerti c’è un nuovo lavoro, una nuova dignità, piccoli segni bisogna essere realisti rispetto al grande bisogno che c’è nel Paese. Ma i mafiosi debbono sapere che debbono restituire tutto quello che hanno guadagnato con la violenza, col sangue, ai mafiosi diciamo che è lo Stato che vince, vince il bene rispetto al male. Gli operai li ho visti piangere per l’insicurezza rispetto a quello che sarebbe successo, ma dalla loro parte hanno avuto la testardaggine di un bravo prefetto che si è opposto a tutte le manovre per fa fallire la Calcestruzzi Ericina, non ha mollato e insieme si è costruito, ecco perché il “noi” importante, è importante perché si sia tutti in gioco anche come singoli cittadini, no alla rassegnazione, no alla delega, finiamola di dire che non cambia niente, tiriamo fuori le unghie, mettiamo forza e passione cominciando dalle piccole cose, così si può voltare pagina». E però non tutto è risolto. A pochi chilometri dalla nuova Calcestruzzi Ericina Libera, su terreni confiscati alla mafia nelle campagne tra Paceco e Trapani ci sono i giovani della cooperativa Placido Rizzotto di Corleone a coltivare meloni, aglio e grano. Ma manca la manodopera locale, forse il passaparola dei mafiosi ancora funziona.
Trapani, 11.02.2009

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