mercoledì 11 febbraio 2009

Donne di mafia

di WALTER MOLINO
"Quello su Giusy Vitale non è un libro sulla mafia. E' un libro sulle donne di mafia. Una storia che, pur arrivando agli anni '90 è una perfetta rappresentazione del medio evo siciliano". Così Francesco La Licata, cronista de La Stampa e memoria storica della mafia, ha aperto la presentazione di "Ero cosa loro", ieri pomeriggio alla Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi a Roma. Insieme all'autrice Camilla Costanzo c'era anche il Procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso, il primo magistrato a raccogliere le confessioni della boss di Partinico: "Sono qui perché penso da tempo che le donne possono avere un ruolo dirompente nel processo di ripudio sociale di Cosa nostra - ha spiegato -. Il caso di Giusy Vitale è emblematico. E’ una donna cresciuta nella mafia e tra i mafiosi, che ordinava omicidi e procurava le armi, ma appena ha avuto la prima occasione per una vita diversa, per sé e per i figli, ha rotto con il passato denunciando anche i suoi fratelli". Camilla Costanzo, che non presenterà il libro a Partinico per una promessa fatta a Giusy Vitale, ha spiegato che oggi la collaboratrice di giustizia "è una donna sola ma con una forza straordinaria".

Secondo Francesco La Licata quello di Giusy Vitale è un libro importante: “Perché racconta da dentro la mafia vista con gli occhi di una donna. E racconta una Sicilia medievale, in particolare nel rapporto con i fratelli. Quei maschi di famiglia di fronte ai quali, anche da sposata, Giusy Vitale si toglieva il rossetto prima di parlare, per una questione di rispetto. E penso che se i fratelli non fossero stati in carcere per lei sarebbe stato molto difficile fare questo passo, non l'avrebbero lasciata in pace. Lo ammette lei stessa quando dice, nel libro, che questo giogo mortale dei fratelli può essere vinto solo con l'aiuto dello Stato”. In merito alle polemiche suscitate dall’operazione editoriale, La Licata ha invitato ad “abbandonare l’idea sbagliata che la collaborazione con la Giustizia preveda necessariamente un pentimento morale. Quel che conta ai fini giudiziari è la capacità del collaboratore di mettersi dalla parte dello Stato. E il bilancio del fenomeno del pentitismo mafioso è in attivo, lo Stato ci ha guadagnato, a partire da tutti i crimini che sono stati evitati”.

A Camilla Costanzo abbiamo chiesto cosa ne pensa della cattiva accoglienza del libro a Partinico. “La madre di Giusy Vitale ci ha fatto sapere che a Partinico il libro è già andato esaurito più volte, ma a parte questo credo che un certo fastidio da parte dei parenti delle vittime di mafia sia comprensibile. Quel che posso dire è che nel libro non c’è alcuna giustificazione, nessuna assoluzione. E’ solo un tentativo di capire. Io e Giusy Vitale siamo coetanee: quando io discutevo la mia tesi di laurea, lei era capo mandamento a Partinico. Col mio lavoro ho cercato di raccontare come si finisce in quel vortice, come si cresce, da donna, in mezzo alla mafia. Penso sia importante, pure, che chi ha commesso degli errori ne capisca il senso, e condivida con gli altri il proprio percorso”. Ma che donna è, oggi, Giusy Vitale? "Una donna sola. Ma con un'energia incredibile. Penso che se l'avesse messa al servizio del bene, anzichè della mafia, avrebbe smosso perfino le montagne. Penso che si possa sempre scegliere da che parte stare, anche a Partinico. Lei, cresciuta in mezzo alla mafia, mi ha detto che quando è finita in carcere, per la prima volta nella sua vita, si è sentita libera".
"Far parte di Cosa nostra non è come fare parte di una qualunque banda criminale: è una scelta di vita fondamentalista - ha aggiunto Piero Grasso -. Molti mafiosi sono votati all'obbedienza tanto da non conoscere spesso neppure i motivi per cui hanno ucciso, come un esercito di kamikaze usato da chi, dietro le quinte, regge i fili. Per questo, quando un mafioso decide di collaborare è importante usare il massimo della cautela, verificare tutte le possibilità. Nel caso di Giusy Vitale siamo di fronte a una persona che ha deciso di stare dalla parte dello Stato, dopo aver retto un mandamento mafioso, aver procurato armi per commettere omicidi. Eppure, quando ha avuto la possibilità, ha abbandonato tutto ed ha avuto il coraggio di denunciare persino i suoi fratelli". Riguardo al ruolo dei pentiti mafiosi, Grasso ha ricordato che "grazie a loro sono stati messi in crisi due pilastri di Cosa nostra come l'omertà e la solidarietà tra gli affiliati. Giovanni Brusca racconta che nel suo ultimo periodo di latitanza, quando i colpi dello Stato e le rivelazioni dei collaboratori stavano mettendo in ginocchio l'organizzazione criminale, i killer giungevano incappucciati agli appuntamenti prima di commettere un omicidio, tanta era la paura che gli stessi complici, un giorno, potessero accusarli".
Camilla Costanzo presenterà il suo libro in Sicilia nelle prossime settimane, nell'ambito della nuova edizione di Libera Mente Media lab, i laboratori sulla storia della mafia promossi dal Consorzio Sviluppo e legalità dell'Alto Belice corleonese, che quest'anno si svolgeranno a Palermo, Corleone, Monreale, San Giuseppe Jato e Altofonte, con la partecipazione di magistrati, storici e giornalisti. "Ma non a Partinico - ha precisato- così mi ha chiesto Giusy Vitale".

Libera Mente – 10 Febbraio, 2009 – 23:27

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