mercoledì 11 febbraio 2009

Monsignor Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia: «Io dico che Eluana ha finito di soffrire»

di Roberto Monteforte
«Escludo che per Eluana si possa parlare di omicidio. Rifiuto questa lettura perché, come molti altri, ritengo che quando c’è la dichiarazione di volontà di rifiutare l’accanimento terapeutico, si rifiuta un intervento tecnico e si lascia che la natura faccia il suo corso. Come si può parlare in questo caso di eutanasia in questo caso?».
È lineare il ragionamento di monsignor Giuseppe Casale, vescovo emerito di Foggia. Con serenità ribadisce il suo punto di vista sul caso Englaro. Un punto di vista molto diverso da quello di altre voci anche autorevoli della Chiesa, per le quali non vi sarebbe dubbio, quello di Eluana è stato omicidio, eutanasia.
Eppure nella Chiesa c’è chi si dice sicuro che la sospensione di alimentazione e idratazione sia eutanasia...
«Molti medici ritengono che l’idratazione e l’alimentazione forzata siano un medicamento. Non si tratta di un dar da magiare o da bere, ma di nutrire medicalmente con un sondino, con una miscela o altro che servono a tenere il corpo in vita. È alimentazione articificiale. Se uno la rifiuta, lasciando che la propria vita vada avanti secondo quello che è il pensiero di Dio, la sua volontà e la natura, allora quello che rifiuta è l’accanimento terapeuetico. Nel caso in cui non ci siano più prospettive o possibilità di una vita nuova, perchè ormai la lunga degenza esclude questa ipotesi, si tratta di affidarsi al corso della natura. Non è assolutamente eutanasia. Affermarlo è forzare le cose. È dare seguito ad interpretazioni politiche esasperate e unilaterali, forzate con questo vizio d’origine. Ci rifacciamo tanto alla natura e alle sue leggi e in questo caso ritieniamo che le sue leggi debbano essere violate? Diciamo che ci vogliono gli interventi tecnologici o biotecnici?».
Eppure la polemica monta nel paese. Non le pare che ci sia il rischio di una lacerazione profonda nella società?
«Dobbiamo lavorare perché si crei una nuova mentalità. Davanti alla morte di questa giovane creatura dobbiamo essere indotti a riflettere. A liberarci dai pregiudizi e dagli interessi di parte. Se dovessi dire il mio pensiero chiederi al Signore di tenermi in vita finché è possibile. Mi affiderei alla sua bontà. Aspettando che mi chiami. Non rinuncerei a seguire le cure che i medici mi consigliano, ma non vorrei trovarmi nella condizione di essere affidato a delle tecniche che prolungano artificiosamente la vita. Vorrei viverla ricca almeno di un rapporto con gli altri. Ho assistito molti ammalati terminali. Sino al momento in cui vi è possibilità di comunicazione con lo sguardo, con un canto, con un tocco della mano allora sì che c’è una comunicazione, che c’è la vita. Ma non è questo il caso che stiamo esaminando...».
Il mondo cattolico protesta vivacemente...
«C’è stata tutta questa mobilitazione. Io che sono uomo libero rifiuto di farmi mobilitare».
Lei è una voce fuori dal coro...
«No. Sono nel coro che è la Chiesa cattolica. Sarò forse un solista. E i solisti mettono in evidenza alcuni aspetti della partitura. In questo coro io ho voluto mettere in evidenza un’aspetto: quello della libertà della persona, quello della vita che è vita quando è fatta di relazioni, quello del rispetto della volontà anche quando non è espressa con un atto formale, come è stato per questa giovane donna che lunedì sera ha concluso il suo cammino. Rifiuto qualsiasi forma di “intruppamento”, di mobilitazione, di crociata. Perché le crociate hanno lasciato brutti segni nella storia della Chiesa».
Come costruire il “dopo Eluana”?
«Evitando di cadere nel tranello dei marpioni della politica sempre pronti a tirare l’acqua al loro mulino. Non è giusto usare strumentalmente un caso così drammatico per fini che non sono neanche politici, ma di rivincita di un gruppo sull’altro. Dobbiamo avere la dignità di uno sguardo nuovo della politica che rispetti le persone, che vada nella direzione della “polis”, la città al cui servizio noi siamo».
Come arrivare ad una legge sul testamente biologico che aiuti a definire il “fine vita”?
«Attraverso un confronto che rispetti le etiche diverse e la libertà delle opinioni. In un regime democratico la libertà va costruita nel rispetto reciproco e nell’accoglienza delle varie esperienze. Soprattutto nel rispetto delle persone che soffrono. E non credo che Bettino Englaro abbia fatto quello che ha fatto senza passare attraverso una grossa sofferenza. Abbiamo il dovere di rispettarlo e lui ha il diritto al nostro rispetto e alla nostra amicizia».
L'Unità, 11 febbraio 2009

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