ROMA - Maggioranza e minoranza insieme per il carcere duro ai mafiosi. Con cinque soli voti contrari e 14 astenuti, il Senato ha approvato a larghissima maggioranza (249 favorevoli) il giro di vite sul 41bis contenuto nel ddl sicurezza. L'inasprimento della norma aumenta a quattro anni la durata dei provvedimenti restrittivi e corregge le disfunsioni di una legge che aveva costretto i magistrati di sorveglianza a cancellare a un numero sempre maggiore di carcerati i pesanti limiti previsti per i delinquenti affiliati alla malavita organizzata. Carlo Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali, è stato uno dei firmatari dell'emendamento: "Era indispensabile irrigidire il regime penitenziario: seppure al 41bis, i mafiosi continuavano a gestire il malaffare dall'interno del carcere". La modifica al progetto governativo sulla sicurezza era stata annunciata dal ministro alla Giustizia Angelino Alfano. "Bisogna risolvere le carenze dovute alle interpretazioni della legge che spesso hanno determinato la fine dell'applicazione per molti detenuti", aveva scritto in una nota ufficiale il Guardasigilli. L'allarme era stato lanciato da Repubblica. Nei primi sei mesi 2008, trentasette padrini hanno lasciato le celle del 41 bis: Giuseppe La Mattina, uno dei mafiosi che uccise il giudice Paolo Borsellino; Giuseppe Barranca e Gioacchino Calabrò, che si occuparono degli eccidi del 1993, fra Roma, Milano e Firenze; Antonino Madonia, il capofamiglia di Palermo Resuttana che in gioventù assassinò, fra tanti, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il commissario Ninni Cassarà. A luglio 2008, sono tornati al ruolo di detenuti semplici, il 6,5 per cento dei detenuti sottoposti al 41bis, 566 reclusi distribuiti in 12 istituti penitenziari.
(La Repubblica, 4 febbraio 2009)
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