lunedì 17 dicembre 2007

Placido Rizzotto: il giallo delle ossa sparite nel nulla. I familiari e la Cgil: "Trovateli"

I resti di Rizzotto, segretario della Camera del lavoro di Corleone, assassinato dalla mafia del feudo il 10 marzo 1948, si sono persi tra i tribunali. Ma i familiari e la Cgil non si rassegnano: li vogliono trovare per dare una tomba al sindacalista...

di FRANCESCO LA LICATA

«Trovate i resti di mio zio. Saranno certamente custoditi in chissà quale scaffale polveroso di qualche tribunale. Non posso credere siano andati perduti: ho troppo rispetto per le istituzioni e per la Giustizia di questo Paese per rassegnarmi ad una simile negligenza». Questo l’appello accorato di Placido Rizzotto, impiegato del Banco di Sicilia di Palermo, sindacalista come l’omonimo zio, ucciso dalla mafia di Corleone nel 1948 e rimasto senza sepoltura proprio per l’assenza di una prova che certificasse l’avvenuto ritrovamento del suo cadavere, gettato nella profondissima foiba di Rocca Busambra, tanto accidentata da risultare impenetrabile.Placido Rizzotto «il giovane» ha 56 anni e vive a Palermo. Da qualche anno conduce una solitaria battaglia nel tentativo di dare sepoltura allo zio, eroe siciliano amato e ricordato, immortalato con un busto nella piazza principale di Corleone, ma privo di sepoltura. Adesso è rimasto lui, Placido, dopo che sono venuti meno il padre, Nino, fratello del sindacalista assassinato da Luciano Liggio, e quattro delle cinque sorelle nate dal secondo matrimonio del padre. Vive ancora Giuseppina, che riconobbe gli indumenti trovati a Rocca Busambra dall’allora capitano Dalla Chiesa. E vive anche Lucia, la mamma di Placido «il giovane», che la sera della scomparsa di Rizzotto, il 10 marzo del 1948, partecipò alle vane ricerche del segretario della Camera del Lavoro di Corleone, sequestrato, massacrato e gettato nella «ciacca» della montagna.«E’ incredibile - insiste Placido - che non si riesca a sapere che fine abbiano fatto quei resti recuperati il 14 dicembre del 1949. Si trattava di ossa, e c’era anche una teca cranica coi capelli. Oggi sarebbe troppo facile, attraverso il confronto del Dna, risalire all’identità di quel corpo. Ma quei reperti non si trovano. E non si trovano neppure gli abiti: un elastico reggicalze, una camicia, le scarpe che mio padre conosceva bene perché le aveva indossate, dato che a quei tempi era abbastanza frequente che i fratelli si scambiassero gli indumenti». Ma il riconoscimento non bastò? «Per Dalla Chiesa - risponde Placido - sì, tanto che sulla base di quelle prove mandò a giudizio Luciano Liggio e i suoi complici. Ma la Cassazione, alla fine, decise che non c’era la certezza che quei resti fossero di mio zio».Ci sono i boss, ma lui noLa sentenza romana fece da pietra tombale all’intera vicenda, in un clima di rimozione della mafia che permetteva passassero inosservati i 56 sindacalisti assassinati, dallo sbarco degli americani al dopo Giuliano. Ma la famiglia Rizzotto non ha dimenticato e si chiede come sia possibile che il cimitero di Corleone possa ospitare la tomba di Luciano Liggio e di tanti altri capimafia, mentre all’eroe dell’antimafia sia negata la sepoltura.«Nel marzo dell’anno prossimo - ricorda Placido - cade il sessantesimo anniversario dell’assassinio. Sarebbe bello se per quella data si potesse avere la certezza sui reperti e finalmente dare riposo a mio zio. Noi ci siamo rivolti a tutti quelli che potevano aiutarci. Le Camere del Lavoro di Palermo e di Corleone hanno intrapreso contatti con la Commissione antimafia».Il vicepresidente dell’organismo parlamentare, Giuseppe Lumia, conferma. «Una prima ricerca - dice - cominciata qualche anno fa, a Palermo e a Roma, non ha dato buon esito. Non si è riusciti a ricostruire il percorso negli anni toccato a quei resti. La Commissione, però, farà in modo che un esperto si dedichi esclusivamente alla ricostruzione del percorso giudiziario, attraverso gli archivi dei corpi di reato, di ciò che resta di Placido Rizzotto. E’ un impegno che dobbiamo alla famiglia e alla memoria dei siciliani. Contemporaneamente faremo in modo di ottenere che la magistratura possa disporre una nuova ispezione della foiba di Rocca Busambra, nella speranza di trovare altri reperti».La foto e le lacrimeL’operazione non dovrebbe essere particolarmente difficile. «La bocca di quella fossa comune - aggiunge Placido Rizzotto - fu chiusa, murata per ordine dell’allora ministro dell’Interno Scelba. Quello che c’era là dentro, perciò, non dovrebbe essere stato alterato da elementi successivi alla data della prima ispezione». Ma anche i reperti già trovati potrebbero funzionare per la prova del Dna, se ci fosse un elemento di raffronto. «Il campione esiste», rivela Placido. «Io stesso lo conservo in cassaforte. Quando mio padre si trovava sul letto di morte, nel 2001, gli tagliai una ciocca di capelli e la conservai, proprio per non precludere alcuna strada ai tentativi di riconoscere i resti dello zio. Quei capelli sono al sicuro, se si trovassero quelli raccolti a Rocca Busambra forse potremmo sperare in qualche certezza». Già, perché i Rizzotto non si arrendono facilmente.Anche Lucia, ormai avanti negli anni, mostra la foto del cognato e piange. E ricorda che il figlio, Placido, porta quel nome in memoria dello zio, lui che è nato due anni dopo la morte di «Rizzotto il segretario della Camera del Lavoro di Corleone».
La Stampa, 17 dicembre 2007
FOTO. Un'immagine inedita di Placido Rizzotto, donataci dai suoi familiari, che ringraziamo.

1 commento:

Maurizio ha detto...

� doveroso trovare i resti del Sindacalista Corleonese, per dare degna sepoltura. Sarebbe bello nell'anniversario di morte celebrare prima la S. Messa e dopo accompagnare l'amico coraggioso Placido Rizzotto nel nostro cimitero. Dovrebbe partecipare tutta Corleone.