di Gaetano Alessi
Un gesto della mano, una striscia di color nero, un rumore invadente che entra sibillino nelle orecchie, ed ecco cancellato, da una bomboletta spray, il nome di una città da un cartello stradale. Non un nome qualunque, ma il "nome" di quella che è ritenuta la città simbolo di "cosa nostra": Corleone. E' accaduto a Raffadali, una piccola cittadina della provincia di Agrigento. Un atto di bassissimo rilievo, una goliardata si potrebbe definire. Ma il momento in cui avviene lascia un'inquietudine latente. E' bastata la messa in onda di uno sceneggiato televisivo per scatenare immediatamente, in una parte dell'opinione pubblica, la voglia di cancellare dalla faccia della terra un'intera comunità. Come se Corleone (e con lei tutta la Sicilia) fosse la città e la terra di Riina, Provenzano, Bagarella. Loro e di nessun altro. Non entrerò nella facile polemica del Si o No alla fiction di Canale 5 che, per dirla in termini giornalistici, ha "armato la mano" dell'imbrattatore solitario. Un film è sempre un film. Poi se al Ministro Mastella, che ha fatto da testimone di nozze ad un pentito di mafia, Campanella, non piace, sono solo affari suoi. Ma in Italia è facile cancellare storie, è facile tirare una riga, individuare un nemico "ombra", piazzare l'etichetta e poi agire di conseguenza. "Corleone (e la Sicilia) è terra di mafia è basta", sembrano sottintendere, magari con parole garbate, molti intellettuali chiamati a disquisire sul tema. Ma non è così. La Sicilia non è la terra di Riina, è la Regione di Paolo e Rita Borsellino. Corleone è il paese di Placido Rizzotto, è il luogo dove si conobbero Pio La Torre e il generale Dalla Chiesa, è il posto in cui i coraggiosi attivisti della Sinistra Giovanile, con l'allora "capo dei capi" ad un palmo da casa loro, affissero dei manifesti con la scritta "Provenzano Wanted". Questa è Corleone. Questa Corleone non deve essere cancellata né da un cartello stradale, né dall'immaginario collettivo. Questa Corleone è l'esempio di un popolo che si ribella alla sopraffazione, alla violenza. Questa Corleone è l'icona di una Sicilia che non vuole essere tacciata come terra di mafia, che non vuole vedere cancellata, magari con una striscia di vernice, la vita di sei milioni di persone. Sei milioni di anime, pensieri, sospiri e tante, troppe vite spezzate. Questi morti (non erano eroi. Non è eroe chi fa il proprio dovere, chi cammina a testa alta, sono vigliacchi gli altri che non lo fanno), hanno permesso a tutti gli italiani di vivere in una nazione diversa, più libera. Atti eclatanti come i manifesti "la mafia fa schifo", affissi dal Governatore Cuffaro (rinviato a giudizio per associazione mafiosa) o piccoli gesti, come la cancellazione del nome di Corleone dai cartelli stradali, sono solo azioni squallidamente folcloristiche che vanno ad armare i cannoni di chi vuole che l'equazione Sicilia = mafia sia perfetta. Per essere contro "cosa nostra" non serve cancellare, necessita ricordare e valorizzare tutto quello che l'isola ha di bello. Bisogna riconquistare le piazze perdute e non abbandonarle al proprio destino. Occorre essere orgogliosi di quello che siamo, siciliani, e fare sentire fuori posto tutte quelle persone, politici, imprenditori, che con la mafia lucrano e convivono. Non serve dire che qualcosa fa schifo, serve dimostrare ogni giorno che lo fa davvero. Solo così cominceremmo ad essere uomini degni di questo nome e a prenderci cura del pezzetto di creato che ci è stato assegnato. La Sicilia senza l'aiuto di "tutti" i siciliani è destinata a morire per una overdose di merda. Il fronte dell'antimafia oggi è alto, e va dalla costellazione di associazioni che lavorano sul territorio, a chi ogni attimo combatte la propria battaglia contro la criminalità. Questa è la realtà che va sottolineata, messa in evidenza e aiutata in ogni modo. Perché? Semplicemente: Noi non siamo come loro..... non siamo come loro.
Tratto da: www.articolo21.info
domenica 9 dicembre 2007
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