giovedì 27 dicembre 2007

Appalti, pizzo e uomini da uccidere: l'archivio segreto dell'ultimo boss

IL DOCUMENTO. L'impero del boss Lo Piccolo svelato da mille pagine di lettere e pizzini

di FRANCESCO VIVIANO

PALERMO - C'è tutto l'universo mafioso, dal 2000 ai giorni nostri, nell'archivio segreto dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, arrestati il 29 novembre. Erano loro che, insieme a Matteo Messina Denaro (boss ancora latitante) avevano preso il potere in Sicilia dopo l'arresto dei capi di Cosa Nostra, prima Bernardo Provenzano e poi Nino Rotolo. E quella che emerge dalle carte sequestrate nel loro covo, centinaia di pizzini, lettere e appunti, è una vera e propria mappa globale di Cosa nostra. È una documentazione voluminosissima. Oltre mille pagine che gli investigatori antimafia stanno ancora decifrando e che Repubblica ha potuto vedere in anteprima. Dentro c'è tutto. Gli affari di Cosa nostra, dalle sale Bingo nel nord Italia ed in Sicilia alle sorgenti d'acqua nell'isola ed in Calabria, al traffico di cocaina con il sud America gestito con la 'ndrangheta. E poi i nomi di tutti gli uomini d'onore, tutti gli appalti pubblici e privati, dai lavori all'aeroporto di Palermo, a quelli degli ospedali, delle caserme, della metanizzazione, della metropolitana, dei lavori al tribunale. C'è poi la mappa del pizzo di tutta la città di Palermo (centinaia di imprenditori, commercianti, artigiani, anche parrucchieri e pescivendoli) che pagavano con cadenza mensile o annuale. E ancora gli interessi del clan Lo Piccolo nel Palermo Calcio, dagli appalti per la costruzione del nuovo stadio alle scelte degli allenatori per squadre minorili. Non mancano resoconti, timori e richieste di pareri sulla vita ed i contrasti interni a Cosa nostra, con le lettere di Provenzano, Rotolo e Messina Denaro, impegnati a placare la guerra in corso all'interno dei clan catanesi, e i ricorrenti accenni al problema degli americani, i membri del clan Inzerillo fuggiti all'estero durante la guerra degli anni '80 e intenzionati a rientrare in Sicilia. Vicende sfociate nella crisi di Cosa nostra, decimata dalle operazioni di polizia e carabinieri, con i boss superstiti in grosse difficoltà. "Ormai siamo rimasti in tre" scriveva Provenzano - prima di venire catturato - in una lettera a Lo Piccolo, alludendo a loro due e a Messina Denaro.

I BOSS E I SERVIZI SEGRETI - I Lo Piccolo avevano sempre informazioni di prima mano, sapevano anche chi erano i "confidenti" dei servizi segreti. "Sono due fratelli e sono in contatto con i servizi segreti di Roma e Palermo, diciamo che sono rapinatori, uno si chiama... abita... e vive... l'altro si chiama.." comunica un uomo di fiducia del boss. Lo Piccolo veniva informato anche di chi entrava ed usciva dal carcere, segnalando quelli che dovevano essere "astutati" cioè spenti, uccisi. Come quando uscì dal carcere Nicola Ingarao, ammazzato subito dopo dal clan Lo Piccolo. I boss avevano inoltre tutte le schede relative alle persone che in un modo o in un altro dovevano essere "avvicinate" per la tangente sugli appalti, sulla costruzione dei grandi ipermercati. Ma anche per l'apertura di un panificio o di una officina meccanica. Insomma un controllo capillare.

I CONTI DI COSA NOSTRA - Tutto veniva registrato nei libri contabili di Cosa nostra, tutte le entrate e le uscite, gli incassi del pizzo e le spese per gli stipendi ai mafiosi (dai 5mila ai 3mila euro per i capi, poco meno per i picciotti) ai carcerati, agli avvocati. Ma anche pizzini e lettere su fatti intimi dei Lo Piccolo, dagli amori (soprattutto del figlio Sandro che, latitante, intratteneva una serie di relazioni), alle ricette di cucina. Gli affari principali dei Lo Piccolo che agivano anche per nome e per conto di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro, erano o sono sparsi in tutta la Sicilia. Tutte le imprese che appaltavano lavori pubblici, anche quelle che venivano "da fuori" e che realizzavano opere a Palermo, erano tutte "avvicinate". Gli uomini di Lo Piccolo avevano anche le "gazzette" degli appalti e per ognuno di loro individuavano il titolare dell'impresa il titolare dei lavori e gli "amici" che dovevano avvicinarli. Per esempio quello della metropolitana che congiunge Palermo con Carini, vicino l'aeroporto di Punta Raisi.

UN SUPER CENTRO BENESSERE - "Altro lavoro per la metropolitana - scrivevano a Lo Piccolo - che va da Roccella a Carini, il lavoro l'ha preso una ditta di Torino che ha sede per il cantiere a Palermo. Questi amici mi dicono che ci possono arrivare con il capocantiere che è catanese. Fratello ditemi voi come mi devo comportare...". Chi scrive è un "cugino" di Lo Piccolo che controlla i "lavori", anche quelli degli uomini d'onore che intendono riciclare in altre attività il denaro sporco. Tra i progetti del clan c'era anche la realizzazione di un centro benessere di cinque piani. "Carissimo... per quelli che stentano a pagare abbiamo già provveduto con l'attak... Per il lavoro all'ospedale civico faremo sapere al nostro uomo il nominativo a cui rivolgersi... La settimana scorsa mi sono incontrato con... ed abbiamo il progetto di realizzare un centro benessere a cinque piani, con parruccheria, centro estetico, piscina ed altri reparti e sarebbe tutto convenzionato, anche se c'è lo zampino di quel crasto (montone, ndr) di dottor.... Vorrebbero affidarlo direttamente a me. Comunque valuta tu la cosa e poi mi fai sapere".

IL BUSINESS DEL PIZZO - Un altro business di Cosa Nostra, che faceva entrare nelle casse dei Lo Piccolo milioni di euro erano la gestione capillare del toto nero, del lotto clandestino e il pizzo a tappeto su imprenditori, commercianti. A Mondello, per esempio, nota località balneare a due passi da Palermo, pagavano quasi tutti. Locali celebri inseriti nelle guide dei ristoranti, trattorie, gelaterie, parrucchieri, pub. Anche i cantieri navali Motomar. E al pizzo non sfuggiva neanche il settore "sportivo". Pagavano il bowling, l'ippodromo, la piscina comunale, il palazzetto dello sport e tutte le ville e palazzi dove si svolgono convegni e congressi. La situazione non è diversa nel centro di Palermo dove pagavano anche notissimi commercianti e leader dell'abbigliamento in genere. Come le concessionarie Bmw a Palermo e la catena dei negozi Giglio, Bagagli e Visiona. Al pagamento del pizzo non sfuggivano neanche i liberi professionisti, come alcuni architetti e veterinari.

LE MANI SUL CALCIO - Una fitta corrispondenza sequestrata nel covo dei Lo Piccolo è relativa al "Palermo Calcio". Anche lì Cosa nostra aveva degli infiltrati che erano in strettissimi rapporti con dirigenti della squadra di calcio. "Caro Padrino - scrive un picciotto a Lo Piccolo - volevo aggiornarti sullo stadio: è venuto Pecoraro (responsabile tecnico del settore giovanile del Palermo) dicendomi che l'aveva chiamato Milano (personaggio ritenuto vicino ad ambienti mafiosi, ndr) che voleva andare a parlare con Foschi (direttore sportivo del Palermo, ndr)". Foschi però aveva dirottato questi personaggi verso Rinaldo Sagramola, amministratore delegato del Palermo e braccio destro di Zamparini. "Milano è sempre agli allenamenti del Palermo e addirittura parte con lo stesso aereo della squadra, come se fosse uno di loro. Foschi e Sagramola gestiscono milioni di euro. Io ti dico queste cose che se tu già sai siamo a posto, in caso contrario vedi tu come devi fare...".

IL RIENTRO DEGLI AMERICANI - Non mancano, nell'archivio di Lo Piccolo, anche le missive inviate da Provenzano sul caso degli "americani". I boss Nino Rotolo e Salvatore Lo Piccolo non sono d'accordo sul rientro degli "americani", i familiari del boss Totuccio Inzerillo, ucciso dai corleonesi, ed investono della vicenda Bernardo Provenzano. "Io vi prego - scrive Provenzano a Lo Piccolo - di trovare un accordo tutti insieme quelli che siamo fuori e la dove è possibile risolviamo le cose con la responsabilità di tutti... Parenti di Totuccio Inzerillo, Sarino suo fratello sta tornando dall'America per stabilirsi qua, perché dicono che in America se la passa male. Io sono del parere di valutare bene questa situazione. Il mio cuore volesse pace e serenità per tutti, se dipendesse solo da me la vicenda sarebbe risolta, ma dobbiamo creare le condizioni...".

(La Repubblica, 27 dicembre 2007)

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