giovedì 6 dicembre 2007

Editoria: così ti ammazzo i giornali antimafia

di Roberto Scardova
Quanti sono? Quaranta, cinquanta, forse più. Dove sono?
Ovunque, annidati nelle città, nei quartieri,nei piccoli paesi della Sicilia, della Puglia, della Calabria. Come vivono? Male, malissimo: ma vivono, sostenuti dal sacrificio di cento, mille volontari. Chi li aiuta? Nessuno.
Sono i giornali, le testate antimafia. Dichiaratamente, programmaticamente votati a denunciare la condizione di illegalità cui tanta parte della popolazione è costretta a sottostare. Periodici a stampa, giornali elettronici, anche emittenti radiofoniche e piccole televisioni locali. Messi insieme, hanno migliaia di lettori ed ascoltatori. Diffusi in modo militante da giovani dalle più diverse estrazioni. Qualcuno arriva anche nelle edicole: non più rifiutati, per fortuna, perchè un numero sempre crescente di lettori li chiede,li compra, li apprezza. Ma il loro rimane uno spazio marginale, ancora. Sopraffatti da un monopolio informativo di tutt'altro segno,dalle grandi imprese editoriali che - è il caso di Catania – appaiono legate a filo doppio con interessi politici e finanziari ben lontani dalle istanze di democrazia, partecipazione e pulizia di cui è animata la società civile.
E' possibile determinare condizioni diverse per l'informazione che nasce invece “dal basso”, dalle condizioni reali della gente, dalla miseria dei quartieri abbandonati a se stessi, dalle piccole imprese vessate dalla criminalità, dai giovani disoccupati, dalla scuola fatiscente? Attorno a questo interrogativo si è tenuto a Catania, presso la locale Università, un seminario (significativamente intitolato “Sbavaglio”) cui hanno preso parte i redattori di numerosi periodici ed emittenti attivi nelle regioni meridionali. Molti giovani, parecchi giovanissimi, ed alcuni che giovani non sono più: gli amici ed i collaboratori di Giuseppe Fava, il collega assassinato ormai ventiquattro anni fa per le incisive e coraggiose inchieste pubblicate dalla sua indimenticata rivista “I Siciliani”.
L'eredità lasciata da Pippo Fava è stata prolifica. Nella sola Catania vedono la luce, fortemente ispirate alle sue battaglie civili, riviste come “Casablanca” diretta da una battagliera Graziella Proto ,fondatrice della società editrice dal nome quanto mai evocativo:“Le Siciliane”. Ed ancora mensili come “ L' Isola possibile” in edicola con Il Manifesto ogni ultimo martedì del mese). Ed il giornale di quartiere “I Cordai”,organo dell'omonimo centro sociale coordinato da Giovanni Caruso, un antico collaboratore di Pippo Fava. E' divenuto cieco, Caruso:ma ciò non gli impedisce di utilizzare con efficacia le moderne tecnologie informatiche,e di produrre un giornale che i ragazzi,i suoi allievi, distribuiscono nei bar, nelle barberie, agli angoli delle strade a dispetto delle cosche (la famiglia Santapaola, ma non solo quella) che di via dei Cordai vorrebbero fare proprio regno incontrastato.
E si sono aggiunti nuovi adepti. Come i boy scout del rione Librino, zona tristemente nota per il degrado che lo aggredisce senza efficaci contromisure da parte della città. La redazione ha trovato ospitalità in un ufficio della Caritas nel cuore del quartiere,e con il giornale “la Periferica”,in edizione sia on line che a stampa, intende consentire ai cittadini di raccontarsi in prima persona. Sono quarantamila abitanti, ma diventano settantamila coi clandestini: Alle prese con servizi sociali disarmati, stabili e cortili fatiscenti, spaccio e corruzione in ogni dove, e tutt'attorno la speculazione che incombe. Non ci sono altre voci a descrivere queste realtà. Non ci sono altre testate a contendere a questi ragazzi il privilegio di farsi megafono della gente inascoltata. A Catania, in particolare, la informazione risulta fortemente condizionata da un solo grande quotidiano, da un solo gruppo editoriale: ovviamente legato a filo doppio col governo della città, e con scelte amministrative che nessuno appare in grado di discutere,di contrastare. “Sbavaglio”, dunque. Sbavagliamo i mezzi di comunicazione, ha chiesto il seminario, diamo voce a chi vuole raccontare e protestare,a chi vuole denunciare, a chi semplicemente vuole far sapere che si può credere in una realtà diversa e migliore anche in Sicilia, anche in Calabria, anche nelle zone ove sembra cancellata la speranza. Per ottenere tale risultato, i redattori dei periodici riuniti a Catania hanno posto sul tappeto il problema di un coordinamento delle varie testate. Problema,appunto: perchè a tale risultato si lavora già da tempo, e non lo si è ancora conseguito nonostante le dichiarate buone volontà. Così che la apprezzabile pluralità delle testate (oltre a quelle citate vanno segnalate ancora Antimafia Duemila, Censurati.it, Cittanuove Corleone, Girodivite, Cuntrastamu.org, Il Pizzino, Itacanews, La Barchetta, Le Inchieste, Megaron, Mondonuovo, Napoli Monitor, L'isola dei cani, Navarra, Radio Archimede, RitaAtria.it, Spartacus, Stept, e la vivacissima televisione locale TeleJato) risulta ancora frutto di sforzi straordinari ma isolati. Un contributo significativo, anzi decisivo, può venire - è l'auspicio - dalla nuova legge sull'editoria in discussione al Parlamento. Le cose oggi stanno così: nessuna di queste testate, nessuna di queste piccole ma coraggiose esperienze editoriali è in grado di accedere ai contributi che la legge ora in vigore sembra garantire. Non un centesimo di euro dello Stato allevia i sacrifici, i costi che i gruppi dell'informazione di base debbono affrontare.
Mentre decine di milioni finiscono unvece nei bilanci dei gruppi editoriali già forti, e che forti diverranno ancora di più grazie ai processi di concentrazione ed acquisizione già in atto. Sino a controllare direttamente le reti distributive e persino le edicole: dopo di che potrebbe essere venduto soltanto quanto è di gradimento all'editore capo-fila.
Allarmante a questo proposito la comunicazione al seminario svolta da Giancarlo Aresta de Il Manifesto. Anche le misure a prima vista più favorevoli previste nel nuovo testo di legge non sembrano in grado di soccorrere i piccoli fogli indipendenti. Le forme cooperative dovranno ad esempio dimostrare di essere attive da cinque anni: e questa condizione apparentemente garantista risulta in realtà ostativaproprio per chi ha pochi mezzi. Nessuna delle testate qui citate è in condizione di sopravvivere per un lustro senza crollare sotto il peso di costi modesti ma sempre crescenti, di debiti pregressi che le banche ovviamente rifiutano di coprire. Aspetto questo non secondario dell'ostilità ambientale, quando essa non si manifesti ancora più drammaticamente. Riuscirà il Parlamento a correggere quella impostazione, a far sì che i contributi pubblici, la pubblicità istituzionale, giungano anche a chi con poche migliaia di euro può continuare a vivere, a tentare di “sbavagliare” l'informazione?
I parlamentari presenti al seminario di Catania – Lidia Menapace e Santo Liotta di Rifondazione, Orazio Licandro dei Comunisti Italiani, Giovanni Burtone del Partito Democratico – si sono detti favorevoli ad emendamenti volti a creare le condizioni perchè contributi e facilitazioni possano raggiungere anche le testate più deboli. Nei loro messaggi Nando Dalla Chiesa, Giuseppe Giulietti e Giuseppe Lumia hanno assunto lo stesso impegno.
06.12.2007
da www.liberainformazione.org

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