mercoledì 12 dicembre 2007

La Biblioteca Marchese, una realtà culturale a Giuliana

di DORA MARAN
C’era una volta (e c’è ancora) la figura del medico umanista, una tradizione che, come un fiume carsico, scorre da Giovanni Meli a Giuseppe Pitrè e a Salvatore Salomone Marino per arrivare ai contemporanei Giuseppe Bonaviri, Antonio Pasqualino ed Aldo Gerbino, tanto per limitarci alla sola Sicilia, con qualche presenza ancora oggi inattesa, come quella di Antonino Giuseppe Marchese, attivo in un piccolo centro dell’entroterra palermitano, Giuliana, ove ha fondato, tra l’altro, una ricca biblioteca, con i suoi circa 12.000 volumi raccolti nell’arco di un trentennio.
Allogata al pianoterra della sua casa natale, al n° 9 di via Tomasini, una stradina del centro storico nei pressi del castello medievale, essa è meta di numerosi studiosi, non solo del territorio, con preferenza degli studenti universitari, che vi trovano libri specialistici per le loro tesi di laurea, specie di architettura e di storia dell’arte siciliana, storia medievale e moderna, etnoantropologia. Una sezione della biblioteca è riservata ai volumi sulla storiografia municipale dell’isola, ma non mancano classici della letteratura italiana ed europea, latina e greca, manuali di storia dell’arte, di storia della musica e di storia della scienza, riviste letterarie e scientifiche, enciclopedie tematiche e generali. Per non parlare della sezione dei libri con dedica di autori illustri (Vincenzo Consolo, Giorgio Forattini, Pino Caruso). Manca lo schedario dei libri poiché il suo fondatore ne ritiene a mente tutti i titoli. Tra i grandi assenti c’è anche il computer, con evidente disappunto di Bill Gates; ma non manca la storica Olivetti lettera 22 che fu tanto cara ad Indro Montanelli e a Leonardo Sciascia e che ha trovato collocazione nella sezione moderna del Metropolitan Museum di New York.
Vi è annessa, pure, una cospicua raccolta di pietre dure, provenienti dal territorio, i famosi diaspri di Giuliana, che furono catalogati per primo, nel tardo ‘700, da un viaggiatore polacco, il conte de Borch, ma che erano già noti sin dal ‘500 alla famiglia Medici, che le faceva estrarre per il proprio Opificio fiorentino delle pietre dure.
Quasi a manifesto del suo credo culturale, Antonino Marchese ha voluto riportare, esposte in un cartiglio appeso ad una parete, alcune celebri frasi di pensatori antichi e moderni: “Una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta” (Socrate); “Una casa senza libri è come un corpo senza anima” (Cicerone); “Soltanto l’uomo colto è libero” (Epitteto); ”Un libro deve essere un’ascia nel mare di ghiaccio che è dentro di noi”(Franz Kafka); “Con lo scrivere si può forse cambiare il mondo, con il narrare non si può” (Consolo).
La “biblioteca Marchese” ha ricevuto negli anni passati la visita di varie personalità di fama internazionale come lo storico dell’arte tedesco Wolfgang Krönig (Università di Colonia), e i sociologi americani Jeane e Peter Schneider, ed in epoca più recente dell’antropologo olandese Anton Blok (Università di Amsterdam), del geologo e ricercatore tedesco Ralf Schmidt, del biologo italiano dello sviluppo Giovanni Giudice (Università di Palermo), dello storico italiano del mondo antico Giuseppe Nenci (Università di Pisa), dello storico e critico d’arte Vittorio Sgarbi, dello storico ed ecclesiastico Cataldo Naro (il compianto arcivescovo di Monreale), del poeta-magistrato siciliano Antonio Osnato e del dermatologo palermitano Salvatore Amato (attuale presidente dell’Ordine dei medici di Palermo).
Anche Giuseppe Colca, assessore ai Beni Culturali della Provincia Regionale di Palermo, ha voluto visitare la “biblioteca Marchese”, che costituisce, a suo dire, “un fenomeno unico nel panorama culturale del Corleonese, e non solo, degna di stare a fianco di altre notevoli risorse culturali come il Museo dell’Orologio ‘Famiglia Scibetta’ di Bisacquino ed il Museo Etnografico ‘San Leoluca’ di Corleone, quest’ultimo fondato da don Calogero Giovinco e dai suoi collaboratori. Tale biblioteca -prosegue ancora Colca- se non altro per il suo spiccato ruolo sociale, meriterebbe l’attenzione delle istituzioni; tanto più che il suo fondatore, il Dottore Marchese, è uno studioso apprezzatissimo, e non solo da parte del mondo accademico, con al suo attivo numerose pubblicazioni sulla storia del territorio, entrate ormai a pieno titolo nella bibliografia ufficiale nazionale”.
Intellettuale di scoglio piuttosto che di mare aperto, studioso appartato ma non isolato, grande organizzatore culturale (di recente ha curato, a Chiusa Sclafani, su invito del Comune, un convegno di studi sulla storia della medicina rinascimentale in Sicilia, in omaggio a Giovanni Filippo Ingrassia, con la partecipazione di oltre trenta studiosi), Marchese ha partecipato, tra l’altro, ad alcune iniziative editoriali della Provincia Regionale di Palermo, sia come redattore dei Personaggi di Provincia, a cura di Tommaso Romano, che come curatore dell’opera collettanea L’Abbazia di Santa Maria del Bosco di Calatamauro, fresca di stampa, fortemente voluta dall’assessore Colca.
Antonino Giuseppe Marchese è nato nel 1949 a Giuliana, ove ha trascorso gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza per poi trasferirsi, nel 1963, a Palermo ove ha intrapreso gli studi superiori ( è stato allievo del liceo scientifico statale “Stanislao Cannizzaro”, di cui ricorda ottimi maestri come Salvatore Onufrio e Laura Catalano), per poi iscriversi alla facoltà medica dell’Università, conseguendo la laurea con una tesi di istologia.
Formatosi nella temperie politico-culturale del Sessantotto (pur non definendosi propriamente un “sessantottino”) è venuto in contatto per tempo con taluni intellettuali palermitani come Piero Violante, Aurelio Pes, Aldo Gerbino e Salvatore Pedone. Ha quindi frequentato, negli anni Settanta la biblioteca della Società Siciliana per la storia Patria (divenendone poi socio, su invito di Massimo Ganci) aderendo anche all’Associazione per la Conservazione delle tradizioni popolari fondata da Antonio Pasqualino. Studioso dai molteplici interessi, collaboratore delle pagine culturali di vari giornali e riviste, a diffusione regionale e nazionale, (“Il domani”, “Avvenire”, “Cronache”), viene in contatto, nei primi anni Ottanta, con l’editore Renzo Mazzone, titolare della casa editrice Ila-Palma, col quale ha pubblicato il maggior numero dei suoi libri.
Nel 1997 è stato nominato Cultore di storia dell’arte nella facoltà di Ingegneria dell’Università di Palermo e nel 1999 gli è stato conferito il Premio Letterario Internazionale “Pietro Mignosi” (per il suo volume Jacopo Siculo, pittore del sec XVI, con prefazione di Giovanna Sapori). Attualmente Marchese vive a Giuliana, ove affianca alla sua professione di medico l’interesse per la ricerca storica, praticando anche, nelle ore libere, l’agorazein (proprio come i greci dell’età di Socrate), scendendo cioè in piazza alla ricerca di persone anziane con le quali conversare, specie ex contadini ed artigiani, depositarie della memoria storica della comunità.
Medico e storico, con all’attivo circa trenta pubblicazioni, non avverte dunque una qualche contraddizione tra i due ruoli?
«Certamente no, ove si ricordi che la medicina è la più 'umana' tra tutte le scienze e che l’Umanesimo (le humanae licterae) si basa appunto sull’attività spirituale e culturale dell’uomo. D’altra parte, la separazione tra le due branche del sapere, quello scientifico e quello umanistico, è il frutto della cultura post-illuministica; sino al ‘700, infatti, i due saperi erano unificati, ove si pensi a figure come Galileo e Cartesio, ed ove si ricordi, anche, che la riforma degli studi medici voluta da Federico II, fondatore dell’Università di Napoli, oltre che promotore della famosa Scuola poetica siciliana, prevedeva il rilascio del titolo dottorale in “medicina e filosofia”».
Mi sembra che ci sia stata un’evoluzione nel suo percorso storiografico: da storico locale a storico dell’arte e a storico della medicina. C’è un filo conduttore che lega questi tre aspetti della ricerca?
«In un certo senso si: è il territorio che fa da tessuto connettivo a questi tre filoni di ricerca. I miei primi interessi su Giuliana (il castello, le chiese, gli stuccatori Ferraro, le feste religiose) si sono poi estesi all’area corleonese (e alla Sicilia, più in generale) con particolare attenzione all’arte di Chiusa Sclafani (i fabbri lignari Lo Cascio), di Bisacquino (la presenza di Giacomo Serpotta) e di Corleone (tra i Gagini e i Ferraro), nonché alla storia della medicina (gli speziali di Corleone del ‘700; Ingrassia e i medici di Chiusa Sclafani del ‘500). Recentemente ho redatto anche un centinaio di voci di medici per l’Enciclopedia della Sicilia dell’editore Ricci, a cura di Caterina Napoleone».
Crede che sia più facile occuparsi di microstoria piuttosto che di macrostoria?
«La “microstoria”, il cui termine è stato coniato dalla scuola francese di Les Annales, non si può studiare bene senza la conoscenza della “macrostoria” e viceversa. Per lo storico della prima bisogna, infatti, puntare un occhio al microscopio ed uno al cannocchiale, altrimenti si rischia di non comprendere a pieno i fenomeni locali, non solo di natura storica ma anche linguistica. Lo stesso Benedetto Croce ha voluto studiare la storia della sua piccola città, Pescasseroli, oltre che di Napoli, d’Italia e d’Europa».
Si spieghi meglio.
«Studiando la microrealtà culturale di Giuliana, sia in senso sincronico che diacronico, mi sono imbattuto, per esempio, in una ninna-nanna (da me raccolta dalla tradizione orale) che fa riferimento, tra l’altro, al basilico, una pianta carica di contenuto simbolico che si incontra anche in una composizione analoga della Romania studiata da Antonino Uccello. Anche il termine lupucuviu da me registrato a Giuliana, che sta ad indicare una persona scontrosa e asociale, viene collegato dai linguisti più qualificati, come Antonino Pagliaro, al latino “lupus Iguvii” (lupo di Gubbio) e perciò alla predicazione dei francescani, i cui conventi erano massicciamente presenti in area corleonese, e quindi anche a Giuliana, ove nel convento di Sant’Anna visse, tra gli altri, San Benedetto il Moro. Per fare ancora un’ultimo esempio, e in relazione alla medicina popolare tradizionale, ho avuto modo di raccogliere, sempre a Giuliana, una locuzione del seguente tenore: ‘u muzzicuni du cani si cura cu ‘u pilu du cani (il morso del cane si cura col pelo del cane stesso che ha morsicato), il che deriva con estrema evidenza dall’antico sapere della medicina omeopatica, col suo principio del simile che cura il suo simile (similia similibus curantur)».
Dunque Giuliana come osservatorio privilegiato della grande storia?
«Tale concetto era stato in verità già intuito da Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, che fu un apprezzato storico locale, allorché ebbe a rilevare come “pure da una piccola finestra di un piccolo centro come Recanati si può osservare il mondo”. Evidentemente con l’ausilio di una vista acuta. Lo stesso Sciascia amava leggere un giornale “locale” pubblicato nella vicina cittadina di Sambuca di Sicilia (la patria dello scrittore verista Emanuele Navarro della Miraglia) e diretto da Alfonso Di Giovanna, al quale anch’io ho collaborato, poiché vi vedeva riflesso un rapporto mutuale tra microrealtà e macrorealtà».
Quali sono i suoi progetti culturali per l’immediato futuro?
«Nell’immediato, la pubblicazione dei Conti civici di Giuliana (ossia i bilanci del Comune) della prima epoca borbonica, con prefazione di Leoluca Orlando, poi la stesura dell’editio maior dei Ferraro da Giuliana e quindi di un libro, condotto sul filo della memoria, incentrato sul mondo contadino di Giuliana, definitivamente spazzato via alle soglie degli anni Sessanta del secolo appena trascorso, sia per la massiccia emigrazione che per l’irruzione della televisione (o “videozia” come la chiamano oggi i sociologi americani) che ha preso il posto dell’arcolaio nelle umili abitazioni del paese. Convinto come sono che la memoria storica (o filogenetica) di un luogo si prolunga necessariamente in quella umana (o ontogenetica) dello studioso che vive in quel determinato luogo, anche perché, parafrasando Konràd, possiamo dire che ricordare è umano, la cosa più umana di per sé. Del resto non è questa anche la “scienza certa” alla quale allude Gerge Luis Borges?».

Dora Maran

FOTO. Dall'alto in basso:
Con il critico d’arte Vittorio Sgarbi (17 aprile 2004);
Con l’arcivescovo di Monreale Cataldo Naro (2 marzo 2005);
Con l’assessore provinciale alla Cultura Pino Colca (2 dicembre 2007);

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