Salvo Palazzolo
Massimo Ciancimino depone al processo che vede imputato l’ex generale del Ros e capo del servizio segreto civile di aver favorito la latitanza del capo di Cosa nostra. E parla degli investimenti del padre e di alcuni influenti padrini
Parla del padre Vito, potente sindaco di Palermo, e dell’amico complice di sempre, Bernardo Provenzano: “Si vedevano spesso – dice - anche a Roma, fra il 1999 e il 2002”. Massimo Ciancimino parla soprattutto degli affari e delle trame del padre: “Era vicino a mafiosi che avevano una grande capacità imprenditoriale, come i fratelli Buscemi e Franco Bonura. Assieme investirono soldi anche nell’operazione di Milano 2”. Massimo Ciancimino parla soprattutto della trattativa che il padre avrebbe intrattenuto con l’allora colonnello del Ros Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno: “Prima della strage Borsellino – dice il testimone – il colonnello incontrò più volte mio padre, nella nostra casa romana di via San Sebastianello. Almeno due volte prima del 29 giugno, quando il dottore Antonino Cinà (il medico di Riina - ndr) mi consegnò a Palermo il cosiddetto papello, che io portai subito a Roma. Dopo il 29 giugno, ci fu un altro incontro fra Mori e mio padre”. Ciancimino non usa mezzi termini. “La richiesta dei carabinieri era chiara, così mi spiegò mio padre dopo quegli incontri: volevano stabilire un canale privilegiato per interloquire con i vertici dell’organizzazione mafiosa. Mio padre riteneva quella strategia uno sbaglio da parte delle istituzioni, era come accreditare la linea folle di Riina”. Il pm Nino Di Matteo chiede a Ciancimino: “Cosa chiedevano esattamente i carabinieri?”. Il figlio dell’ex sindaco spiega: “Volevano la resa incondizionata dei capimafia, in cambio di un trattamento di favore per i familiari dei boss”. Su tutta l’operazione, dice Ciancimino, avrebbe vigilato Bernardo Provenzano, che autorizzò la trattativa. “ Mio padre seppe poi dal signor Franco, suo referente nei servizi segreti, che di quella trattativa erano informati gli onorevoli Mancino e Rognoni. Mio padre ne parlò con i carabinieri. E dagli stessi ebbe conforto in tal senso”.
Il racconto di Ciancimino comincia da lontano. “Provenzano me lo ricordo da bambino – dice Ciancimino junior – io lo conoscevo come il signor Lo Verde, veniva a trovarci spesso nella nostra casa di villeggiatura di Baida, alle porte di Palermo. Solo molto tempo dopo, a fine anni Ottanta, vidi per caso l’identikit di un capomafia sulla rivista Epoca, mentre ero al barbiere con mio padre. Era Provenzano, riconobbi l’uomo che veniva a casa mia. Chiesi a mio padre di quell’uomo. Mi rispose: stai attento al signor Lo Verde, da questa situazione non può salvarti nessuno”. Ciancimino junior racconta i segreti del padre Vito, il potente ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002: “Il signor Lo Verde – spiega – continuò a venirci a trovare anche quando mio padre era agli arresti domiciliari, nell’appartamento di via San Sebastianello, vicino a piazza di Spagna, a Roma. Dal 1999 al 2002. Mi incuriosiva quella situazione. Dissi a mio padre: ma non sono pericolosi questi incontri? Lui mi rispose senza tentennamenti. Disse che Provenzano poteva girare tranquillamente per Roma o in qualsiasi altra città, perché godeva di una sorta di immunità territoriale, basata su un accordo che anche mio padre aveva contribuito a stabilire. Un accordo che sarebbe stato stipulato fra il maggio 1992 e il dicembre dello stesso anno”.
Ciancimino sta rispondendo alle domande dei pubblici ministeri Nino Di Matteo e Antonio Ingroia. Nella prima parte della sua deposizione, iniziata alle 10, sta rievocando l’attività politico-mafiosa del padre. “Aveva creato un vero e proprio sistema – ha detto – suo compito era quello di spartire le tangenti dei grandi lavori pubblici di Palermo fra i politici e fra Cosa nostra, sempre tramite Provenzano”. Per i contatti più delicati, Vito Ciancimino utilizzava una linea telefonica riservata, installata nella sua casa di Palermo. “Spesso – aggiunge il teste – ero incaricato di consegnare buste chiuse a Provenzano”.
“Il rapporto fra mio padre e Provenzano era nato a Corleone – spiega Ciancimino junior - Abitavano nello stesso stabile: di tanto in tanto, mio padre dava lezione di matematica al giovane Bernardo. Molti anni dopo, si stupiva che lo chiamassero il ragioniere. In matematica non era stato mai bravo”.
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