La protesta degli agricoltori siciliani iniziata lo scorso Ottobre non si ferma, anzi cresce sempre più: le semplici manifestazioni degli agricoltori si trasformano ora in stati di assemblee permanenti che avvengono in maniera coordinata con gli altri paesi della Sicilia in cui si sono costituiti gli stessi comitati. A Prizzi presso i locali dell’aula consiliare, il comitato spontaneo per l’agricoltura ha deciso di dar vita a un’assemblea permanente per sollecitare il ministro dell’agricoltura Luca Zaia a stipulare un documento da presentare alla Commissione Europea di Bruxelles, affinchè dichiari lo stato di crisi dell’agricoltura.
A tale scopo gli agricoltori prizzesi, oltre ad occupare la sala consiliare, hanno deciso di manifestare depositando i loro trattori in piazza IV Novembre, cercando comunque di arrecare per il momento il minor danno possibile alla cittadinanza, «ma decisi a continuare financo ad occupare il comune se non arriveranno da parte del governo delle risposte concrete – afferma Salvatore Pecoraro, rappresentante del C. S. A. – non come quelle fatte ad Ottobre di fronte ai politici siciliani e ai C. S. A. di attuare uno stato di crisi che di fatto non ha mai avuto luogo». In questa battaglia gli agricoltori sono sostenuti dai rappresentanti degli Enti locali (Comuni, Province e Regione) e da una sempre più nutrita schiera di consumatori.
Le mobilitazioni delle imprese agro-zootecniche non solo prizzesi, ma di tutto il sud Italia, mirano ad ottenere interventi governativi urgenti per risollevare la crisi dell’agricoltura, la creazione di misure idonee per ristabilire il reddito delle aziende e ad assicurare un efficace sistema di tutela della sicurezza alimentare, sicurezza che forse in Italia non esiste più, poiché i prodotti agricoli che esportiamo vengono accuratamente controllati e selezionati, mentre per quelli che importiamo viene solo fatto un controllo “a campione”. Allora dobbiamo chiederci: se gli esperti del settore per effettuare tutti i controlli adeguati ci sono, perché non farli lavorare? Perché rischiare di avvelenare i cittadini italiani? Inoltre per gli allevatori siciliani è impossibile vendere animali nutriti con estrogeni e la loro carne d.o.c., controllata e certificata, viene esportata, contrariamente però si importano animali pieni di estrogeni. Perché? Dicono gli allevatori prizzesi: «Produciamo carne definita dagli esperti di ottima qualità, ma ci troviamo a dover combattere la concorrenza di carni provenienti da altri paesi dell’U.E., soprattutto della Francia. Sia noi allevatori che gli agricoltori, lavoriamo 12 ore al giorno e anche più, per poi vendere il latte a 0,31 centesimi di euro, con un costo di produzione che è di 0,45 centesimi di euro, mentre poi alcuni caseifici comprano il latte da trasformare in formaggio a 0,22 centesimi di euro, di cui non si sa nemmeno la provenienza, prezzo assurdo considerato il costo di produzione. Il grano viene venduto a 0,13 centesimi di euro con un costo di produzione che è di 0,25 centesimi di euro. Tutto ciò non fa che indebolirci e distruggerci, poiché non riusciamo più a bilanciare i costi con i prezzi dei prodotti che rimangono invenduti o sottopagati, perché al nostro grano ad esempio viene preferito quello proveniente dalla Romania e dal Canada».
Negli ultimi cinquant’anni sono state cinquantamila le aziende che sono state costrette a chiudere e continuando così ce ne saranno ancora molte. Ciò che i C. S. A. chiedono è che venga dichiarata dal governo la crisi socio-economica delle aziende agro-zootecniche siciliane e del sud Italia, affinchè non solo il governo nazionale ma anche quelli regionali stanzino risorse finanziarie ed economiche come già sta accadendo in altri paesi dell’U. E., che si rilancino sul mercato tutte le produzioni mediterranee, con l’obiettivo di ripristinare il reddito delle aziende e si realizzi soprattutto un’efficace sicurezza alimentare a tutela della salute del consumatore.
Maura Tuzzolino
giovedì 25 febbraio 2010
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