di GIOVANNI BIANCONI
Sembrerà un paradosso, ma fino a ieri mattina sbirri e magistrati avevano fatto il suo gioco. Avevano arrestato Bernardo Provenzano, un anno e mezzo fa, aprendo la partita della successione al vertice di Cosa Nostra, e due mesi dopo gli hanno liberato il campo dagli avanzi corleonesi.
La cattura del «triumvirato» che governava Palermo — Nino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, i quali ancora considerano Totò Riina come una stella polare — con annessi «rappresentanti», aveva spianato la strada al trono mafioso per Salvatore Lo Piccolo, 65 anni compiuti il 20 luglio scorso: l'autista diventato boss, cresciuto alla scuola palermitana dei «perdenti», passato coi vincenti e poi schieratosi al fianco dell'ultimo padrino, Provenzano, pronto a mettersi contro i vecchi alleati, nuovamente avversari. Tolti di mezzo nel giugno 2006 dagli arresti della polizia, invece che col piombo. Tanto di guadagnato per il nuovo capomafia che per una volta, nelle foto di rito dopo la cattura non si presenta con l'aria contadina e spaesata, ma quella un po' da duro e un po' «colletto bianco», più simile ai personaggi di tante fiction che alla tradizione dei latitanti caduti in trappola. E con un figlio al fianco, Sandro, ricercato pure lui per omicidio, completo di Rolex al polso, capelli impomatati e catena d'oro al collo, oltre alla pistola pronta all'uso. Particolare pressoché inedito per dei latitanti, conseguenza dell'aria che tira a Palermo: chi ha deciso di sparare per farsi largo, seppure con operazioni chirurgiche anziché la guerra, s'aspetta che qualcuno possa tirare un colpo verso di lui.
Quindi meglio portarsi dietro i ferri per proteggersi. Su Sandro Lo Piccolo è circolata perfino una notizia confidenziale che lo vuole tra gli assassini di Nicola Ingarao, un uomo di Rotolo ammazzato nel quartiere della Noce nel giugno scorso, scarcerato pochi mesi prima. La voce vale poco o niente, ma che ci siano i Lo Piccolo dietro gli omicidi dell'ultimo anno a Palermo e dintorni — delitti d'assestamento del nuovo potere mafioso in città, quello che governa prima di tutto le estorsioni e gli appalti — ne dubitano in pochi. Soprattutto di coloro da poco usciti di galera, legati ai vecchi equilibri: tornati liberi potevano pensare di riprendere in mano il filo di qualche affare o del racket, e li hanno eliminati. Come Ingarao. E prima Lino Spatola, boss settantaduenne di Sferracavallo, vicino al quartiere di Tommaso Natale, culla e regno di Lo Piccolo. E' sparito dalla circolazione a settembre 2006, vittima della «lupara bianca». Come Giovanni Bonanno, mafioso di Resuttana chiamato a un appuntamento a gennaio dell'anno scorso; di lui è rimasto solo il motorino appoggiato a un muro. Per quell'omicidio senza cadavere gli inquirenti ritengono che esista una specie di confessione di Salvatore Lo Piccolo, scritta in un pizzino inviato a Provenzano appena un mese dopo la scomparsa di Bonanno, 10 febbraio 2006: « Per quanto riguarda quello che si chiamava come il suo paesano (il riferimento sarebbe a un tale Leoluca Bonanno, di Corleone, ndr) purtroppo non c'è stato modo di scegliere altre soluzioni, in quanto se ne andava di testa sua. Per non arrivare a brutte cose, ce ne sono stati fatti parecchi, anche mettendogli una persona accanto, ma non è servito a niente. E a questo punto abbiamo dovuto prendere questa amara decisione ». Perfino la sintassi per giustificare un omicidio, se sono vere le accuse, è più intercettati nel 2005 e 2006 nel casotto dove conduceva le riunioni di mafia —... Uno che doveva morire! Perché questo era il figlioccio di Saro Riccobono (capo della "famiglia" di Partanna Mondello, assassinato nella guerra di mafia, ndr) e se ne doveva andare! ». Quindi Lo Piccolo era una vittima predestinata, salito sul carro corleonese giusto in tempo per trasformarsi da morto che cammina in fedelissimo dei vincenti: «Ci ho parlato pure io, Pippo Calò, Mario Gambino, per risolvere questa situazione, per non farlo ammazzare», continuava Rotolo.
Ma dopo l'arresto di Riina, negli anni Novanta, s'è nuovamente distaccato da quelli che l'avevano risparmiato, sponsorizzando presso Provenzano il rientro in Italia degli «scappati » in America, di cui Riina e soci avevano deciso lo sterminio. Ne scrisse allo «zio Binnu» nello stesso pizzino del 10 febbraio 2006. Nel cifrario in cui Provenzano aveva catalogato i mafiosi lui era il numero 30, suo figlio Sandro il 31, Cinà il 164, Rotolo il 25. « C'è un particolare che ci fa dovere informarla, che riguarda il discorso dei fratelli Inzerillo. Mi ha aperto 164 (di punto in bianco) il discorso dicendomi non insistere più per farli rimanere quà, perché all'epoca fu deciso che se ne devono stare in America, e siccome fu stabilito dallo zio Totuccio R... Anche se è stato arrestato è sempre il capo commissione... Di quello che ho potuto capire questo discorso che mi fece 164 veniva anche da 25... Comunque io, in merito, mi sono limitato ad ascoltare ». Come un perfetto mafioso. Con i perdenti tornati dall'America e i loro eredi — gli Inzerillo ricomparsi in Sicilia — le ultime indagini stanno svelando che Lo Piccolo aveva affari in comune. Forse perfino nella gestione del Bingo «Las Vegas» sequestrato l'altra settimana.
E ci sono i contatti e le reciproche visite tra Palermo e New York del figlio Claudio (quello non latitante; un terzo, Calogero, è in carcere) con un «rampollo» della famiglia Gambino a lasciar immaginare nuovi traffici tra le due sponde dell'Oceano. Gestiti dal capomafia che per un anno e mezzo ha goduto dei benefici degli arresti dei rivali effettuati dalla squadra mobile di Palermo. Ora è come se gli stessi poliziotti che hanno arrestato lui, il figlio e due luogotenenti, gli avessero presentato il conto di tanta libertà d'azione. Adesso il giovanissimo killer vicino alla tradizione corleonese Giovanni Nicchi potrà forse tirare fuori la testa dai rifugi in cui s'è presumibilmente nascosto, per sfuggire alle forze dell'ordine e ai sicari di Lo Piccolo, e rientrare in azione. E Matteo Messina Denaro e Mimmo Raccuglia, gli altri due capimafia coi titoli necessari a conquistare lo spazio lasciato libero da Lo Piccolo, potranno muovere le loro pedine, da Trapani e dalla provincia. Per capire come, bisogna aspettare. I prossimi spari, o prossimi arresti.
Giovanni Bianconi
Il Corriere della sera, 06 novembre 2007
martedì 6 novembre 2007
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