di Giuseppina Carlotta
Appena una settimana fa, nella Chiesa Madre di Corleone, si celebrava il funerale di Maria Patti. Anzi: della Professoressa Patti, come tantissimi hanno continuato a chiamarla nel tempo. Tantissimi. Ex alunni e non. Molto di lei è stato detto in quell’occasione. Dalla mia postazione, a metà della navata, ho ascoltato con attenzione il ritratto che ne ha fatto Monsignor Catarinicchia, la vita e le opere ripercorse dalla voce della professoressa Natalia Scalisi, il breve ricordo del sindaco Antonino Iannazzo, le parole del nostro Decano don Vincenzo Pizzitola… ma io, da quella postazione, restavo muta testimone di un evento traumatico che non riusciva a manifestarsi all’esterno. La morte è corollario della vita. Si dice. Si. Ma non per questo non è un evento doloroso. Ed io qui – permettimi, lettore – in questo spazio che è giusto dedicare alla Professoressa di tanti, mi prendo l’occasione di parlare di lei con lei, chiamandola per nome e dandole del tu, come da anni ormai mi permetteva di fare.
Vorrei avere la capacità e la forza di mettere insieme le parole giuste, calibrate e sicure per esprimere adeguatamente quello che sento e per raccontare chi ho perso. Quelle parole, Maria, io continuo a cercarmele nel cuore e non le trovo. Le cerco nei versi dei poeti che abbiamo amato entrambe e non le trovo…
Ti ricordi, Maria? Quanti pomeriggi abbiamo trascorso insieme su “faticose carte”, o a ragionare di eventi, passati e presenti, di fatti nostri e di fatti del mondo… Riemerge nella mia memoria la tua voce: “All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne…” e celebrava Foscolo i suoi eroi “… finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”.
Ti ricordi, Maria? “Multas per gente set multa per aequora vectus…” e fluiva, melodiosa, la composta disperazione di Catullo, nella tua voce limpida e pacata mentre scandiva il dolore dell’antichissimo poeta, come se fosse lui presente nel “qui” ed “ora” della tua lettura. Sembrava così facile, Maria, seguire il ritmo della metrica d’Orazio e di Catullo e di Virgilio e, sull’onda sicura della tua lettura, ritrivarsi in quell’altro “quando” ed in quell’altro “dove”!
Ma i miei ricordi di te non sono solo questo. Hanno mille sfumature. Forse hanno tutti i colori della mia vita: eri la mia professoressa di lettere, nel tempo sei diventata un punto di riferimento importante. Una radice imprescindibile.
A me è difficile parlare di te. Posso solo prendere i miei ricordi e fartene una dedica. Parole private da dedicarti in pubblico, oso dire, parafrasando il poeta. Una dedica a chi – e sei tu! – ha vissuto la vita come dono: un dono ricevuto e per questo da donare. Al di là e ben oltre il tuo essere una donna di cultura, appassionata di letteratura, poetessa e scrittrice, ottima ed indimenticabile insegnate di italiano e latino, che è la tua parte pubblica; al di là perfino della tua fede politica (così diversa dalla mia!) e di quella (incrollabile!) religiosa, io ho conosciuto di te l’espressione di un altro magistero, che è la tua parte privata: la profonda umanità che ti viveva in cuore, che ti consentiva l’umiltà dell’ascolto e dell’accoglienza dell’altrui umanità. Questa è la lezione grande, la lezione vera. Tu eri per me l’operosa speranza di chi s’impegna per migliorare se stesso e gli altri. Serenamente.
Ed io per te, nel tempo, sono rimasta l’indocile e cocciuta bimbetta che hai conosciuto appena uscita dalla scuola elementare.
Così, cocciutamente, mi ripeto che “L’uomo mortale… non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. E conservo di te i tuoi scritti e i tupoi racconti di vita, popolati d’affetti e di persone che ho conosciuto soltanto dalla tua voce.
Non ti dirò addio, carissima madrina. Da queste pagine volevo soltanto che quella tua grande lezione andasse in giro per il mondo. Serenamente.
Giuseppina Carlotta
24 luglio 2007
martedì 24 luglio 2007
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