di DINO PATERNOSTRO
Io l’ho vissuto il tempo in cui a Corleone non c’era mafia e chi ne parlava lo faceva solo per infangare il buon nome della città. Poi ho vissuto anche il tempo in cui, sì, a Corleone forse la mafia c’era, ma come ci poteva essere ovunque: da Roma a Milano, da Parigi a Londra e persino a Stoccolma. Quello era il tempo in cui il "corleonese" don Vito Ciancimino faceva il bello e cattivo tempo in municipio e all’ospedale (compresi, ovviamente, i sindaci e i presidenti). Era il tempo in cui "pezzi" della Chiesa "brigavano" nelle sacrestie con i boss mafiosi e con i politici-boss. A quei tempi, se qualche giovane consigliere di sinistra osava dire che "le cosche mafiose locali controllano il territorio", c’era sempre il sindaco democristiano di turno che - con finta indignazione - gli intimava di fare i nomi oppure di stare zitto. A quei tempi, se qualche sparuto gruppo di studenti, per marcare la differenza tra la Corleone mafiosa e la Corleone antimafiosa, osava scrivere su un tazebao «non siamo tutti gregari di Liggio», c’era sempre qualche solerte vigile urbano che lo stracciava, tanto pervnon turbare la solennità delle visite ufficiali di qualche ministro o sottosegretario a caccia di voti per la sua corrente o per i suoi "ras" locali. Quello era il tempo del "Padrino" di Mario Puzo e di Francis Ford Coppola, che, a detta dei maggiorenti democristiani dell’epoca, avevano rovinato l’immagine di Corleone. Come se fossero stati loro ad inventarsi, con un libro o con un film, personaggi come Michele Navarra, Luciano Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ma quello era lo stesso tempo in cui sindaci e assessori scappavano davanti al taccuino di Pippo Fava o al microfono di Joe Marrazzo. E qualcuno di loro, impossibilitato (per pudore) a farlo, si esibiva in dichiarazioni quali: "La mafia? Io mi giro intorno e non ne vedo". Oppure, si lasciava andare in lodi sperticate a Ciancimino, "uomo intelligentissimo, caduto in disgrazia per motivi politici", anche a costo di passare sulla prima pagina del "Corriere della Sera" come "l’ultimo democristiano d’Italia che difende don Vito". Era il tempo in cui i sindaci democristiani si rifiutavano di onorare la memoria di Bernardino Verro, mentre la nuova "Cosa Nostra" di Riina e Provenzano speculava sugli espropri e i lavori della diga Garcia e assassinava il cronista del "Giornale di Sicilia" Mario Francese. E fu anche il tempo dell’appalto per la condotta idrica Raja-Corleone, i cui lavori (sei miliardi) cominciarono solo dopo che il consiglio comunale diede il "via libera" ad un mega sub-appalto (a due ditte locali), col solo (coraggioso) voto contrario dell’opposizione comunista.
Ma quelli furono anche i tempi della scoperta per tanti giovani delle radici antimafiose di Corleone, dell’antimafia di Nicoletti, Orlando, Verro, Zangara e Rizzotto, tutti "spazzati" dalle lupare della feroce mafia del feudo. Infine, ci fu il tempo della "rivolta morale degli onesti", dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, la rivolta che spazzò via la vecchia classe dirigente e sbatté in galera tanti boss mafiosi. Quella rivolta poi si fece progetto politico di cambiamento con l’elezione a sindaco di Pippo Cipriani, con la visita dei Presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfano (1999) e Carlo Azeglio Ciampi (2000), con la confisca delle terre ai mafiosi, con la loro assegnazione alle cooperative sociali, che le coltivano tirandone fuori lavoro e prodotti “puliti”, quelli con una vitamina in più (la vitamina “L” della Legalità). Un progetto che sta cercando di coniugare legalità e sviluppo, che adesso, nonostante tutto, si sta consolidando attraverso una sostanziale intesa tra forze politiche, sociali e culturali anche diverse, che hanno deciso di restare unite nel contrasto alla criminalità mafiosa e nel perseguimento di percorsi di legalità. La presenza della delegazione di "corleonesi" a Milano, alla XV Giornata della Memoria e dell'Impegno, promossa da "Libera" e da "Avviso Pubblico", ne costituisce una plastica rappresentanzione. E, con i tempi che corrono, non è cosa da poco.
Dino Paternostro
giovedì 25 marzo 2010
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