In 21 anni, tanti sono quelli passati dal delitto di Mauro Rostagno, dibattiti e confronti su quest’omicidio, a Trapani, ce ne sono stati molti.Tanti si sono ritrovati ad interrogarsi infine su di un dato, su come mai non si acciuffasse quella verità che si sosteneva fosse tanto vicina ad ognuno di noi, e cioè che era stata la mafia ad uccidere il sociologo e giornalista, l’ex leader sessantottino, da ultimo terapeuta nella comunità Saman da lui fondata a Lenzi, dove i killer la sera del 26 settembre 1988 lo aspettavano. Adesso che c’è un provvedimento giudiziario, frutto di un lavoro investigativo della Squadra Mobile di Trapani (che a distanza di 20 anni tornò ad occuparsi delle indagini dopo che era satta messa da parte dagli inquirenti) e del gabinetto di Polizia Scientifica di Palermo (anche questo in 20 anni mai interrogato su possibili nuovi confronti balistici), che sugella questa matrice, è come se alla fine il delitto Rostagno non interessi più a nessuno. O magari si sostiene che è solo «scontato» quello che si è accertato. E quindi carico di scarsa importanza. Il delitto ed i suoi risvolti restano oggi, a una decina di giorni dalla notizia dell’arresto, in carcere, di mandante, Vincenzo Virga, e di uno dei tre esecutori, Vito Mazzara, certamente il capo del commando, solo «materia» di interesse dei familiari, delle associazioni, poche, sono scomparsi d’un colpo amministratori e politici che erano soliti parlare del delitto, quelli che spesso lo facevano per mettere alla berlina chi indagava. Ad eccezione del sindaco di Erice Tranchida, nessun altro sindaco ha voluto far sentire la sua voce. Una spiegazione vien facile darla. Parlare di Rostagno oggi significa dovere anche discutere di libertà di informazione. La ricostruzione del movente fornita dagli investigatori della Squadra Mobile fa riferimento all’atmosfera del 1988, quando mafiosi e (certi) politici non erano certo felici per le cose che Rostagno diceva da Rtc, «dava fastidio» ci hanno spiegato, e il cocktail micidiale messo insieme, boss e politici, determinò quella condanna a morte. Rostagno rappresentava un modello di stampa libera e per quella stampa qui non poteva esserci spazio. Come oggi, solo che ora la mafia non spara più, ma la stampa mal si sopporta. E allora i politici oggi dinanzi al caso risolto, hanno preferito stare in silenzio. Forse è anche per questa ragione che gli investigatori che si sono occupati del «caso», non hanno poi trovato sul loro cammino tante congratulazioni. E’ mancata per esempio la voce autorevole del Viminale, il ministro Maroni avrebbe potuto esaltare il lavoro fatto dai suoi uomini della Squadra Mobile di Trapani, anche lo stesso capo della Polizia. Ci dicono che i loro complimenti li hanno fatti, ci crediamo, ma una voce in maniera pubblica poteva essere importante in un territorio, quello di Trapani, dove spesso Stato e antistato non sono risultati su opposte barriere, come ci hanno detto alcuni magistrati e sta scritto anche in sentenze di condanna. Forse quegli investigatori hanno toccato tasti delicati e la politica a stento ha ringraziato, ed ha presto dimenticato. Anche la stampa nazionale ha dimenticato presto il caso. Qualcuno facendo delle capriole si è trovato d’improvviso dalla parte della matrice mafiosa. L’ordinanza del gip Maria Pino su Trapani ha acceso più di un riflettore, è tornato ad emergere il sistema di commistioni tra mafiosi e istituzioni, quello che Rostagno prendeva di mira denunciando il malaffare mafioso e la complicità dei politici. Erano gli anni in cui, quelli del 1988, quando un mafioso intercettato venne sentito dire, mentre parlava con un suo complice, “un fari e un fari fare”, non fare e non far fare: non doveva muoversi nulla e la città era preda dell’abbandono, della sporcizia, era tempo delle speculazioni, dell’abbandono del centro storico della città, del crollo dei prezzi dei palazzi. Poi arrivarono i finanziamenti e gli appalti pubblici, il recupero delle cose antiche della città, del porto, e la mafia fu pronta nel farsi trovare in prima linea con le sue imprese, quella logica del non fare e del non far fare l’aveva premiata. Rostagno forse aveva compreso questo disegno, e la sua voce era fastidiosa. Certo ci possono essere altre piste, la droga, le armi, i traffici di questo genere. Ma è tanto avere individuato autori del delitto coloro i quali sino quasi alla fine degli anni ‘90 hanno maneggiato fiumi di denaro pubblico, d’accordo con imprese e politici. Ma di tutto questo si continua a non parlare.Il coordinamento per la Pace in questi giorni a Trapani ha pensato bene di mettere in campo anche le sue critiche, la scoperta del delitto ad opera della mafia non è sconvolgente, «perchè era un fatto scontato». Ma nella giustizia, quella vera, di scontato non può esserci niente, servono i provvedimenti giudiziari per arrivare alle sentenze. La posizione del coordinamento però è legata anche ad altro, e cioè si interroga se fu solo mafia quel delitto e se nel buio che in parte lo circonda non si nascondano altre verità. Può anche essere ma queste verità possono venire a galla solo parlandone un po’ di più. Loro lo fanno, l’associazione «Ciao Mauro», fondata a Trapani dagli amici di Rostagno e da chi lo seguiva attraverso la Tv, Libera, lo fanno, ma altri no. Sennò sarebbe troppa grazia per l’informazione libera e gli investigatori intelligenti.
martedì 2 giugno 2009
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