di Francesco Palazzo
Pensavo, in un primo momento, che questa storia dell´avviso orale a ben comportarsi, notificato il 26 settembre 2008 dalla questura di Palermo al sindacalista della CGIL siciliana e attivista politico Pietro Milazzo, se ben inquadrata, si sarebbe sgonfiata in breve tempo con il ritiro del provvedimento. Immaginavo, cioè, che si fosse messo in moto un intricato e impenetrabile automatismo burocratico, di quelli che una volta partiti non si riesce più a fermarli. Sino a quando qualcuno non legge con calma e buon senso le carte. Tuttavia, già una richiesta di rientro del provvedimento, inoltrata dall'interessato, è stata, nel mese di dicembre scorso, rigettata. In questi giorni leggo di un ennesimo appello, che ha raggiunto più di duecento firme, con il quale si richiede la revoca dell´avviso. Il quale si cuce addosso, stando ad una legge di mezzo secolo fa, a coloro che, per il loro comportamento debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l´integrità fisica e morale, la serenità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Se il sindacalista persevererà nella condotta per la quale è stato avvisato, potrebbero scattare alcune misure di prevenzione un tantino antipatiche: la sorveglianza speciale o il divieto di soggiorno in città e in provincia. Ma cosa ha fatto Pietro Milazzo? Pare che da giovane, più di trenta anni addietro, siamo nei primi anni settanta, poco più che ventenne, fosse sulle barricate delle rivolte studentesche, prendendosi, sembra, qualche denuncia. Dopo più di tre decenni la giustizia probabilmente rispolvera quei fatti e li
collega a varie circostanze recenti di protesta nonviolenta. Perché Milazzo non ha fatto, come molti dei suoi coetanei, rivoluzionari borghesi a diciotto anni e più che integrati in un sistema spesso ambiguo a sessanta. No, ha proseguito nella sua strada, che si può discutere nelle singole battaglie, ma che è coerentemente legata al rispetto dei diritti elementari di cittadinanza, sia per gli immigrati, sia per i nativi siculi. Per dirla più chiaramente, ha continuato, da dirigente sindacale e da animatore sociale, a fare semplicemente politica. Non mercanteggiando posti di sottogoverno o cariche assessoriali, se avesse fatto ciò dormirebbe sonni tranquilli. Ma organizzando e partecipando a varie manifestazioni pubbliche e coordinando alcune piattaforme rivendicative. In questa veste, dal 2005 al 2008, questo il periodo incriminato, si è reso "colpevole" di scendere diverse volte in piazza insieme a coloro che lottano per avere una casa e con quelli che denunciavano le presunte irregolarità elettorali durante le ultime elezioni comunali palermitane. Inoltre, gli si contesta la partecipazione ad alcune altre pacifiche manifestazioni, tra le quali la protesta contro la presenza di navi militari USA nel porto di Palermo. Tutte cose, sia chiaro, sulle quali si possono avere posizioni le più diverse. Non è questo il punto. Ciò che pare davvero esagerato è che si considerino azioni di questo tipo, che sono politiche e solo politiche, nella forma e nella sostanza, come suscettibili di rappresentare situazioni nelle quali si sono messe in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica, incidendo, addirittura, l´ambito sacro delle libertà costituzionalmente garantite. Insomma, siamo in uno strano paese, e in una ancor più bizzarra regione. Perché, se manifesti pacificamente per la strada, puoi incorrere negli strali puntuali, e per carità legittimi, dei custodi dell´ordine. Se, invece, amministri malamente un´azienda pubblica, risulti condannato pesantemente da un tribunale della repubblica, ti trovi indagato per voto di scambio politico mafioso, oppure lucri insieme e allegramente con l´economia criminale, nessuno ti avvisa per indurti a cambiare vita. Anzi, in molti di questi casi, le maglie della sicurezza si placano. E si varcano trionfalmente, o si continuano ad abitare, le aule parlamentari e le stanze da dove si amministra il
potere in Sicilia.
CENTONOVE, 3 aprile 2009
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