di ROSA FARAGI
La manifestazione di sabato 5 giugno rievocativa del 150° anniversario dell’Unità d’Italia a Prizzi, intende porre l’attenzione, sia sugli aspetti più conosciuti del Risorgimento, sia su quelli meno noti o sottaciuti. L’obiettivo è quello di collocare i fatti nella giusta dimensione storica, ma anche e soprattutto, di ampliarne la conoscenza, ad un numero sempre maggiore di cittadini. Tale manifestazione inoltre, non vuole essere una semplice rievocazione, ma, un momento critico di riflessione. L’Unità d’Italia non è stata la fine di un processo storico, ma l’inizio di un percorso lungo e difficile, che ancora oggi, non è stato del tutto completato. Massimo D’ Azzeglio scriveva: “ Abbiamo fatto l’Italia, ora, dobbiamo fare gli italiani”. Sono passati 150 anni, e ancora, non abbiamo fatto gli italiani!
Troppi localismi ed interessi particolari rendono difficile questo processo di formazione di un popolo. Il mezzogiorno, non può pensare di vivere con sussidi e clientelismi, come le popolazioni del nord non possono arroccarsi sulla difesa del loro benessere e dei loro egoismi. Il clientelismo è stato un mezzo, di cui il potere centrale si è avvalso per tenere il mezzogiorno asservito al potere politico. La classe politica siciliana, troppo preoccupata al mantenimento del proprio potere e dei propri privilegi personali, ha utilizzato i poteri che l’autonomia speciale le conferiva, più per creare intorno a se una classe dirigente burocratica e parassitaria, che per sviluppare un’ economia sana che creasse lavoro produttivo e che rendesse la Sicilia realmente autonoma dal potere centrale. Gli Sciacalli e i Gattopardi che si sono succeduti, hanno fatto sì “che tutto cambiasse affinchè tutto restasse sempre uguale.” I sussidi, i falsi invalidi, le raccomandazioni e la corruzione mafiosa erano, e sono ancora oggi, il mezzo per relegare il Sud d’Italia ad una economia parassitaria e non di sviluppo. Tuttavia, anche le popolazioni del Nord, devono ricordare ,che dopo l’annessione del Regno delle due Sicilie, lo Stato piemontese, fece razzie al sud, trafugando persino pezzi di industrie e tutto l ’oro dalle casse del Regno borbonico per ripianare le loro esauste finanze ed avviare lassù il processo d’industrializzazione, già da noi avviato e subito dopo fatto morire, con l’avallo dei rappresentanti politici meridionali asserviti agli interessi del nord. Il Centocinquantenario del “Risorgimento” rappresenta , dunque, una grande occasione di dibattito critico, non sottovalutando quei fatti poco nobili che hanno oscurato il processo unitario. Non semplice retorica e ridondanza coreografica, ma momento di crescita umana e di necessaria coesione sociale, nel ricordo della difficile, drammatica ed affascinante costruzione della nostra Nazione. Il periodo storico, contraddittorio e controverso è senz’altro ricco di valori simbolici e merita in ogni caso rispetto, nel ricordo dei tanti uomini generosi che diedero la loro vita per un ideale. La stessa rivisitazione storica di Garibaldi tra “Eroe o Cialtrone” come qualcuno ha scritto, mi sembra eccessivamente ingrata, verso un uomo, che nel bene o nel male, al suo primo editto da Comandante in campo le Forze Nazionali in Sicilia, così dispose: “Considerando che un popolo libero deve distruggere qualunque usanza derivante dal passato servaggio decreta: art.1 –E’ abolito il titolo di eccellenza per chicchessia. Art.2 – Non si ammette il baciamano da uomo ad altro uomo. Palermo 13 Giugno 1860. G.Garibaldi”.
Francamente inserire Garibaldi tra coloro che hanno approfittato della grande passione, entusiasmo, idealità di tanti giovani ci sembra eccessivamente ingeneroso e antistorico. Vorremmo ricordare il fatto che Garibaldi dopo aver conquistato il Regno Delle Due Sicilie si ritirò in un ‘isola amena con il suo cavallo e due chili di fagioli. Chissà quanti politici e intellettuali che si innalzano a paladini degli interessi del popolo siciliano e che mettono in cattiva luce Garibaldi e gli eroi risorgimentali, farebbero lo stesso?
mercoledì 2 giugno 2010
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