di FRANCESCO VIVIANO
e ATTILIO BOLZONI
"Mai saputo in anticipo dell'arresto". Il vicepresidente del Csm negli anni '90 è stato ministro dell'Interno. "La trattativa fu respinta anche come ipotesi di alleggeri mento dello scontro con Cosa Nostra". "Una giornalista mi chiese: chi prenderete? Risposi: Riina: era un auspicio, non una rivelazione"
ROMA - Le ultime indagini sulle stragi siciliane dicono che Paolo Borsellino è morto intorno alla "trattativa" fra mafia e Stato. "O l'hanno ucciso perché non la voleva, o l'hanno ucciso proprio per costringere lo Stato a venire a patti", ha spiegato il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, il magistrato che ha riaperto le indagini sui massacri di Palermo scoprendo un intreccio fra boss e servizi segreti. La "trattativa" al centro di tutti i misteri e di tutti i delitti. Ne hanno parlato pentiti come Giovanni Brusca, l'assassino di Falcone. Ne sta parlando Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. Ne ha parlato anche il capo dei capi Totò Riina. Ciascuno con la sua versione, ciascuno con la sua verità. Ma ora e per la prima volta, dopo le nuove rivelazioni sulle stragi e le polemiche che ne sono seguite, di quella "trattativa" parla un uomo delle istituzioni, un protagonista dell'estate di 17 anni fa. E' Nicola Mancino, oggi vice presidente del Consiglio superiore della magistratura e al tempo - dal 1992 al 1994 - ministro dell'Interno. Mancino fa capire che la "trattativa" c'è stata o, comunque, qualcuno l'avrebbe voluta. Però, l'ex ministro dichiara a Repubblica: "Noi l'abbiamo sempre respinta. L'abbiamo respinta anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato portato avanti dalla mafia. La riprova di tutto questo sta nella politica di fermezza adottata dal precedente governo e da quello in cui ero responsabile del Viminale". L'ex ministro non va oltre, conferma il tentativo fatto da Cosa Nostra di scendere a patti - fermare le stragi in cambio dell'abolizione del carcere duro e della legge sui pentiti - ma sostiene che lo Stato non ha accettato quel ricatto. Poi Mancino torna sull'affaire della cattura di Riina, sulle vecchie e nuove "esternazioni" del boss che vorrebbe sapere proprio da lui "come faceva a conoscere prima che sarebbe stato arrestato". Già qualche anno fa il capo dei capi chiese ai giudici della Corte di Assise di Firenze - quelli che hanno condannato i boss di Cosa Nostra per le stragi del '93 - di ascoltare come teste l'ex ministro. Riina ha citato ancora Mancino e quella vicenda. Racconta oggi il vicepresidente del Csm: "Io non ero a conoscenza della cattura di Riina, come lui afferma, una settimana prima. Era solo un auspicio, ma anche una precisa direttiva impartita a tutte le forze dell'ordine con l'urgenza che la situazione richiedeva". Ricorda: "E fu questa la risposta che diedi anche ai giornalisti della stampa estera convocati al Viminale l'11 gennaio 1993, cioè quattro giorni prima della cattura di Riina. Una giornalista mi chiese: chi prenderete? Risposi: Riina. Coincidenza volle che Riina fosse arrestato dai carabinieri pochi giorni dopo. Ma se fossi stato al corrente dell'imminente arresto sarei stato così ingenuo da dirlo pubblicamente, dirlo con il rischio di far fallire l'operazione?". Trascinato in un mistero da Riina e trascinato nel vortice palermitano dalle accuse lanciate da Salvatore Borsellino, il fratello del procuratore ("E' una persona indegna che mente, mente spudoratamente dicendo di non avere incontrato Paolo il primo luglio del 1992 quando a Paolo venne prospettata quella scellerata ignobile trattativa con lo Stato"), l'ex ministro risponde ancora: "Se ci fosse stato davvero quell'incontro, perché mai avrei dovuto nasconderlo? E poi: che cosa si sarebbero dovute dire due persone che prima non avevano mai avuto rapporti fra di loro, il primo giorno dell'insediamento di un ministro al Viminale?". E' la sempre la "trattativa" che divide e che resta la chiave per decifrare la Palermo dell'estate 1992. Nega di averla portata avanti addirittura Riina, cioè quello che ha organizzato le stragi e - fra una strage e l'altra - ha presentato a qualche emissario dello Stato il famigerato "papello" con le richieste mafiose. "E' passata sopra di me", ha fatto sapere fuori con il suo avvocato Luca Cianferoni. "Io consegnerò il papello" ha promesso qualche giorno fa Massimo Ciancimino al procuratore Antonio Ingroia. "Per saperne di più chiedete al figlio di Ciancimino e ai carabinieri", ha spiegato ancora Riina. "Io sono pronto a incontrarlo per un confronto", ha ribattuto ieri il rampollo dei Ciancimino a Klaus Davi, conduttore del programma KlausCondicio su You Tube. Un botta e risposta quasi surreale. C'è solo da immaginare quali sorprese e quali colpi di scena potrebbe riservare un faccia a faccia "all'americana" tra il "contadino" di Corleone e il figlio scapestrato di don Vito. In tutto questo convulso rincorrersi di informazioni e di accuse e di chiarimenti, la decodificazione autentica delle "esternazioni" di Riina sul coinvolgimento di pezzi dello Stato viene dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari: "E' un messaggio alla mia procura". Il capo dei capi ha parlato con i giornali ma, in realtà, voleva parlare con chi sta indagando. Non è cosa da poco: è stato il primo "discorso" del boss di Corleone dopo 17 anni.
La Repubblica, 20 luglio 2009
lunedì 20 luglio 2009
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