giovedì 6 maggio 2010

Sicilia, una minoranza governante

di Agostino Spataro
Effettivamente, c’è da convenire che, dopo la rocambolesca approvazione all’Ars di bilancio e finanziaria, un po’ più di chiarezza si è fatta nello scenario politico siciliano. Nel senso che, anche se resta segnato da forti contraddizioni e laceranti contrasti, sono venuti alla luce alcuni sotterfugi che meglio spiegano il senso di certe posizioni fino ad oggi impacciate e inconfessabili.
Il fatto più rilevante, e prevedibile, è la trasformazione in maggioranza della “minoranza governante” (MpA e Pdl Sicilia), grazie al voto favorevole di gran parte del gruppo del Pd. Dunque, tutto bene per Lombardo e soci? Così parrebbe. In realtà, i problemi veri cominceranno adesso, a causa dell’improvvisata nascita di questa maggioranza anomala e precaria. D’ora in avanti, nessuno può far finta di niente. A Palermo e a Roma. Il centro- destra, con in testa Berlusconi, deve spiegare al popolo (non solo delle libertà) i motivi per i quali metà del PdL ha votato insieme al Pd e, dall’altra parte, i dirigenti del partito democratico dovranno dare convincenti spiegazioni ai loro elettori, non solo siciliani. I due grandi partiti, se son degni di questo aggettivo, non potranno divagare, ritardare poiché entrambi hanno interesse a riportare a “regime” la situazione siciliana, a riordinare la collocazione dei rispettivi partiti e gruppi locali all’interno degli schemi politici nazionali. Insomma, si riproporrà il nodo di fondo che si voleva aggirare: quello della governabilità della regione, che il voto sul bilancio non ha sciolto. Certo, Lombardo può tirare un sospiro di sollievo, ma sa benissimo che il suo tentativo non ha superato lo stadio di “minoranza governante” che nei prossimi mesi sarà sottoposta a dure prove e a verifiche molto severe sui terreni dei rapporti politici e dello scontro sociale. Il problema è lo stesso di prima: acquisire una maggioranza politica e parlamentare ampia e definita, senza la quale non si va da nessuna parte.
Come risolverlo? La risposta è difficile. Anche perché buona parte di questa manovra è tuttora coperta da intese e accordi sottobanco che più si addicono a una “spy story” che a un’operazione politica democratica. Comunque sia, il dato incontrovertibile è che la regione è governata da una minoranza. Così è, almeno ufficialmente. Stando alle precisazioni dell’on. Lupo, infatti, il Pd ha votato il bilancio, ma non è (ancora) entrato nella compagine di maggioranza. Spiegazione debole che contrasta con una prassi consolidata. In altre circostanze, si potevano votare alcuni articoli, emendamenti, ma sul voto finale, al massimo, ci si asteneva. L’astensione su un bilancio, per altro affatto entusiasmante, di un partito d’opposizione è interpretata come voto positivo. Il voto favorevole è, dunque, una forzatura che nessuno capisce, nemmeno enfatizzando taluni risultati, socialmente e moralmente, apprezzabili, ma non tali da farli passare per vittoriose riforme. Questa prassi era nota, ma, nel caso specifico, l’astensione del Pd non era sufficiente per varare bilancio e legge finanziaria. Perciò, il voto favorevole. E così la politica siciliana è di nuovo incappata in un pericoloso tornante dal quale non sarà facile uscire indenni, magari sperando di rinviare il confronto all’infinito. Sarà a giugno o a novembre, ma verrà il momento della verità, delle scelte coerenti e trasparenti. Soprattutto per il Pd siciliano che, oltre a chiarirsi con i suoi elettori, dovrà armonizzarsi col quadro di riferimento nazionale. Pena la divisione anche del Pd (già cominciata all’Ars proprio sul voto sul bilancio) che, come le altre divisioni già consumate, credo, sia nel programma di Lombardo. Un chiarimento ineluttabile specie ora che, archiviate le regionali penalizzanti per i due grandi partiti, sembra diradarsi il pericolo di elezioni politiche anticipate, da tutti temute. Senza più lo spettro dello scioglimento anticipato del Parlamento, il Pd non ha più ragioni di alimentare in Sicilia una manovra politica così contorta; di continuare ad appoggiare surrettiziamente una minoranza governante o addirittura co-governare con una parte del Pdl, fortemente legata a Berlusconi e a dell’Utri, che si ritroverà certamente avversaria alle prossime scadenze elettorali nazionali e regionali. Così come potrebbe riconsiderare, con più rigore e lungimiranza, i suoi rapporti con Lombardo, sempre ondivago sul terreno delle alleanze, il quale, per sopravvivere, deve continuare a scompaginare il sistema politico siciliano, per far nascere dalle sue rovine il “partito del sud”. Una chimera o una nuova patacca politica che senza i finiani e Micciché, difficilmente Berlusconi potrà autorizzarlo in tal senso, si ridurrebbe a una variante onomastica del MpA che, non trovando spazio a destra, potrà volgere i suoi appetiti a sinistra, fino a minare le fragili basi elettorali del Pd. Peccato! L’indebolimento ulteriore, la frantumazione del Pd brucerebbero l‘unica speranza di vero cambiamento nel progresso e nella legalità. Giacché, il Pd, nonostante tutto, resta la principale forza aggregante del centro-sinistra su cui imperniare un nuovo schieramento, sociale e politico, alternativo al centro-destra in crisi, in Sicilia e in Italia.
Agostino Spataro

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