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È tutta da riscrivere la storia delle stragi siciliane. Le inchieste sono partite con quasi vent'anni di ritardo per disattenzioni investigative e deviazioni, un depistaggio che ha voluto Totò Riina e i suoi Corleonesi come unici protagonisti del terrore. Tutto era riconoscibile già allora: bastava indagare su quelle "presenze estranee" a Cosa Nostra. Ma nessuno l'ha fatto.
Vent'anni dopo è stata capovolta tutta la dinamica del fallito attentato dell'Addaura. Ci sono testimonianze che rivelano un'altra verità e che irrobustiscono sempre di più l'ipotesi di un "mandante di Stato". La scena del crimine è da spostare di ventiquattro ore: la borsa con i candelotti di dinamite è stata sistemata sugli scogli non il 21 giugno del 1989 ma la mattina prima, il 20 giugno. E, da quello che sta emergendo dalle investigazioni, sembra che fossero due i 'gruppì presenti quel giorno davanti alla villa di Falcone. Uno era a terra, formato da mafiosi della famiglia dell'Acquasanta e da uomini dei servizi segreti. E l'altro era in mare, su un canotto giallo o color arancio con a bordo due sub. I due sommozzatori non erano di "appoggio" al primo gruppo: erano lì per evitare che la dinamite esplodesse. Non c'è certezza sull'identità dei due sommozzatori ma un ragionevole sospetto sì: uno sarebbe stato Antonino Agostino, l'altro Emanuele Piazza. Il primo, Agostino, ufficialmente era un agente del commissariato San Lorenzo ma in realtà un cacciatore di latitanti. Venne ammazzato insieme alla moglie Ida Castellucci il 5 agosto del 1989, nemmeno due mesi dopo l'Addaura. Mai scoperti i suoi assassini. Anche Totò Riina ordinò una "indagine" interna a Cosa Nostra per capire chi avesse ucciso il poliziotto: "Anche lui non riuscì a sapere nulla", ha riferito il pentito Giovanbattista Ferrante. "È stato ucciso perché voleva rivelare i legami mafiosi con alcuni della questura di Palermo. Anche sua moglie sapeva: per questo hanno ucciso anche lei", ha raccontato invece il collaboratore di giustizia Oreste Pagano. Per l'uccisione di Antonino Agostino, la squadra mobile di Palermo seguì per mesi un'improbabile "pista passionale". Qualche mese fa i magistrati di Palermo hanno ascoltato un testimone - un funzionario di polizia - che ha raccontato di avere ricevuto una confidenza proprio dal giudice Falcone, andato a trovarlo una sera nel suo commissariato: "Questo omicidio l'hanno fatto contro di me e contro di lei". Parlava dell'agente Antonino Agostino. Il secondo sommozzatore, Piazza, era un ex agente di polizia che aveva anche lui cominciato a collaborare con i servizi segreti (il Sisde) nella ricerca dei latitanti. Emanuele Piazza è stato ucciso il 15 marzo del 1990. Una "talpa" avvisò i mafiosi che l'ex agente di polizia stava lavorando per gli apparati di sicurezza. I boss lo attirarono in una trappola e lo strangolarono. Anche per il suo omicidio, la squadra mobile di Palermo indirizzò inizialmente le ricerche su "una fuga della vittima in Tunisia, in compagnia di una donna". Un depistaggio nelle indagini sul primo omicidio, un altro depistaggio nelle indagini sul secondo omicidio. Sul fallito attentato dell'Addaura sta affiorando un contesto sempre più spaventoso: un pezzo di Stato voleva Falcone morto e un altro pezzo di Stato lo voleva vivo. Ma chi ha deviato le indagini sugli omicidi di Antonino Agostino ed Emanuele Piazza? Chi ha voluto indirizzare i sospetti verso la "pista passionale" per spiegare le uccisioni dei due poliziotti? Un giallo nel giallo è nascosto fra altre pieghe del fascicolo sull'Addaura: si stanno cercando da mesi gli identikit dei due sommozzatori, ricostruiti attraverso le indicazioni di alcuni bagnanti che il 20 giugno del 1989 erano nella zona di mare dove volevano uccidere Giovanni Falcone. Quotidiani e agenzie di stampa avevano, al tempo, dato ampio risalto alla notizia di quegli i
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(La Repubblica, 07 maggio 2010)
FOTO. Dall'alto: Giovanni Falcone; la villa all'Addaura del mancato attentato al giudice antimafia.
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