di Francesco Palazzo
Dopo le manifestazioni in via D´Amelio, un amico mi chiedeva com´è diventata Palermo. La domanda era motivata dalla scarsa presenza di palermitani. Aveva udito accenti non siciliani e visto poche facce conosciute. Una constatazione che merita qualche approfondimento. Insieme con un altro aspetto, molto più cupo, che ha tenuto banco sino a qualche settimana addietro. Adesso è calato nuovamente il silenzio. Sino al prossimo 19 luglio. La lotta alla mafia è così. Come un albero di Natale, è programmata per accendersi e spegnersi con tempi regolati da un timer invisibile. Il movimento antimafia dell´ultima generazione, nato all´indomani dell´uccisione del prefetto Dalla Chiesa, ha toccato il suo apice negli anni seguenti gli eventi drammatici del ´92-93. Una parte della società siciliana si era svegliata generando un´antimafia non episodica e interclassista. Non più legata, come in passato, a determinate categorie sociali, ai partiti e ai sindacati che le rappresentavano. La lotta alla mafia si era laicizzata, mettendo in comunicazione strati di borghesia e ceti popolari. Il tutto era filtrato dal mondo associativo, attraverso coordinamenti ufficiali o di fatto. Tutto ciò, negli ultimi anni, è svanito. Le realtà prima coinvolte sono tornate a svolgere, ove non scomparse, le proprie attività in solitudine. È una storia che si ripete. Come se un tornado, a cadenze regolari, ogni venti o trent´anni, si abbattesse inesorabilmente sull´antimafia. Ed è lo stesso meccanismo che porta, diciassette anni dopo una stagione stragista che ha visto cadere due magistrati simbolo, a una specie di gioco dell´oca. Anche dal punto di vista investigativo si torna alla casella iniziale. Come se Capaci e via D´Amelio fossero episodi del 2009 e non del 1992, e più di tre lustri fossero acqua fresca. Adesso, caschi il mondo, dobbiamo capire se ci fu trattativa tra mafia e pezzi dello Stato. Alcuni, tra chi allora aveva importanti incarichi, da un po´ di tempo cominciano a ricordare, ad andare dai magistrati, a rilasciare dichiarazioni pubbliche. Tanto che viene da dire: scusate, sino a oggi dove siete stati? Se certi pezzi di verità sono così importanti adesso, non vi pare che lo fossero, a maggior ragione, pure nell´immediatezza dei fatti? Da questa prospettiva sorprende sapere che la commissione Antimafia, che davamo per dispersa, ha deciso di avviare, sul possibile patto tra Stato e mafia, un´inchiesta sulle stragi del ´92-93. Intento nobilissimo. Non è, però, un po´ tardi? E le precedenti commissioni Antimafia, come mai si sono risparmiate tale fatica? Anche la magistratura pare stia riprendendo spunti d´indagine e ascoltando persone che forse andavano sentite prima. Le istituzioni di un Paese possono dirsi davvero democratiche se permangono, per un periodo così lungo, ombre inquietanti su fatti tanto gravi e destabilizzanti? Se vi fu un accordo tra le cosche e apparati istituzionali, sarebbe certamente una vergogna per lo Stato. Ma non è allo stesso modo disdicevole che passi quasi un ventennio senza che si sia raggiunto un punto fermo - giudiziario, politico e sociale - sulla questione? Anzi, che si debba ripartire quasi da capo?Per riagganciarci alla domanda d´esordio sull´assenza dei palermitani alle recenti manifestazioni, e annodare i due ragionamenti avanzati, un ultimo interrogativo. L´esistenza di un movimento antimafia strutturato, non ondivago, dialogante, vera e propria lobby coesa di pressione, di studio e d´impegno concreto, non sarebbe stata una montagna invalicabile per i ritardi, i silenzi, le smemoratezze di questi lunghissimi diciassette anni?
La Repubblica
sabato 5 settembre 2009
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