domenica 14 settembre 2008

I BOSS DEL DUEMILA NON VANNO IN CHIESA

Come è cambiato il rapporto dei mafiosi con la fede dopo il ´93. La crisi iniziò con la strage di Ciaculli e culminò con la morte di padre Puglisi. Oggi i padrini non vengono più riveriti nelle parrocchie. Pubblichiamo uno stralcio dell´articolo sui rapporti tra mafia e Chiesa scritto per il nuovo numero della rivista "Segno"
di NINO FASULLO

Com´è noto, la mafia è nella storia siciliana tra i fenomeni più complessi e difficili da analizzare. Forse nessuno può dire di averla compresa e spiegata esaurientemente. Diversi suoi aspetti sono oscuri e attendono di essere indagati con competenza e spirito critico. Tra essi uno dei più importanti è sicuramente quello religioso. I rapporti dei mafiosi con la religione non sono stati ancora trattati in modo pertinente e approfondito: direbbe il filosofo, iuxta propria principia. E sì che il tema non è né marginale né di scarso interesse. Bisognerà pure trovare risposte convincenti a chi si pone domande sul senso e il valore dei comportamenti religiosi di taluni mafiosi autori di delitti efferati. Quando si viene a sapere di boss sanguinari che pregano, maneggiano sacre scritture e libri teologici e intrattengono amicizie con preti e prelati, da cui incassano assoluzioni sacramentali come fossero mercanzie private in svendita, non si può evitare l´interrogativo su come ciò sia possibile. E chiedersi che tipo di dio possa essere quello cui il mafioso fa riferimento. Ma chi sono, infine, questi mafiosi? Un´eccezione antropologica e religiosa? Interrogativi di questo genere si pongono in molti, spesso senza trovare risposte. Non si ha, infatti, notizia di discussioni, dubbi, scelte e iniziative coerenti intraprese da chi ne aveva, diciamo, il compito istituzionale.Ora quella situazione contrassegnata dal silenzio non esiste più. Sembra aver fatto spazio allo studio, alla riflessione e alla formazione di una cultura della responsabilità. Così pare, così si spera. Sembra dimostrarlo anche - possiamo leggerlo su questa linea? - il saggio di Alessandra Dino, La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa nostra, edito da Laterza (Roma-Bari, pp. 312, 16 euro), interamente dedicato ai rapporti dei mafiosi con la religione, ovvero con la chiesa. I pregi del libro sono notevoli. Presenta uno scenario ricco di eventi e protagonisti (una miriade), di fatti, parole e nessi. L´insieme è un affresco dai colori foschi e forti, a strati intrecciati e convergenti, nessuno autonomo: tutto si tiene. Un quadro impressionante e pure deprimente. (...) Complessi, aspri, contraddittori, tormentati sono stati gli ultimi trent´anni, quelli della crisi, aperti a Ciaculli e chiusi negli occhi innocenti del parroco Puglisi. Credo si possa assumere la strage del 1963 come fatto scatenante la crisi, che sarebbe andata avanti negli anni Sessanta e Settanta, avrebbe camminato negli anni Ottanta e sarebbe caduta sull´incementato di via Anita Garibaldi di Brancaccio. Ancora qualche anno (maggio 1994) e la chiesa avrebbe siglato un documento contro la mafia singolarmente energico.Oggi la situazione è un´altra. Sembra presentare elementi di novità costituiti, principalmente, dal mutamento dei due soggetti della relazione allacciata nel 1860: la chiesa e la mafia. Sono cambiati la coscienza e i comportamenti della chiesa. È cambiata la mafia a causa dei nuovi interessi, delle prospettive, degli spazi che l´attraggono. Il fatto nuovo sembra chiaro: 1) la chiesa non è più disposta a tacere sulla mafia, come ha fatto per più di cento anni di storia mafiosa. Vescovi e preti hanno una nuova consapevolezza e un nuovo senso di responsabilità. Sono più liberi e hanno nuove premure pastorali. 2) I mafiosi, da parte loro, non hanno più bisogno della chiesa e della sua legittimazione sociale e culturale. Hanno altri interessi e orizzonti. Non vanno più in chiesa. Avvertono che non sarebbero graditi. Già a Brancaccio, col parroco Puglisi, non vi entravano, si sentivano estranei e si tenevano lontani. Era mutato il sentimento religioso generale che essi stessi condividevano. Mentre prima i mafiosi venivano accolti con tutti i riguardi, sia nelle sedi parrocchiali che in quelle prelatizie, ora non più. Metterebbero tutti a disagio, darebbero fastidio. La gente non sopporterebbe la loro presenza sugli stessi scranni in cui siedono i bambini. Qualcuno potrebbe alzarsi a chiedere che il mafioso venga allontanato, messo alla porta. Ma è difficile che ciò accada perché i mafiosi non vanno più in chiesa. Non hanno più bisogno della Chiesa. Non sono più devoti. Perché la chiesa si è fatta estranea a essi e essi alla chiesa. Sarebbero pesci fuori acqua.Questa è la novità. Non c´è più intesa tra le due. Non hanno più la stessa cultura. Se all´inizio, nel contesto in cui nacque e si formò, il silenzio della chiesa sulla mafia era indispensabile, ora non più. Ora i mafiosi non agiscono più nell´ambito della borgata, del paese, della città, nei cui feudi e giardini si svolgevano le guardianie, l´abigeato, le relazioni sociali. Oggi la mafia svolge nuovi affari e ha bisogno di altri spazi e piazze. Non per nulla si è moltiplicata, si è fatta "mafie", cioè si è ramificata, specializzata, autonomizzata, localizzata in molti sensi. In queste condizioni la chiesa non solo non le serve, ma le sarebbe di ostacolo. Non la seguirebbe, anche perché la mafia ha perso ogni attitudine alle "devozioni". Questo è il fatto nuovo, questa è la tendenza. Il fatto che in alcuni preti sopravvivano vecchi giudizi e comportamenti, non è rilevante. Potremmo trovarci davanti a cascami sociali, culturali, religiosi. La chiesa, e i preti più consapevoli e responsabili, hanno altro cui dedicarsi che intrattenere relazioni positive con mafiosi.Cambiamo scenario e abbandoniamo l´evidente ottimismo con cui carichiamo la prospettiva sopra abbozzata. I legami tra mafiosi e chiesa (o alcuni ecclesiastici) continuano. Non c´è dubbio. Sembrano assumere forme, figure e linguaggi nuovi, meno rumorosi di prima. Ad esempio, nel terreno politico. Continua la politica, con gli appuntamenti elettorali, le promesse di opere e di denaro. È innegabile che i candidati non vincerebbero se non passassero ancora oggi dalle chiese e non vi trovassero preti disponibili e collaboranti. In questo senso le chiese appaiono possibili luoghi di affari forse non limpidi e deplorevoli. Ma si tratta ancora di mafia? O il mutamento sta passando anche da lì, dalle sacrestie?
LA REPUBBLICA, VENERDÌ, 12 SETTEMBRE 2008

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