di Livio Pepino
E' uscita in questi giorni una pubblicazione che ci piace segnalare, frutto del lavoro di anni di questo giornale (Narcomafie - ndr). Si tratta del Nuovo dizionario di mafia e antimafia pubblicato per i tipi di Ega nella collana dei libri di Narcomafie. Non sta, forse, a noi dirlo, ma si tratta di un evento significativo sul piano politico e culturale. È, infatti, un tentativo di approfondire l’analisi dell’arcipelago mafia intorno a una serie di parole chiave in un momento in cui, nel disinteresse dei più (ché il tema sembra essere passato di moda), le mafie si stanno riciclando trasformandosi sempre più in poteri. È, dunque, una occasione propizia per alcune riflessioni sul punto.C’è, in questa fase politica, un elemento importante e trascurato. È la cosiddetta esternalizzazione dell’uso della forza da parte dei poteri pubblici che si manifesta in forme diverse (dall’impiego in operazioni belliche di forze irregolari, ingaggiate da società private, alla gestione ad opera di agenzie private di prigioni e corpi di sicurezza: i vigilantes diffusi in tutte le società occidentali). Orbene, la caratteristica della fase è che queste talora funzioni vengono assunte in proprio dalle mafie. Il fatto, a ben guardare, non è nuovo se persino nella storia della camorra (l’organizzazione che più incarna l’illegalismo popolare) si trovano casi di esercizio delegato di poteri di polizia (sin dall’epoca borbonica quando, alla vigilia dell'ingresso a Napoli di Garibaldi, il compito di preservare la città da sollevazioni e disordini venne affidato ad organizzazioni camorriste). Ma la novità è che ciò ha assunto, negli ultimi decenni, una dimensione per così dire strutturale. Così, per limitarsi ad alcuni esempi eterogenei, in Russia la mafia gestisce una parte significativa delle agenzie di sicurezza private, in Colombia il cartello di Cali ha svolto veri e propri compiti di polizia sia nel garantire l’ordine pubblico in città sia nell’assicurare alle autorità i principali esponenti del cartello rivale di Medellin, così come in Calabria e a Palermo il controllo del territorio nei confronti della microcriminalità di strada assicurato dalla ’ndrangheta e da Cosa nostra non è stato disdegnato, nei periodi di pax mafiosa, dalle istituzioni. In sintesi, le mafie si appropriano di poteri e prerogative che nell’organizzazione politica contemporanea sono monopolio dello Stato e diventano “imprenditori della sicurezza”; e ciò – è questo l'aspetto più significativo e inquietante – accade non in modo conflittuale (nel senso di una sottrazione di poteri allo Stato) bensì in modo consensuale (nel senso di una cessione di poteri o di una delega, nei fatti, a esercitarli). Questo percorso evolutivo delle mafie (e, parallelamente, dell’agire di ampi settori delle classi dirigenti e della politica) ha incrinato in modo significativo – e talora abbattuto – il tradizionale confine tra lecito e illecito. Ciò, del resto, si è prima manifestato nel settore dell’economia. Da tempo è difficile trovare una contrapposizione netta tra economia legale ed economia illecita o mafiosa. Ma questa commistione è sempre più evidente nei processi di globalizzazione che mostrano una evidente crescita della zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è. Scrive Monica Massari nel Dizionario (voce Globalizzazione e criminalità): «La ricerca di profitti crescenti a costi sempre più limitati attraverso la frode, l’inganno e il ricorso sistematico alla negazione dei diritti elementari fa sì che settori crescenti delle cosiddette élites utilizzino frequentemente comportamenti illegali, se non manifestamente criminali, per raggiungere i propri obiettivi. Si tratta dell’emergere di vere e proprie “economie sporche” che trovano una collocazione, talvolta ottimale, nei meandri dell’economia ufficiale: un’arena in cui criminalità organizzata e attori legali tendono a scambiarsi servizi, a offrirsi reciprocamente favori, a promuoversi vicendevolmente nelle loro attività imprenditoriali. Le relazioni esistenti fra globalizzazione e criminalità possono essere viste, secondo questo approccio, nei termini di una sorta di doppio movimento: da un lato assistiamo ad una espansione del crimine nell’economia – sia di natura lecita che illecita – e, dall’altro, è divenuto evidente un frequente scivolamento delle élites nella criminalità. Il pendolarismo tra lecito e illecito costituisce una delle caratteristiche più perverse di questa globalizzazione». Più in generale, la crescita di una cultura e di una prassi nelle quali il successo e il riconoscimento sociale sembrano irrimediabilmente collocarsi sul versante esclusivo della capacità di produrre profitti (indipendentemente dal modo in cui ciò avviene) proietta le mafie in una dimensione di trasformazione tout court in potere. È un tema ineludibile nei tempi medi ma anche in quelli brevi.
L'Editoriale di Narcomafie Luglio/Agosto 2008
domenica 10 agosto 2008
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