martedì 28 settembre 2010

Le proposte di modifica della pianta organica avanzata dai comuni e dai sindacati

Unità Operativa di Chirurgia Generale: si chiedono n. 6 medici rispetto ai 4 assegnati; n.12 infermieri rispetto ai 6 assegnati; n.6 O.S.S. rispetto ai 5 assegnati.
• Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia: si chiedono n.7 medici rispetto ai 4 assegnati; n.8 infermieri rispetto ai 6 assegnati; n.6 O.S.S. rispetto ai 2 assegnati.
• Unità Operativa di Medicina Generale: si chiedono n.9 medici rispetto ai 5 assegnati; n.15 infermieri rispetto ai 12 assegnati; n.6 O.S.S. rispetto ai 4 assegnati.
• Medicina di Urgenza e Pronto Soccorso: si chiedono n.12 infermieri rispetto ai 10 assegnati; n.6 ausiliari rispetto ai 5 assegnati;
• Unità Operativa Semplice di Pediatria: si chiedono n.5 medici rispetto ai 4 assegnati; n.7 infermieri rispetto ai 5 assegnati; n.5 O.S.S. rispetto ad 1 assegnato.
• Per il Servizio di Cardiologia chiediamo che venga attivato il Servizio di Cardiologia con U.O.S. dotandola di almeno n. 3 medici e n. 3 infermieri.
• Unità Operativa Semplice di Medicina Fisica e di Riabilitazione: si chiedono n.8 infermieri rispetto ai 7 assegnati e n.6 O.S.S. rispetto ai 4 assegnati.
• U.O.S. di Lungodegenza: si chiedono n.8 infermieri rispetto ai 6 assegnati e n.6 O.S.S. rispetto ai 5 assegnati.
• Servizio di Patologia Clinica: si chiedono n.3 medici rispetto agli 0 assegnati; n.2 biologi rispetto ad 1 assegnato; n.6 tecnici di laboratorio rispetto ad 1 assegnato; n.2 infermieri rispetto agli 0 assegnati.
• Radiodiagnostica e T.A.C.: si chiedono n.6 medici rispetto ai 3 assegnati; n.2 infermieri rispetto ad 1 assegnato; n.2 A.S.S. rispetto agli 0 assegnati.
• S.P.D.C.: si chiedono n.6 medici rispetto ai 4 assegnati; n.6 O.S.S. rispetto ai 3 assegnati.
• Farmacia Ospedaliera: si richiede la collocazione della struttura semplice all’interno dell’Ospedale e si chiedono n.2 magazzinieri rispetto agli 0 assegnati e n.1 amministrativo rispetto agli 0 assegnati.
• Coordinamento F.I.O.: si chiede il mantenimento della Unità Semplice di Direzione e si chiedono n.4 infermieri rispetto ai 2 assegnati e n.6 amministrativi.

lunedì 27 settembre 2010

Corleone ha bisogno di sinergie e "reti"

Ormai c’è la moda di scrivere “lettere aperte” al direttore di “Città Nuove”. E il direttore di “Città Nuove” è contento perché “il diritto alla parola” (anche alla parola-invettiva) è segno di vitalità democratica e di libertà. Devo subito precisare, però, che nella fattispecie, caro Walter, hai preso un abbaglio. All’equivoco che poteva ingenerare la mia frase («Anche perché "Città Nuove" non ha persone (si chiamano "volontari"?) pagate con i contributi pubblici per stare sempre collegati al sito e apportare gli aggiornamenti in tempo reale») ho pensato solo l’altra sera, quando me ne ha parlato – lamentandosene – Giuseppe Crapisi. E sono costretto a ripensarci adesso che leggo la lettera che m’indirizzi “con cordiale risentimento”. Quando ho fatto quel commento, io, obiettivamente, pensavo a siti come “Siciliainformazioni” o “LiveSicilia”. Anche perché so benissimo che voi di “Corleone Dialogos” andate avanti col vostro impegno e i vostri sacrifici, in assoluto spirito di volontariato. Non ho condiviso (e ve l’ho detto subito) la scelta di vendere una pagina all’amministrazione comunale. Non perché i 350 euro per ogni numero del cartaceo, che vi eroga il comune, possono cambiare il senso del vostro impegno etico e civile. Assolutamente no. Ma perché oggettivamente, al di là delle vostre intenzioni, il giornale rischia di perdere credibilità. Ma la mia è solo un’opinione. Si, in effetti, un po’ mi ricordate “Città Nuove” degli inizi, quando eravamo su carta e in redazione con me c’erano tanti giovani e persone come Nino Gennaro, Pino Governali, Pippo Cipriani, Cosmo Di Carlo, Leoluca Pollara e Biagio Bonanno, tuo padre. È un ricordo molto bello, anche se ricordo pure i terribili momenti della notte tra il 16 e 17 aprile 1991, quando i locali della nostra redazione furono dati alle fiamme dai “soliti” ignoti. Sono contento che adesso a Corleone ci sia anche un giornale come il vostro che sta diventando una vera palestra di democrazia. Ma non siamo (almeno io non mi sento) in concorrenza. Non dobbiamo reciprocamente “prenderci il posto”. C’è spazio per tutti. Nulla vieta che un lettore si colleghi col sito “Città Nuove” (e lo fanno in tanti, ogni giorno, come dicono le statistiche) e poi con “Corleone Dialogos” o viceversa. Anzi, sarebbe auspicabile. Quando ho potuto darvi una mano, l’ho sempre fatto. E, se l’apprezzate, vorrei continuare a farlo. Dobbiamo continuare a fare sinergia, a fare “rete”. Come abbiamo già fatto – e tu lo hai giustamente ricordato - in tante occasioni, lottando per l’ospedale, per l’acqua pubblica. Come abbiamo già fatto, ricordando tante volte Rizzotto e Verro (a proposito, il 3 novembre si avvicina…). A Corleone c’è tanto bisogno di questo.

Nella speranza di avere chiarito l’equivoco, porgo cordiali (e non risentiti) auguri di buon lavoro.
Dino Paternostro
direttore di "Città Nuove"

Walter Bonanno, lettera aperta al direttore di "Città Nuove"

Direttore egregio,

Le scrivo perché mi sento offeso, tirato in ballo ed accusato. Le scrivo perché non me l’aspettavo o, forse, non me l’aspettavo da Lei. Le scrivo perché durante la diatriba di penna che, da direttore del blog “Città Nuove”, ha incocciato con l’organizzatore degli annuali tornei estivi Antonino Madonia, ha detto quello che non avrei voluto udire. Lo dico considerando che nella polemica a cui mi sono riferito io facevo il tifo per lei sia perché credo che detenesse la ragione rispetto al suo opponente, sia perché apprezzo sempre chi riesce a far valere i suoi perché senza mettere in dubbio l’intelligenza altrui ma certificando la propria. Ma questa è un’altra storia.
Agli sgoccioli del suo duello dialettico, sfortunatamente, ho apprezzato molto meno il suo peraltro poco velato riferimento alla versione on-line di Corleone Dialogos che per prima ha pubblicato l’invettiva del Signor Madonia. Riferendosi a noi e giustificando la ritardata (o mancata) pubblicazione sul suo blog della risposta di Madonia al suo articolo “Corleone e la piazza non-piazza”, ci ha apostrofati come un giornale che disporrebbe di “persone (si chiamano "volontari"?) pagate con i contributi pubblici per stare sempre collegati al sito e apportare gli aggiornamenti in tempo reale”.
Devo ammettere che sono rimasto deluso dal suo atteggiamento. Deluso perché ne esco, assieme ai miei amici di Dialogos, come un sovvenzionato qualunque, uno stipendiato, un assistito, come uno dei tanti portaborse o portavoce o peggio “portaidee” di cui, al contrario, aborro l’esistenza.
Corleone Dialogos, è vero, ospita una (una!) pagina la cui redazione è a cura del comune tra le tante altre che compongono la sua edizione cartacea. Per quella che potremmo definire un’inserzione, Corleone Dialogos riceve un corrispettivo per la stessa ragione per cui lo riceve dall’Agenzia che vuole sponsorizzare i propri viaggi o dall’Assicurazione che vuole il suo marchio in bella vista. E’ vero, una pagina di Corleone Dialogos è stata venduta al comune e, ad oggi, costituisce l’unico modo attraverso il quale il cittadino può leggere la voce degli amministratori ma anche una boccata di ossigeno per noi giovani che non abbiamo intenzione di pagare perfino le idee che esprimiamo. La scelta può essere opinabile e di opinioni se ne sono espresse anche all’interno delle nostre riunioni. Cio che è certo è che, da quando tale partnership ha avuto vita, Corleone Dialogos non ha mai lasciato la sua posizione in primalinea, trovandosi spesso a manifestare pareri del tutto avversi da quelli dell’Amministrazione; è il caso della politica adottata nei confronti dell’ospedale cittadino, delle critiche mosse alla Consulta Giovanile… ed è il caso della lotta per l’acqua pubblica (battaglia che, Le ricordo, vedeva noi e Lei, sullo stesso lato del campo di battaglia, e le evidenti scelte del nostro sindaco su quello opposto). Infine penso che sia preciso dovere di chi amministra una comunità favorire la creazione e la diffusione all’interno di quella di voci parlanti e di teste pensanti che elevino lo stato culturale e sociale di tutto un paese. Questo vale per noi come per chiunque altro operi “volontariamente” (noi sì possiamo dirlo!) per il bene comune.
Quello che dispiace è che lei riduca il nostro impegno e la nostra passione a un mero “stare sempre collegati al sito e apportare gli aggiornamenti in tempo reale” (per giunta pagati con soldi pubblici) senza considerare invece che Corleone Dialogos è l’unica voce giovanile corleonese che abbia avuto il merito di organizzarsi e resistere all’erosione degli anni e che è espressione di un numero cospicuo di ragazzi e ragazze che, sprecando un po’ del loro tempo libero, informano ed esercitano quel valore a cui anche lei dovrebbe tenere: la libertà di pensiero. Espressione delle idee di un gruppo cospicuo di cittadini ho detto, qualità che nessun altro organo d’informazione possiede a Corleone, tantomeno il suo che, seppur storicamente attivo, oggi non è se non l’ espressione del suo personale parere.
Il suo blog, confinato com’è sugli schermi di un laptop, non può aspirare a quella che è invece la nostra priorità; raggiungere il massimo numero di gente possibile, nei bar, nei circoli… far parlare la gente ed allenarla alla cittadinanza attiva e partecipativa. Far questo senza chiedere oboli ai lettori, lo sa bene anche Lei, è difficile od impossibile e quindi gridare ai quattro venti che Corleone Dialogos riceve soldi pubblici è, da una parte una mossa sul cui stile sono obbligato a soprassedere, dall’altra la volontà di zittire un gruppo di giovani liberi, alternativi e indipendenti che ci tengono a lavorare allegramente per una Corleone più moderna e civile, valori assicurati anche (non solo, è certo) dalla presenza di un giornale.
Voglio credere fermamente che la sua frecciatina mefistofelica non sia stata altro che una voce dal sen fuggita. Ci spero di cuore perché ritengo che chi come noi non ce la fa a “farsi i fatti propri”, come invece vorrebbero coloro che vogliono che Corleone rimanga legata a un infausto passato, dovrebbero lavorare nella stessa direzione che è quella di un’informazione libera ed onesta.
Si prenda la mia stizza, quindi, e la mia delusione per quella che definisco un’azione “alla Belpietro”, sapendo quanto offensivo possa essere per Lei e per me tale epiteto. Spero non sia il segno inequivocabile di come il nostro Corleone Dialogos stia prendendo il posto del suo Città Nuove. Se così fosse (lo prenda come un mio atto di sincera stima) ne sarei fiero.
Con cordiale risentimento,
Walter Bonanno, Corleone Dialogos

Memoria & Impegno. Ciao Mauro, eterna beatitudine

Mauro e Maddalena Rostagno
di Maddalena Rostagno*
Se l'andava cercando. Un pugno al cuore. Quante volte abbiamo sentito questa frase, magari posta in modi diversi. E quante volte l'abbiamo pensata, forse in modo diverso, anche noi. Magari non per il "nostro" morto ma per altri. Ho scritto queste righe pochi giorni dopo l'omicidio di una persona. Un uomo che svolgeva il proprio dovere, faceva il sindaco del suo paese. E forse, quando mi leggerete, Angelo Vassallo non sarà l'ultima vittima. Michele Serra gli ha dedicato un 'Amaca' molto bella: «...i nomi, almeno i nomi, cerchiamo di salvarli dalla morte». Il giorno dopo dell'uccisione Concita De Gregorio ha scritto un editoriale che mi ha fatto riflettere. Si chiedeva «in che Paese viviamo?». A me è sembrato un editoriale che poteva essere datato anche 1988.
Perché è il 26 settembre 1988 - un lunedì - il giorno in cui viene ucciso mio padre, Mauro Rostagno. Quest'anno ricorre il 22° anniversario. Allora avevo 15 anni. La maggior parte della mia vita è stata senza di lui, vivo. (In questi 22 anni l'ho incontrato quasi ogni giorno, all'improvviso, in un gesto, in un odore, con una canzone. Ma è una comunicazione bloccata, senza risposta).
Ma torniamo ai nomi. E alla memoria. Non chiamateli eroi, questo rende più accettabile la loro uccisione. Erano uomini, e se andate a scoprire le loro storie, erano molto attaccati alla vita. Pieni di passioni. Semplicemente applicavano al loro "quotidiano" il loro amore per la bellezza. Per elaborare il mio dolore ho letto molti libri sulla mafia. Scopro di non essermi persa quasi nessuno dei libri scritti dai figli di persone uccise. Uccise dalle mafie ma non solo. Ognuno ha la sua storia, molte volte con storie diverse e lontane dalla tua "memoria d'appartenenza", eppure a tutti loro mi sento vicina.
Perché in molte, troppe, di queste morti si ripete troppo spesso la stessa storia. Seppure diversi i loro percorsi, sono uniti dalla stessa infamia, "mascariati".
Al dolore personale, alla difficoltà di arrivare alla verità, si aggiunge quel dolore inatteso dell'infamia, perpetrata, colpevole. Che lascia segni indelebili su chi rimane, ma anche su chi non c'è più. La figura di mio padre, per la sua vita "poliedrica", fuori dagli schemi, anticonformista, si è prestata forse più di altre a infamie. E pensare che, senza rinnegare nulla del suo passato - al quale era molto legato - l'ultimo Mauro, quello siciliano, era un uomo che stava lavorando per lo Stato, per le istituzioni. Aveva deciso di denunciare il degrado e il malcostume - da giornalista non tesserato in una piccola emittente locale - per ripulire... Nell'ultimo mese disse una cosa che a me piacque molto, disse che i giovani avevano capito - al contrario della sua giovinezza e degli slogan "tutto e subito" - che per ottenere i propri diritti (e doveri) bisognava lottare giorno per giorno, col dialogo.
Quest'anno a Trapani durante la commemorazione presenteranno un fumetto/graphic novel sulla sua vita. Tre giovani siciliani hanno voluto rendergli omaggio e raccontare la sua vita, anche alle persone che sono nate dopo la sua morte. Ricordare le storia di questi uomini non è solo un atto d'amore nei loro confronti, è anche un atto politico e un atto d'amore nei confronti di questo Paese. Alcuni di loro hanno avuto film o canzoni, che hanno contribuito a tener viva la memoria e ogni tanto hanno anche contribuito ad arrivare ai processi, a dei pezzetti di verità. L'ultima città nella quale Mauro aveva deciso di vivere, Trapani, due anni fa ha mobilitato una raccolta di firme da inviare al Presidente Napolitano per sollecitare le indagini. Ha contribuito a smuovere le cose. La società civile ha la forza di farlo, noi possiamo cambiare il corso delle cose, alle volte.
La storia processuale di Mauro è in stand by. Per molti anni si è passati da una tesi all'altra. E solo dopo vent'anni - vent'anni - una perizia balistica ha dimostrato che i proiettili utilizzati nel suo agguato erano proiettili appartenenti al "parco armi della mafia", si usa dire così. Ma questo chi gli era vicino e/o chi voleva vedere la verità lo sapeva già. Da due anni stiamo aspettando che inizi un processo. Un ritardo colpevole e fuori dai tempi, ma continuo ad avere fiducia.
Ciao Mauro. Eterna beatitudine.
* Gruppo Abele.org (Libera.it - Narcomafie.it)

Da Trapani 22 anni dopo. Teatro, parole e immagini, per ricordare Rostagno ucciso il 26 settembre del 1988

Mauro Rostagno
di NORMA FERRARA
«Ciao Mauro». Un semplice saluto, libero, sorridente. Un po' com'era lui. Sono trascorsi 22 anni dall’omicidio di Mauro Rostagno, avvenuto il 26 settembre del 1988 a Lenzi, nelle campagne di Valderice, in provincia di Trapani. A lui Trapani dedica questa edizione di "Ciao Mauro 2010". Anche quest’anno non solo un momento per ricordare ma anche per continuare nel suo nome, quella rivoluzione, lenta ma costante, contro mafiosi e collusi. Una giornata, quella che avrà luogo domani, preceduta da qualche nuovo elemento emerso sulle vicende giudiziarie.
22 anni senza giustizia
Un lungo calvario giudiziario fermo alle indagini preliminari. Poi lo scorso anno la svolta nelle indagini. Una perizia balistica coordinata dalla squadra mobile di Trapani portò alla luce una verità accertata scientificamente: l'arma che uccise Mauro appartiene alla mafia. Nel maggio del 2009 la Dda aveva ottenuto dal Gip l'emissione di un ordine di custodia cautelare nei confronti degli indagati, il killer Vito Mazzara e il capomafia Vincenzo Virga, poi annullato dal tribunale del riesame che aveva ritenuto insufficienti gli indizi raccolti. La perizia balistica effettuata sui bossoli del fucile che quella sera sparò aveva dimostrato che erano i medesimi utilizzati in altri omicidi di mafia di quei tragici anni ’80 a nel trapanese. Poi il cambio di rotta, due giorni fa la notizia, diramata dall’Ansa: la Procura antimafia di Palermo è pronta a chiedere il processo contro i due presunti assassini del giornalista torinese. La perizia, consegnata dal medico legale, Livio Milone, avrebbe confermato i sospetti sugli indagati. Secondo questa ricostruzione il giornalista sarebbe stato ucciso da Cosa nostra per le sue denunce e le inchieste portate avanti attraverso l'emittente televisiva trapanese Rtc. I due accusati del delitto sono già detenuti e condannati all'ergastolo per altre vicende. A Trapani come a Torino la città nella quale vivono i suoi familiari, si aspettano maggiori notizie e soprattutto l’inizio di un processo. Questi 22 anni però sono serviti, qualora ce ne fosse stato bisogno, a capire quanto questa verità continui ad essere scomoda anche oggi. Scomoda per tutti coloro che l’hanno ostacolata, hanno fatto in modo di depistarla, o semplicemente non l’hanno cercata. Sui depistaggi messi in atto nei confronti delle indagini del caso Rostagno, forse non si indagherà mai ma l’inizio del processo potrà contribuire a fare luce anche sui tanti che hanno operato nella direzione contraria a quella dell’accertamento dei fatti.
I trapanesi e Mauro
Gli animatori dell’associazione Ciao Mauro tre anni fa proposero una raccolta firme, sostenuti dalla figlia di Mauro, Maddalena Rostagno e dai familiari, per chiedere agli inquirenti di dare nuovo impulso alle indagini. Questa petizione portò nuovamente il caso all'attenzione dei cittadini, del resto del Paese e in qualche modo anche, per quanto possibile, degli inquirenti. «In una intercettazione registrata in carcere – ricorda Andrea Castellano dell’associazione Ciao Mauro – si scopre che il boss Vito Mazzara si sarebbe lamentato di tutto questo "chiasso" fatto intorno ad un omicidio del quale nessuno si interessava da anni. Diceva che l’interessamento dei cittadini a questo caso aveva dato nuovo impulso alle indagini e creato attenzione mediatica sul caso. Già, solo questo, per noi è stato un risultato straordinario». Andrea, giornalista trapanese, è da alcuni anni uno degli animatori dell’associazione che ogni anno chiama a raccolta intorno a sé la città nel tentativo di ripartire dalle cose importanti che Mauro ha lasciato a Trapani per migliorare la Trapani di oggi e far continuare sulle gambe dei trapanesi giovani le idee e l’energia di Mauro. Nell'edizione di Ciao Mauro di quest’anno, una cerimonia laica, spettacoli, danza, musica e dibattiti e anche la presentazione del nuovo lavoro ispirato alla vita di Mauro Rostagno. A presentarlo insieme agli autori, la figlia, Maddalena e il giornalista Giacomo Di Girolamo. « La nascita di Prove tecniche per un mondo migliore, il fumetto realizzato da Marco Rizzo, Nino Blunda, Giuseppe Lo Bocchiero – commenta Castellano - è il segno che Rostagno continua a rappresentare ad oltre vent’anni dalla morte qualcosa di importante e speciale, anche per i giovani che non l’hanno conosciuto. Giovani spesso nati quando Rostagno moriva».
Rostagno, la memoria e la città
«L’oblio del tempo fa dimenticare e crea una patina di ombra anche su fatti importanti e su Rostagno – continua Castellano - si stava correndo questo rischio. Veniva ricordato solo il 26 settembre e poi si tornava nel silenzio. L’impulso di Ciao Mauro, la raccolta di firme di tre anni fa, tante cose, hanno dato una nuova vita al ricordo del giornalista, nella città, che non lo aveva dimenticato. « Quando raccoglievamo le firme – commenta - capitava che molta gente facesse la fila per ore per firmare qualcosa che era per Mauro» . Una città che si è riscoperta ancora legata all’uomo che l’ha fatta sorridere e indignare, con i suoi programmi di satira e informazione pungente, con quel suo modo irriverente di raccontare dei potenti, di un doppio bilancio parallelo al Comune di Trapani, degli scandali dell’Ente teatro del Mediterraneo, della loggia segreta Iside2 (affiliata alla P2 di Licio Gelli) alla mala gestione della nettezza urbana. Tutto, con una grande capacità comunicativa che gli consentiva di arrivare a tutti coloro fossero dall’altra parte dello schermo. C’erano tante cose dentro il giornalismo di Rostagno: il locale e il generale, il qui ed ora, "la persona della porta accanto", come scrisse in uno dei suoi editoriali per Radio tele cine.
E poi guardando ad oggi, 22 anni dopo e al giornalismo trapanese. «Se oggi fosse ancora vivo non so - conclude Castellano - se Rostagno avrebbe potuto esprimersi con la libertà che usò in quegli anni. Perché se non era straordinaria la realtà della seconda metà deli anni ’80, purtroppo devo dire che non lo è nemmeno quella di oggi. Paradossalmente in quel decennio della lunga scia di omicidi di mafia, difficile e doloroso, c’era però una vivacità intellettuale e culturale superiore a quella odierna. Oggi c’è un appiattimento del mondo dell’informazione che è anche a livello nazionale, ma che si fa più stridente a livello locale».
Liberainformazione.it

domenica 26 settembre 2010

Sono originari di Roccamena i due artisti protagonisti del Terzo Festival della Canzone Italiana svoltosi a New York

La premiazione nella serata conclusiva del Festival
Strepitosa atmosfera nella serata finale del Festival della Canzone Italiana di New York, in un tripudio di musica, emozioni, umorismo e colori il sempre più bravo ed ispirato Sal Palmeri (oriundo di Roccamena), presentatore e Direttore Artistico, ha condotto il terzo capitolo della manifestazione canora con la sua verve e professionalità di sempre. Lo spettacolo come già nelle due passate edizioni è iniziato con l’esecuzione degli inni nazionali, rispettivamente Americano ed Italiano e poi con i titoli proiettati a video, molto applauditi, curati dalla Salpa Video e dall’Italian Artists Associates of New York. La seconda serata a differenza della prima (svoltasi l’11 settembre presso l’Holy Cross H.S. di Whitestone, N.Y.) prevedeva oltre al voto del pubblico anche il voto della giuria di qualità composta per l’occasione da Manuel De Peppe, attore, cantante e music producer, Massimo Jaus, Vice Direttore di America Oggi e Direttore di Radio ICN, Mario Fratti, drammaturgo e famoso autore della commedia musicale “Nine”, Gianni Nazzaro, il noto cantante di “Quanto e’ bella lei” (uno degli ospiti della serata), la dottoressa Silvana Mangione, già direttrice di Opera Lirica, adesso Vice-Presidente del CGIE e Michael Castaldo, cantante di origine Italo-Canadese. La cantante a dare il via alla gara è stata la genovese Giovanna Perrelli, che ha eseguito “Volevo e Vorrei” (Compaire-Yield-Condorelli), seguita da un altra genovese, Francesca Giglio, un appassionata di musica pop, rithm and blues e dance che ha interpretato “Forse” (Condorelli-Borrelli). Il terzo cantante in gara è stato Stefano Ferretti, romano di nascita, nella vita fa lo speaker radiofonico e il cantante, si è presentato con un brano scritto di proprio pugno dedicato ai tragici eventi dell’11 settembre, “Le Vite Vivono”. Natalie Pinto, nota cantante di casa nostra, si è presentata con un brano di Giovanna Surace e John Lepore “Canzone nel Vento”; con molto entusiasmo da parte del pubblico, Federico Martello, siciliano di nascita ma residente in provincia di Bergamo, ha eseguito il brano Ascoltami (Martello-Tartaglia-Compagnin). Successivamente è stata la volta del calabrese Pierfrancesco Madeo, che sfidando le sue condizioni fisiche ha attraversato l’oceano per proporre con approvazione da parte del pubblico un brano scritto in collaborazione con Mauro La Manna, “Enigma”. La successiva cantante che Sal Palmeri ha presentato, è stata Marivana, tra i veterani di questo festival, che ha presentato “Sogna”, un brano da lei stessa composto. Proseguendo con l’ordine di apparizione dei cantanti, è stata la volta di Francesca Giordano che ha interpretato la canzone “Vai con Lei” (Gino Borrelli). “E mi mancherai” (Angelo Venuto-Franco Triolo) è stato il titolo della canzone con cui Angelo Venuto, che data la sua popolarità è stato accolto in scena dalle ovazioni del pubblico, si è presentato al terzo Festival della Canzone Italiana di New York. La bionda Jessica Modena, proveniente da Alessandria, ha eseguito un brano di Antonino Condorelli e Yield dal titolo “Devo Sapere”. Proseguendo nell’elenco dei partecipanti al III Festival di NY, troviamo Barbara Canepa, anche lei Genovese, che ha cantato “Prendimi l’anima” (L. Borrelli-A.Condorelli). Amy Evans, nota attrice e cantante del New Jersey, con alle spalle partecipazioni in diversi film, tra cui Sex & the City, ha incantato il pubblico con il suo stile eseguendo il brano “Il corriere nella sera” (Giovanna Surace-John Lepore). Altro veterano di casa nostra, Vittorio Impiglia, si è presentato con la sua canzone “Che Tempi de’ Roma”. Dalla Germania è arrivato Ricardo Marinello (di padre Roccamenese e mamma tedesca), un ragazzo reduce dalla sua vittoria al programma della televisione tedesca RTL, una sorta di American Idol, che gli ha fruttato molta popolarità ed un contratto con la Sony-BMG; al Festival ha presentato, tra la standing-ovation del pubblico, “Angeli Di Dio” (Tony Liuzzi). Joe Nastasi, un personaggio noto nella comunità italiana di Queens, si è esibito, anche lui tra i consensi del pubblico, con la canzone “Tu come stai” (Gino Borrelli-Barroccelli). L’ultimo cantante in gara ad esibirsi sul palco del Christ The King, Nunzio Misseri, un cantante di Franklin, Virginia, che ha presentato il suo brano “Scrivo una canzone”. Il pubblico ha avuto modo di divertirsi anche con i tanti ospiti presenti alla serata: Gianni Nazzaro, che nelle sue due magnifiche uscite è stato accolto come sempre dai favori del pubblico; Emanuela Aureli, che con la sua comicità dirompente si è lasciata andare nelle sue più celebre imitazioni, su tutte quella di Raffaella Carrà; Stefano D., il camaleontico personaggio che aveva già trionfato alla prima edizione del Festival di NY; Ashley Scott, la giunonica Miss Italia-USA in the World e Patrizio Rispo, il famoso Raffaele, portiere di Palazzo Palladini della serie “Un posto al sole”. Patrizio ha discusso con Sal Palmeri dei suoi inizi, della sua carriera e degli sviluppi futuri, ha dato un commovente ricordo di Massimo Troisi dal quale ha detto di avere imparato molto, ed ha anche parlato della sua carica di Goodwill Ambassador dell’UNICEF. Infine ha anticipato la trama del film in uscita, “L’Era Legale”, che vedrà sul grande schermo come protagonista insieme a Renzo Arbore e Isabella Rosselini. L’Associazione Culturale Italiana di NY, attraverso il suo Chairman, il Cav. Tony Di Piazza, lo ha onorato del premio “Mike Bongiorno”. Assieme a Patrizio Rispo è stato premiato, stavolta dal Presidente Tony Mulè, anche Rick Borgia, noto attore e regista Italo-Americano. Durante il Festival oltre che di musica si è parlato anche di sport, a tal ragione Sal Palmeri ha introdotto il noto ex-calciatore Giovanni Savarese ed i piccoli calciatori della squadra del Cosmos, team che grazie anche alla direzione dei grandi Pelè e Beckenbauer sta per essere riformato e rilanciato. Durante la serata sono intervenuti il Console Generale d’Italia a New York, Ministro Francesco Maria Talò e la Console Aggiunto dr.ssa Lucia Pasqualini, che insieme hanno insignito del titolo di Cavaliere, il Presidente dei Co.Mi.Tes., Quintino Gianfaglione. Alla fine della serata sono stati resi noti i primi cinque classificati del Festival: ha vinto il ventunenne Ricardo Marinello, seguito da Federico Martello, al terzo posto, Angelo Venuto (che essendo il primo in graduatoria dei locali si guadagna, insieme a Ricardo Marinello il viaggio in Italia per partecipare l’anno prossimo ad “Una canzone per Volare” di Genova). Quarto classificato, Joe Nastasi e quinta Marivana.

Ricardo Marinello

«L’edizione del Festival di quest’anno – ha commentato il Presidente Tony Mule’ – grazie alla professionalità ed alla serietà di Sal Palmeri, abbiamo assistito ad un Festival, diciamolo pure, che non ha avuto nulla da invidiare a tanti altri concorsi di alto livello presentati in Italia». «L’anno prossimo – ha continuato il Chairman, il Cav. Tony Di Piazza- posso anticipare faremo ancora un altro grande salto di qualità, complimenti a tutti i cantanti e grazie a Sal Palmeri». «Sono felicissimo e commosso di ricevere questo premio qui a NY - ha detto il vincitore, Ricardo Marinello - è una sensazione stupenda ricevere tanti consensi anche fuori della mia Germania». Sal Palmeri invece ha voluto ringraziare Gino Borrelli per la sua sempre più fattiva collaborazione «questo gemellaggio con il suo concorso "Una Canzone per Volare" è sicuramente un ottimo traino per il nostro Festival - ha dichiarato». Adesso l'appuntamento e per il prossimo anno con la nuova edizione del Festival della Canzone Italiana di New York, ma nel frattempo continueremo ad apprezzare questi 16 brani sulle frequenze di Radio ICN.
Francesco D'Amico




Cinisi. Mostra di libri antichi di Giovanni Meli nella "Casa dei cento passi". Domani la premiazione dei partecipanti al concorso di poesia

La casa dei "cento passi" a Cinisi
Palermo, 25 settembre 2010 – Una mostra di preziosi componimenti autografi di Giovanni Meli e di antiche pubblicazioni, con incisioni, delle sue opere, tratti anche dal noto “Fondo Villasevaglios” e custoditi nella Biblioteca dell’Assemblea regionale siciliana, sarà allestita in occasione dell’inaugurazione della biblioteca comunale di Cinisi nella sua nuova sede, presso la “Casa dei cento passi”, il bene confiscato al boss mafioso Tano Badalamenti e assegnato in parte al Comune e in parte all’associazione Peppino Impastato. Lo ha annunciato oggi il deputato regionale Pino Apprendi (Pd), componente della Commissione di vigilanza della Biblioteca dell’Ars, in occasione della conferenza stampa del Comune di Cinisi presso la Sala degli Armigeri di Palazzo dei Normanni, nella quale la Biblioteca dell’Ars, diretta da Antonio Purpura, ha allestito un’anteprima dell’esposizione.
Il sindaco di Cinisi, Salvatore Palazzolo, e l’assessore alla Cultura Gaspare Passalacqua, ristrutturando la “Casa dei cento passi” a fini culturali e valorizzando la Casa di Giovanni Meli e gli itinerari legati alla sua ispirazione poetica, vogliono così puntare sul riscatto sociale e la crescita civile ed economica attraverso il recupero dell’originaria tendenza alla produzione letteraria di questa cittadina che, fra gli altri intellettuali illustri, ospitò per dieci anni, appunto, il medico-poeta dialettale Giovanni Meli.
E a lui è stato dedicato il Premio letterario, promosso dall’assessorato regionale ai Beni culturali, al quale hanno partecipato oltre cento autori da tutta Italia. L’assessore regionale ai Beni culturali, Gaetano Armao, ha oggi dichiarato che queste sono solo le prime iniziative sostenute dal governo regionale a Cinisi per assecondare il processo di cambiamento di questo paese che ha tanto patito i condizionamenti mafiosi: “La biblioteca – ha spiegato Armao – è la culla del pensiero, e lì la Regione, il Comune e le istituzioni e associazioni locali dovranno concentrarsi per costruire fra i giovani una ‘leva’ capace di scardinare la sub-cultura mafiosa. La cultura, infatti, è la ‘cura’ giusta per formare nella società gli anticorpi a difesa dalla sub-cultura mafiosa”. La giuria del Premio letterario Giovanni Meli, presieduta da Giovanni Ruffino, preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo (e composta da Michele Guccione, giornalista de “La Sicilia”, Silvio Ruffino, presidente del Consiglio della Biblioteca di Cinisi, Tiziana Di Cola, scrittrice, Ettore Pappalardo, presidente del Consiglio della biblioteca di Terrasini, Agata Gaglio, presidente del Consiglio della biblioteca di Partinico, e Salvatore Galiano, presidente dell’Associazione Cultura di Terrasini) ha proclamato vincitori, per la sezione A (Poesia in lingua italiana) “Troppi pampini” di Ludovica Mazzuccato, residente a San Martino di Mazzuccato (Rovigo); per la sezione B (poesia in lingua siciliana) “Na bedda cullana”, di Francesca Randazzo, residente a Cinisi; per la sezione C (Ragazzi) “Tempo e ferite” di Alessia Bonsignore, residente a Ficarazzi (Palermo); per la sezione D (Racconto) “Ciotoli bianchi odorosi d’alghe”, di Tania Forte, residente a Palermo; menzione speciale al racconto “Il calcio dell’asino” di Vincenzo Ferro, residente a Rosolini (Siracusa). La premiazione avverrà domani, domenica 26, alle ore 18, presso il palazzo comunale, dopo un recital delle “Quattro stagioni” di Giovanni Meli a cura dell’attrice Livia Cintioli accompagnata dal canto di Roj Cardile. L’amministrazione comunale di Cinisi, oltre a donare ai vincitori opere letterarie e una ceramica artistica, pubblicherà in un volume tutti i migliori componimenti pervenuti.

CI SCRIVONO. Ancora su piazza Falcone e Borsellino e il calcetto

Ill.mo direttore, mi chiamo Calogero Vintaloro e sono un partecipante ad entrambe le discipline. Non è possibile che da quattro anni a questa parte Lei non si sia mai degnato di scrivere qualcosa di positivo sul Torneo di calcio e volley: su come tale manifestazione aiuti la gente a crescere, socializzare, confrontarsi, scambiare idee, abbracciare partecipanti dei paesi limitrofi. Corleone deve avere sempre la solita denominazione? Facciamoci conoscere anche per qualcos'altro!! Non solo, pensi pure agli introiti che tale manifestazione porta nelle tasche delle attività commerciali adiacenti e non. La "piazza verde" crea un movimento ecomonico e partecipativo, attivo e non, che soltanto chi è abituato ad avere i "paraocchi" non riesce a vedere. Per esempio, non Le ho mai visto scrivere un articolo sulla squadra di cui faccio parte e che ha vinto le ultime tre edizioni del torneo di calcetto, ma soltanto critiche, critiche ed ancora critiche!! Ah! Già vero, Lei non condivide lo svolgersi delle partite nella piazza, quindi non ha alcun senso elogiare chi partecipa e si diverte. Un mese all'anno(quest'anno soltanto una decina di giorni) non credo sia un danno mortale per i "lamintusi" su tale manifestazione, che poi sono i primi come la signorina Pecorella a venirsi a guardare le partite. Lei ha ragione sul fatto che alcune discipline debbano svolgersi nei luoghi adatti ma il torneo in piazza Falcone-Borsellino è come mangiare la pasta al forno anzichè la solita minestra. Intende vero? E lo dimostra il numero di squadre, iscrittesi anche per poter giocare "ravanti a villa". Se partecipasse anche Lei o qualcuno dei Suoi figli sono sicuro che la Sua opinione sarebbe completamente diversa. Sia più clemente nelle Sue critiche e non guardi sempre il lato politico e negativo delle cose. A questo punto, seguendo i Suoi ragionamenti, non dovrebbe svolgersi più il carnevale, che blocca tutte le vie principali e rirmpie la piazza di coriandoli. Le porto un esempio: il sottoscritto e tanti altri non condividono la passione per rally e per le manifestazioni equine eppure non ci siamo messi mai a criticare niente o minacciare nessuno (non mi riferisco a Lei) perchè siamo consapevoli del fatto che un'amministrazione comunale debba poter accontenatare le passioni dei propri cittadini. Scritto ciò, gradirei che Lei pubblicasse il mio commento e Le porgo i miei più cordiali saluti.
Calogero Vintaloro

venerdì 24 settembre 2010

Vassallo, lo sdegno della vedova: "Solo Berlusconi non ne ha mai parlato"


Angelina Vassallo

di Patrizia Capua e Dario Del Porto
Parla la moglie del sindaco di Pollica assassinato lo scorso 5 settembre. "Anche Napolitano lo ha citato come esempio. L'unico a non dire mai nulla è stato il presidente del Consiglio". "Nessuno me lo restituirà, ma chiedo giustizia"
ACCIAROLI - "Ho pensato e sto ancora pensando a ogni dettaglio. Sto cercando di ricordare tutto quanto è successo negli ultimi tempi. Se qualcosa turbava i pensieri di mio marito, non l'ho capito e me ne faccio una colpa. Forse ho sbagliato anche io come moglie a non rendermi conto se aveva qualche problema, preoccupazioni. Ma Angelo a casa non parlava mai del suo lavoro. Sì, a volte si svegliava di notte, se ne andava in cucina a riflettere. Ma in tutti questi anni sarà capitato in un paio di occasioni".
"Nell'ultimo periodo invece l'ho sempre visto dormire tranquillo". La casa in collina guarda il porto di Acciaroli. Sul tavolo, una busta da lettera con l'intestazione Camera dei deputati, dentro c'è un messaggio di cordoglio, uno dei tanti. Angelina Vassallo, la moglie del sindaco di Pollica assassinato il 5 settembre in un agguato ancora senza colpevoli, prova a riannodare il filo dei ricordi, delle sensazioni e degli eventi accaduti prima e dopo quella terribile notte.
"Avverto molto forte il calore e la vicinanza delle persone che mi scrivono messaggi, parole di stima e di affetto. Ogni giorno qualcosa mi parla di lui. Anche il Capo dello Stato ha citato Angelo come esempio in occasione dell'apertura dell'anno scolastico. L'unico che non ha detto nulla è stato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma questo omicidio non è un problema politico. Angelo era un rappresentante del territorio, e il territorio è di tutti non di una parte". Nella villetta, insieme con la famiglia Vassallo, vivono venti cani e sette gatti, tutti randagi. L'ultima arrivata, Fortunella, una bastardina fulva, era la preferita di Angelo.
"Quando ci siamo conosciuti io avevo 16 anni e lui 19, il prossimo 4 ottobre avremmo festeggiato trent'anni di matrimonio", ricorda Angelina. Per quindici Vassallo è stato sindaco di Pollica: "Tante volte gli ho chiesto: come fai a restare sempre tranquillo con tutti i pensieri che hai? E lui rispondeva: sono sereno con me stesso. La prima cosa che ho fatto, dopo che l'hanno ammazzato, è stato di rivolgermi ai suoi amici più stretti. Ho detto loro: se sapete qualcosa che io non so avete il dovere di dirmelo. Mi hanno risposto tutti allo stesso modo: nessuno di noi riesce a darsi una spiegazione per quello che è successo. Adesso non so cosa pensare. Forse Angelo ha ricevuto qualche segnale, ma non ha capito di essere in pericolo, ha sottovalutato la situazione. Se avesse avuto dei timori, la sera dell'omicidio non avrebbe bloccato l'auto davanti al suo assassino. Magari era uno che conosceva, oppure è stato tratto in inganno con una richiesta di soccorso. Chi lo ha fatto, sapeva che Angelo si sarebbe fermato ad aiutarlo".
Le indagini sono in pieno svolgimento. Si cerca l'arma del delitto, ma è buio pesto sul killer e sul movente. "Voglio sapere chi lo ha ucciso, per me, per i miei figli, per la nostra comunità che ha il diritto di tornare a una vita normale. Posso fare solo supposizioni, per noi a questo punto è tutto possibile. Io stessa ora mi chiedo: di chi mi potevo fidare? Secondo me l'assassino non ha agito da solo. Gli hanno teso una trappola ben organizzata. Angelo deve essere stato seguito, qualcuno potrebbe aver avvertito il sicario che stava rientrando a casa. Perché lo hanno fatto? Non riesco a spiegarmelo. Qui siamo abituati a vivere con le porte aperte, se qualcuno sente uno sparo pensa a un mortaretto esploso da un bambino o a un cacciatore di cinghiali. È stata la camorra? Ad Acciaroli la camorra non esiste. Qui a Pollica abbiamo avuto per lunghi periodi pentiti sotto protezione e loro familiari. Certo, anch'io comincio a pensare che ci possa essere un collegamento tra il delitto e persone legate alla criminalità organizzata. Non abbiano mai ricevuto alcuna minaccia. Neppure indirizzata contro il ristorante. Finivamo di lavorare alle due del mattino e io tornavo a casa da sola in auto senza mai temere nulla. Quella sera Angelo mi fece l'ultima telefonata intorno alle 21. Era andato a Cuccaro Vetere per una riunione politica. "Torno a casa, sono stanco", mi ha detto. È l'ultima volta che ho sentito la sua voce".
Vassallo aveva un carattere intransigente e decisionista. Simbolo della legalità e del rispetto del territorio cilentano che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita economica e turistica. Era anche un uomo pronto a difendere le proprie scelte senza preoccuparsi di alzare la voce. "In questi quindici anni ci sono state tante rogne e piccole beghe. Qualche volta gli ho detto: prima o poi ti faranno un "paliatone", l'avrà pensato anche lui. Ma mi rassicurava sempre con un sorriso: non ti preoccupare". Una delle piste investigative ipotizza che Vassallo possa essere entrato in contrasto con gli spacciatori di droga che in un'occasione aveva personalmente affrontato a muso duro. "C'ero anche io quella sera. Eravamo usciti a fare una passeggiata. Era l'una di notte. Si avvicinarono alcuni turisti per lamentarsi: "Sindaco, al moletto, dove stazionano i nostri ragazzi, ci sono gli spacciatori. Faccia qualcosa". Mio marito chiamò la polizia municipale. Arrivò una pattuglia con due vigilesse e insieme andarono a vedere che stava succedendo. Mi hanno poi raccontato che lui, senza mezzi termini, aveva detto a quelli di cambiare aria. Accadeva spesso che la gente si rivolgesse a lui per compiti che dovrebbero essere di altri. Al sindaco non compete l'ordine pubblico. Ma qui ad Acciaroli, anche quando in agosto arrivano migliaia di persone, non c'è nemmeno una stazione dei carabinieri. Se si telefona al 112 di notte la chiamata viene deviata a Vallo della Lucania. Angelo l'ha fatto presente tante volte, invano. Ha scritto un sacco di lettere. E la gente continuava a parlare con lui per qualsiasi problema. Mio marito era fatto così, trovava una soluzione per ogni interrogativo". Vassallo, licenza liceale, pescatore prestato alla politica. "Il nostro è un mondo semplice. Vedete questa casa? Noi lavoriamo la terra, alleviamo gli animali. Angelo per lavoro ha viaggiato tanto. È stato in Cina, in Corea, posti lontanissimi e così diversi. Ma poi quando tornava mi ripeteva sempre: Angelì, il posto più bello del mondo è Acciaroli. Ci credeva davvero. Si affacciava dalla terrazza di casa da cui si vedono il porto e il paese ed era felice". Un mondo spezzato da quei nove colpi di pistola, ancora senza un perché. "Giustizia deve essere fatta, ho fiducia, vedo grande impegno nei magistrati e nelle forze dell'ordine. Ma Angelo Vassallo non me lo restituisce nessuno".
(La Repubblica, 24 settembre 2010)

Dove l'infanzia si trascorre lavorando. Sono 306 milioni i bambini sfruttati

Dal numero totale vanno isolati i 115 milioni di minori impegnati in occupazioni pericolose, oppure costretti nel mercato del sesso. Il fenomeno risulta più esteso in Asia e nel Pacifico. Nell'Africa subsahariana sono invece 65 milioni. La campagna "Stop Child Labour" ROMA - Ci sono quelli visibili, ai quali ci si abitua nel vederli, piccoli come sono, stracarichi di fagotti lungo le strade di Mumbai, di Lima o a Lagos. Ma ci sono anche quelli che non si vedono, di cui non si sa nulla e che sono - se possibile - i più numerosi, i più fragili. Secondo i dati ILO 2010 (Organizzazione Internazionale del Lavoro), nel mondo ci sono 306 milioni di bambini economicamente attivi, 215 milioni di bambini il cui lavoro è sfruttato e 115 milioni esposti a lavori rischiosi e alle peggiori forme di sfruttamento (sessuale, traffico, ecc.). I bambini e le bambine che lavorano si concentrano per lo più in Asia e nel Pacifico, dove sono 113,6 milioni. In Africa Sub Sahariana il dato è in preoccupante ascesa: si contano 65 milioni di minori sfruttati.
I bambini lavoratori, tuttavia - tema al centro di una campagna del Cesvi, ma che impegna anche altre Ong come Terre des Hommes, Save the Children e organizzazioni come la Cgil - non sono una realtà che riguarda esclusivamente i Paesi in via di sviluppo, ma anche quelli ad economia in via di transizione e quelli industrializzati, dove la percentuale dei minori lavoratori rappresenta l'1%. In Italia, secondo l'ISTAT, lavorano 144.000 bambini tra i 7 e i 14 anni; e di questi, 31.500 sono da considerarsi veri e propri casi di sfruttamento. Ma per l'Ires - CGIL la cifra è di 400 mila bambini; questa stima è confermata anche da un'indagine realizzata dall'Istituto Nazionale Consulenti del Lavoro nel 2007 e dal rapporto pubblicato da Telefono Azzurro Eurispes nel Novembre 2007. Le differenze tra queste stime dimostrano che il fenomeno nel nostro Paese è ancora poco analizzato.
La ragione profonda per l'eliminazione del lavoro minorile è costituita dal diritto di ogni bambino, o bambina, ad un'educazione libera e dalla constatazione che spesso i minori subiscono le peggiori forme di sfruttamento (veri e propri crimini) anche nei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione ILO 182 (ratificata da 163 Paesi) sulle peggiori forme di lavoro minorile.
La Campagna 1 Stop Child Labour - School is the best place to work (la scuola è il miglior posto in cui lavorare) è promossa dal network europeo Alliance2015 (Cesvi, German Agro Action, Hivos, Concern, People in Need), grazie al sostegno della Commissione Europea. La campagna ha l'obiettivo di richiamare tutti i governi, le imprese e gli attori sociali alle loro responsabilità verso i bambini e le bambine vittime dello sfruttamento del lavoro minorile.
Per sfruttamento del lavoro minorile si intende "qualsiasi forma di lavoro compiuto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni che interferisca negativamente con la loro educazione e/o possa danneggiarne la salute fisica o psicologica e lo sviluppo mentale, spirituale, morale o sociale" (Convenzione dei diritti dell'infanzia, articolo 32.1).
La campagna si basa su 4 principi guida:
1) Lo sfruttamento del lavoro minorile nega ai bambini il diritto all'educazione.
2) Tutte le forme di sfruttamento sono inaccettabili.
3) I Governi, l'Unione Europea, le Organizzazioni Internazionali, le aziende e i consumatori devono lavorare insieme per fermare lo sfruttamento del lavoro minorile.
4) Gli standard di lavoro vanno rispettati e rafforzati per eliminare lo sfruttamento.
In Italia, la campagna vuole sensibilizzare ed educare la società sui temi dello sfruttamento del lavoro minorile in Italia e nel mondo, dei diritti dell'infanzia e dell'importanza dell'educazione come "soluzione" al problema. Per questo la campagna afferma, appunto, che "la scuola è il miglior posto in cui lavorare". Questo implica la promozione e la valorizzazione del diritto ad un'educazione pubblica, di qualità e a tempo pieno per tutti i minori.
La Repubblica, 24 settembre 2010

martedì 21 settembre 2010

La risposta del direttore di "Città Nuove": "Mi dispiace averla delusa..."

Dino Paternostro
Mi dispiace averla delusa per il mio quoziente intellettivo e per le cavolate che ho scritto su piazza Falcone e Borsellino “piazza non piazza”. Anche lei mi ha deluso per il suo livello di educazione, che reputavo un tantino più elevato. Nel merito, concordo con lei sul bello del mondo che è la sua varietà. Da parte mia, ribadisco che piazza Falcone e Borsellino dovrebbe restare una piazza e non essere trasformata (violentata?) – di volta in volta – in ippodromo o in campo di calcetto. E non è questione di sinistra o di destra, ma solamente di buon gusto o di pessimo gusto, di rispetto o di non rispetto per le aree pubbliche. È bene che i turisti arrivino a Corleone e che trovino la bella piazza Falcone e Borsellino pulita, con le panchine al loro posto e come un grande spazio da fruire. Le partite di calcetto (che piacciono pure a me) si devono svolgere e si possono vedere nel campo di calcetto; così come le partite di calcio si svolgono e si vanno a vedere nel campo di calcio. Senza bisogno di “andare a fare qualcosa di illecito”. Elementare, signor Madonia.

È vero, “secoli” fa (tra il 1991 e il 1992) ho fatto per 5 mesi l’amministratore comunale. Non avrò realizzato grandi cose, ma – mi creda – nemmeno autorizzato scempi. Non avete fatto il torneo in piazza per capriccio o per avere elargito un facile contributo? Ma chiediamoci: possibile che a Corleone non si possa più fare nessuna manifestazione senza il contributo finanziario del comune? A proposito, comunichi ai lettori l’ammontare del vostro… Negli anni ’70 si facevano bellissimi (e lunghi) tornei di calcio estivi, senza una lira di contributo. Perché allora si e adesso no? (d.p.)

Lettera di un lettore al direttore di Città Nuove

Piazza Falcone e Borsellino "verde"
Carissimo direttore di Città Nuove, intanto colgo l' occasione per porgerle i miei saluti, sono Antonino Madonia, uno degli organizzatori delle manifestazione che lei ha sopra citato, sono spiacente di dirLe che la reputavo una persona con un quoziente intellettivo sopra la media e che il suo fosse un blog di denuncia costruttiva , ma mi devo ricredere su entrambe le cose,per alcuni semplici motivi che adesso le elencherò:

1)come spero abbia potuto notare sia ieri che domenica passata si sono svolte 2 manifestazioni che avevano come contorno parecchie centinaia di spettatori, il che lascia intendere che tali manifestazioni siano gradite dalla gente, anche se a qualcuno possano non piacere (ma il bello del mondo è la sua varietà);
2)sia ieri che domenica passata a tali manifestazioni ha aderito gente dei paesi limitrofi che si sono complimentate per la capacità organizzativa ed esecutiva dei corleonesi tutti (organizzatori, amministratori e cittadini)il chè fa intendere che un pò di buon senso e materia grigia in giro c'è;
3)andando su facebook e cercando "Fantamarineo", trova una pagina con relative foto di un'associazione che si occupa dell' organizzazione di eventi simili a quelli in questione che per tutto il mese di Agosto ha organizzato un torneo di Beach Soccer cioè calcetto sulla sabbia e Marineo, ed ha montato una struttura molto simile a quella presente in piazza Falcone e Borsellino ma con la sabbia al posto dell' erbetta (le lascio immaginare come sia diventata la piazza con un mese di sabbia in giro), in una piazza centrale del paese ed avendo su un lato una chiesa e su un altro un museo,su ciò lei mi può dire :"che cosa centra Marineo?" ed io le rispondo dicendole che è semplice, perchè parliamo di un' associazione diciamo vicina alla "destra" che organizza una manifestazione del genere con un'amministrazione di "sinistra" trovando delle persone capaci di capire quello che effettivamente vuole la popolazione e di saperglielo dare senza fare alcun ostruzionismo, perchè stiamo parlando di solo e puro ostruzionismo da parte sua e non di sana ed attenta discussione educativa;
4)nel mese di luglio quando si è iniziato a parlare di calcetto io assieme ad una delegazione di giocatori, diciamo una quarantina di ragazzi, uno per squadra, perchè stiamo parlando di una manifestazione a cui partecipano 40 squadre, con l' adesione di più di 400 persone, il che fa intendere le dimensioni della manifestazione, ci siamo recati dagli amministratori per dire loro che noi tutti avevamo intenzione di fare questo torneo; da ciò ragionando un attimino può intendere che tale manifestazione non è stata fatta per un capriccio degli amministratori, ne tanto meno per elargire facili contributi alle associazioni amiche, bensì per un più semplice desiderio di gioco e sport in piazza da parte della maggior parte dei giovani Corleonesi che al posto di andare a fare magari qualcosa di illecito in giro preferiscono rimanere in piazza a giocare a pallone o a guardare chi gioca a pallone, e perchè nò, magari a rendersi protagonista per una sera di tutta una piazza realizzando un bel gol,gol che realizzato in una struttura deputata non avrebbe avuto lo stesso valore;
5) per quanto riguarda lo svellere di panchine..... ma non esageri come al solito suo!!!!.....sono state rimosse 2 panchine senza causare danno alcuno, ed alla fine della manifestazione saranno riposizionate come in precedenza;
6)per concludere, le dico di immedesimarsi in un turista che passa una sera da Corleone sapendo che da molti Corleone è ancora definita la capitale della Mafia e che vede che a Corleone la sera ci si diverte, ci si muove, insomma si VIVE LA VITA, e NON CI SI LASCIA VIVERE DALLA VITA, bhe.... io penso che l' opinione di quel turista cambi sulla nostra amata città.
La prossima volta che fa un articolo di critica appuri bene che effettivamente non stia scrivendo una serie di "cavolate" calcolando che anche lei è stato un amministratore!!
Al caro signor Criscione che non l' ho mai visto a Corleone, che conosco solo da foto e che sputa sempre sentenze senza sapere effettivamente come stanno i fatti, data la distanza, vorrei dire che prima di scrivere deve venire ad abitare una decina di anni a Corleone e dopo potrà iniziare a fare polemica se ce ne sarà di bisogno, perché altrimenti rischia di fare qualche pessima figura ed un uomo con un livello culturale come il suo non può certo incorrere in tali errori!!!!.
P.s. se non ricordo male anche ai tempi dell' amministrazione Cipriani si montavano campetti nella nostra amata piazza, ed in più le posso anche dire che alle associazioni amiche venivano dati contributi molto ma molto più onerosi da parte di papà Comune.
Antonino Madonia

sabato 18 settembre 2010

Domenica 19 settembre, a Marineo, mostra fotografica e convegno sul poeta dialettale Ignazio Buttitta


Il poeta dialettale Ignazio Buttitta

 Studi recenti hanno evidenziato il carattere fortemente selettivo della memoria umana. Oggi si sa molto più di ieri sul suo funzionamento. Si è compresa, soprattutto,la ragione per cui non si può ricordare tutto nella vita, rilevando anche l’utilità della dimenticanza e la sua necessità biologica.
Ma ci sono cose e persone che non si possono dimenticare. Tra queste, per me, occupa un posto centrale Ignazio Buttitta. Devo, infatti, in gran parte a lui la mia prima iniziazione politica. Più precisamente ad un suo testo – il famoso Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali – scritto dal poeta nel 1956 , che ho sentito cantare, per la prima volta nei primi anni sessanta, dall’indimenticabile Cicciu Busacca. La voce tagliente di questo grande cantastorie è penetrata nel profondo del mio cuore quando avevo meno di quindici anni e da allora la sento ancora risuonare dentro di me insieme agli splendidi versi del poeta:

Ancilu era e nun avia l’ali
nun era santu e miraculi facia
ncelu acchianava senza cordi e scali
e senza appidamenti nni scinnia
era l’amuri lu so capitali
e sta ricchizza a tutti la spartìa
Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu murìu ammazzatu.

Vincenzo Consolo mi sembra quello che meglio di tutti ha spiegato le ragioni della forza di questo testo: Mai forse come in quel momento la poesia era stata così dentro la verità (…). Mai forse così dentro la verità, la poesia, per i gesti e la voce del poeta, per il linguaggio e il sentimento, così dialettali e diretti, così corrispondenti al linguaggio e al sentimento di quelli che lo ascoltavano.
Mauro Geraci in un suo bel saggio ha documentato i rapporti stretti che hanno legato in vita Ignazio Buttitta e Cicciu Busacca e nel Convegno che abbiamo organizzato credo che fornirà ulteriori elementi che aiutino a capire le ragioni della feconda collaborazione che c’è stata tra i due. Erano entrambi dei grandi cantastorie: Cicciu e ‘Gnaziu hanno formato una coppia davvero straordinaria. Insieme, oltre a girovagare con i poveri mezzi del tempo per i paesi della Sicilia contadina, hanno girato il mondo - da Roma a Parigi, da Milano a Mosca – ottenendo consensi dappertutto. Secondo alcuni studiosi Ignazio Buttitta ha avuto poco a che fare con la poesia colta, e nulla a che fare con “quella pletorica (…) arcadietta di nostalgici di colore locale che scrivono in dialetto le loro malinconie” ; più articolato e problematico è stato il giudizio di P.P. Pasolini sul poeta siciliano. Ma non c’è lo spazio quì per approfondire la questione. Con Marineo il poeta ha avuto un rapporto speciale. Infatti, oltre a dedicare alcune sue composizioni al paese, ha dato il suo generoso contributo alle feste della sezione del PCI locale e contribuito in maniera decisiva al successo del Premio di Poesia “Citta di Marineo” giunto alla XXXVI edizione.
Francesco Virga 

Rosarno. Un centro per integrare gli africani ribelli

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di Antonello Mangano

Chiariamo un punto. L'idea secondo cui i migranti di Rosarno sono «un serbatoio di braccia a cui spesso accede la malavita organizzata» non è soltanto falsa. È offensiva nei confronti di centinaia di ragazzi che non hanno mai fatto da manovalanza alle 'ndrine, preferendo il durissimo lavoro nei campi. Al contrario, gli africani si sono ribellati due volte contro la violenza mafiosa, collaborando in almeno cinque occasioni con le forze di polizia e la magistratura (la rapina del dicembre 2008, i "fatti di Rosarno" di gennaio 2010, le tre inchieste sul caporalato, tra cui quella denominata "Migrantes", rese possibili dalla collaborazione e dalle testimonianze dei lavoratori stranieri). Eppure, l'idea del "serbatoio di braccia" è contenuta nel comunicato ufficiale del Pon Sicurezza (www.sicurezzasud.it) che presenta il progetto del "Centro di formazione per gli immigrati" - due milioni di euro di stanziamento del Ministero dell'Interno e dell'Unione Europea -, giustificandolo come un argine allo sfruttamento. «Il centro di formazione sarà costruito interamente», ci spiega Rosario Fusaro, uno dei tre commissari prefettizi che reggono il Comune. «L'edificio sorgerà ex novo, due piani fuori terra. La fabbrica esistente» - la "Beton Medma" confiscata al clan dei Bellocco - «sarà demolita, il sito ristrutturato. Il progetto definitivo è in via di approvazione, prevede circa 60 posti letto nella foresteria. Contiamo di completare i lavori in un anno». A ottobre dovrebbe essere avviato il cantiere, giusto l'inizio della stagione agrumaria, che coincide con l'autunno e l'inverno. Da due decenni, i raccoglitori stranieri arrivano nella Piana, molti provengono dai campi di pomodori in Puglia e Basilicata. Anche quest'anno avranno il solito, banale, problema: «Dove dormiamo questa notte?» Con quello che guadagnano fanno fatica a pagare un affitto. «Sono 60 euro al mese per un posto letto nelle case in centro», ci dicono alcuni ragazzi. «Le leggi sono molto restrittive», ribadisce Giuseppe Pugliese dell'Osservatorio Migranti. «Chi affitta case agli stranieri rischia tanto. Gli africani devono anche mandare i soldi a casa, a differenza dei comunitari che in genere si spostano con le famiglie».
Lo scorso anno c'erano almeno 2500 stranieri nella Piana. Distrutta dalle ruspe la "Rognetta", sgomberata un anno fa la "Cartiera", chiusa da mesi l'"Opera Sila" (tutte fabbriche in disuso), sgomberate nelle scorse settimane anche le piccole masserie, rimane irrisolto il problema dell'accoglienza. In realtà, la legge dice che spetta ai datori di lavoro, ma non è applicata da nessuna parte, figurarsi nella Piana del lavoro nero e dell'illegalità diffusa. «Ognuno deve trovarsi dove stare, non siamo un tour operator», chiarisce Fusaro, che ci tiene a delimitare la competenza territoriale dell'intervento. Solo una parte dei migranti ricade nel territorio rosarnese. «Noi cerchiamo di fare formazione e avviamento al lavoro. L'ospitalità non è nostro compito. E poi non è semplice risolvere dall'oggi al domani, per venti anni è mancata la programmazione. Il lavoro nero? Non dipende noi, ci sono gli organi competenti che se ne devono occupare, anche se tutti devono concorrere a eliminare l'illegalità diffusa». «Il problema principale nei territori resta l'accoglienza, nessuno parla di una sistemazione», risponde Pugliese. «Rimango perplesso, sento parlare solo di corsi di formazione». Ma gli africani torneranno a Rosarno? «Non abbiamo previsioni su quanti ne arriveranno», dice Fusaro. «In questo momento sono pochi. L'importante è che non si creino le situazioni che hanno dato origine ai fatti dell'anno scorso». «Abbiamo ricevuto diverse telefonate di africani che vogliono venire a lavorare», ci racconta un produttore. «Ma adesso siamo noi ad avere paura. Dei controlli, degli arresti. Non assumeremo nessuno che non sia in regola». A lavori terminati, il centro sarà diviso in tre grandi spazi. Ci sarà la sezione per l'intrattenimento e il supporto scolastico dei bambini, l'area degli sportelli e quella per la formazione professionale con aule e laboratori. Il primo è poco utile (i braccianti non vengono con le famiglie e si fermano solo d'inverno), mentre da due anni sono aperti gli info point del progetto Assi della Provincia. E veniamo all'inserimento lavorativo. Si agisce a valle e non a monte. Come se il problema fossero i braccianti - da formare attraverso i corsi - e non un sistema economico prosciugato dalla 'ndrangheta, dominato da sciacalli che si sono arricchiti con le truffe, drogato dai falsi braccianti, bloccato dai "monopoli ambientali" dei criminali che impediscono lo sviluppo. Annientato dal "darwinismo sociale" che vede nel lavoratore un limone da spremere, nel fisco un vampiro da ingannare.

La paura e il sospetto
«Con l'integrazione e l'inserimento lavorativo si migliorano le condizioni di vita degli stranieri e si combatte quel senso di xenofobia nei cittadini che nasce dalla paura e dal sospetto», spiega il comunicato ufficiale. Secondo il dizionario della lingua italiana, il termine «integrazione» indica il «completamento di qualcosa attraverso l'aggiunta di ciò che è mancante». Oppure «l'assimilazione di gruppi in una comunità». È evidente che la ribellione degli africani è stata possibile solo grazie allo scarso livello di integrazione. «Se gli hanno sparato solo alcune persone, perché se la sono presa con tutto il paese?», ci chiese una signora, nella corsia dell'ospedale di Gioia Tauro, mentre nella stanza accanto c'erano quattro africani con le gambe piene di pallini di piombo. Erano i giorni dei "fatti di Rosarno". Il 7 gennaio del 2010, alcuni sconosciuti avevano sparato contro tre lavoratori africani. La rivolta dei migranti causerà la reazione dei violenti del paese: una feroce caccia all'uomo, decine di feriti, migliaia di uomini di colore sgomberati in poche ore. Gli africani avevano comunque scelto la soluzione collettiva (la ribellione dell'intera comunità) per affrontare un problema individuale, contrariamente alla cultura del luogo dove un fatto analogo sarebbe stato risolto con una vendetta privata. La rivolta non ha avviato la stagione dei progetti, ha solo incrementato le attività. Nel 2007, con un solenne protocollo alla Prefettura di Reggio Calabria si decise di trasformare la "Cartiera" in un centro d'aggregazione sociale. Non se ne fece nulla e per anni gli africani passarono gli inverni dormendo tra i cartoni e sperando - inutilmente - che qualcuno riparasse il tetto sfondato. Maroni stanziò 200 mila euro utilizzati per i box doccia dell'Opera Sila. Un piccolo intervento senza esito, non paragonabile a quanto fatto dalla società civile con mezzi di gran lunga inferiori. Anche la provincia di Vibo Valentia ha presentato nei mesi scorsi un progetto per l'integrazione, sempre con il Pon, cui parteciperanno piccoli paesi in cui è davvero difficile rinvenire presenze significative di stranieri.
C'è un aspetto positivo. Tutto questo, per una volta, è responsabilità di una sola persona: Roberto Maroni. Il comune è stato sciolto per mafia dal 10 dicembre 2008, per due volte consecutive. Nel prossimo novembre, finalmente, si voterà. Finora ci sono stati tre commissari prefettizi, dunque direttamente collegati al ministero dell'Interno, da cui dipende il PON Sicurezza. Gli stanziamenti non sono il frutto dell'azione di politici calabresi, ma del leghista pronto ad affermare, nelle prime ore della rivolta di gennaio, che il problema era «il degrado prodotto dai clandestini». In realtà i migranti erano un argine al degrado. Ma quelle furono le parole che legittimarono le ronde, gli assalti, la pulizia etnica. È difficile, ministro, ammettere di aver sbagliato rotta. Ma perseverare può essere ancora peggio.

Scontro etnico?
Il problema è molto semplice: l'agricoltura del Sud si basa sul lavoro stagionale dei migranti, i quali però sono costretti a vivere in condizioni drammatiche. Dopo la rivolta, i media hanno raccontato qualunque paese che ospita un po' di migranti come un'altra Rosarno, una potenziale Rosarno, una nuova Rosarno. Il paese della Piana poteva diventare il simbolo della ribellione contro la violenza mafiosa e lo sfruttamento bestiale, invece è diventato sinonimo di tensioni interrazziali che possono sfociare nello scontro. La "sindrome Rosarno" ha inciso profondamente sugli interventi nelle campagne del Sud. A Nardò, in Salento, ha convinto l'amministrazione comunale a ristrutturare una masseria affidata a un'associazione e utilizzata come centro d'accoglienza per i raccoglitori di angurie che operano in agosto. A Palazzo San Gervasio, invece, il comune ha deciso di non aprire lo stabile - tra l'altro un bene confiscato - che per anni è servito a dare rifugio a un migliaio di migranti impegnati nella raccolta del pomodoro, al confine tra le province di Potenza e Foggia. Ad Alcamo, la vendemmia di settembre la fanno i maghrebini, e spesso si sono ritrovati a dormire nelle strade del paese in provincia di Trapani o nei giardini pubblici. Da un paio d'anni, il sindaco ha fatto impiantare una tendopoli al campo sportivo.
In tutte le campagne è emergenza, non c'è coordinamento e neppure confronto tra le varie esperienze. Il governo è assente, gli enti locali improvvisano. Eppure, non si tratta di profughi ma di semplici lavoratori. Basterebbe dare loro un documento, come accaduto per bulgari e rumeni con l'ingresso nell'Unione Europea, per rendere la loro situazione meno precaria, ed eliminare la ricattabilità strutturale creata da leggi discriminatorie. Caporalato e salari da fame sono le vere emergenze, ma combatterle non porta voti, né soldi. Meglio dunque interventi a pioggia, stanziamenti assistenziali, provvedimenti d'emergenza, progetti milionari.
www.terrelibere.org

venerdì 17 settembre 2010

Campofiorito, Festa della fava 2010

FESTA DELLA FAVA- CAMPOFIORITO 2010

«Io, Riina, e l'infame Ciancimino». L'ex capo dei capi di Cosa Nostra intercettato in carcere...

di LIRIO ABBATE 
Salvatore Riina in carcere

L'ex sindaco di Palermo e suo figlio. Le stragi del '92-'93. E Berlusconi. Per la prima volta, parla il capo dei Corleonesi all'ergastolo. Intercettato durante un colloquio in carcere
“Ho detto al magistrato che se nella vita vuole fare il procuratore, faccia il procuratore e faccia il suo dovere di fare il procuratore, e lo faccia bene. Io se sono Riina e lo faccio bene, stia tranquillo. Ognuno deve fare il suo mestiere, il suo lavoro, e lo deve fare bene. Chiuso". Potrebbe intitolarsi: "La mafia spiegata a mio figlio". Una lezione unica, del maestro più esperto: Totò Riina. Il padrino più feroce che ha cambiato Cosa nostra e la storia d'Italia, dopo 14 anni ha potuto incontrare per la prima volta il figlio Giovanni, anche lui detenuto. E, sapendo di essere intercettato, ha trasformato quel colloquio in una summa della sua esperienza criminale, alternando consigli pratici ("Sposati una corleonese e mai una palermitana") a messaggi sulle inchieste più scottanti ("Della morte di Borsellino non so nulla, l'ho saputo dalla tv"). Un proclama che ha alcuni obiettivi fondamentali: dimostrare che lui è ancora il capo di Cosa nostra, che il vertice corleonese è unito e, almeno nelle carceri, rispettato. Negare qualunque rapporto con i servizi e e ribadire invece la forza dei suoi segreti. Per questo la registrazione è stata acquisita agli atti delle procure antimafia.
Giuseppe Salvatore Riina
Era dal 1996 che non si potevano guardare in faccia. Solo lo scorso luglio si sono ritrovati l'uno davanti all'altro, divisi dal vetro blindato della sala colloqui del carcere milanese di Opera. Le prime parole sono normali convenevoli. Poi la mettono sullo scherzo. Totò non comprende perché "Giovannello" non è abbronzato. E il figlio spiega: "Perché nell'ora d'aria preferisco fare la corsa". Il boss insiste sulla salute: "Stai tranquillo che me la cavo. Tu sai che papà se la cava. Tu pensa sempre che papà è fenomenale. È un fenomeno. Tu lo sai che io non sono normale, non faccio parte delle persone uguali a tutti, io sono estero". Ci tiene a trasmettere di essere ancora forte, per niente piegato da 17 anni di isolamento: "Ti devo dire la verità, io sono autosufficiente ancora... Non devi stare in pensiero perché tu sai che papà se la sbriga troppo bene. Puoi dire ai tuoi compagni che hai un padre che è un gioiello".
TRADIMENTI Poi però entrano nelle questioni serie. Partendo da Bernardo Provenzano: è lui il traditore che ha trattato con lo Stato consegnando il capo dei capi ai carabinieri del Ros? "Ho fatto una difesa di Provenzano. Ai magistrati ho detto: quel Provenzano che voialtri dite che era d'accordo per farmi arrestare... Provenzano non ha fatto arrestare mai nessuno". I rinnegati per lui sono altri, più volte attaccati durante il colloquio: Vito Ciancimino e suo figlio Massimo, che con le sue dichiarazioni sta animando l'ultima stagione di inchieste. "Loro si incontravano con i servizi segreti, padre e figlio. Provenzano no. I magistrati durante l'interrogatorio non ci credevano, e gli ho detto: "E purtroppo... Provenzano no!"".
Sull'uomo che assieme a lui è stato protagonista della più incredibile scalata mafiosa, che in mezzo secolo ha trasformato due contadini di Corleone nei padroni di Cosa nostra fino a sfidare lo Stato, su quel Provenzano che è stato il reggente del vertice della cupola fino al giorno dell'arresto si dilunga. Alternando segnali positivi a frecciate sibilline, riferite ai pizzini trovati tra ricotta e cicoria nel covo di Montagna dei Cavalli: "I magistrati mi hanno detto che sono troppo intelligente (facendo riferimento alla difesa di Provenzano, ndr) ed ho risposto che non è così. Non sapevo di avere un paesano scrittore. Il mio paesano (Provenzano, ndr) è scrittore, ma non si sedeva con gli sbirri per farmi arrestare. Il paesano queste cose non le fa". E sempre su Provenzano: "Onestamente è quello che è, non voglio soprassedere. Però farlo passare per uno che arresta le persone, non è persona di queste cose. I mascalzoni sono gli altri che lo vogliono far entrare. Perché Giovà devi essere onesto con lui: per me ha un cervello fenomenale per l'amor di Dio, ha un cervello suo quando fa lo scrittore e scrive... quindi solo lo scrittore può fare queste cose. Lo sapevi che papà lo difende lo scrittore? Gli dissi l'altro giorno che non sapevo che avevo uno scrittore al mio paese, io so che c'è uno scrittore che si chiama Provenzano ma incapace di farmi arrestare i cristiani (i mafiosi, nd.)". E torna ad accusare i due Ciancimino: "Qui infamoni sono padre e figlio e tutte queste persone perché devono far passare...".
Il capo dei corleonesi riflette sulle frequentazioni che avrebbe avuto Provenzano e sulla confidenza che avrebbe dato a Ciancimino. "La gente bisogna delle volte guardarla dall'alto in basso e valutare se vale la pena frequentare certe persone. Quando io gliene parlavo a Provenzano di questi, gli dicevo che non ne valeva la pena, ma lui mi diceva: "Noo", ed io: "Ma finiscila, finiscila, vedi che non ne vale la pena". Adesso a distanza di tempo questo è il regalo che gli ho fatto". "Papà, hai avuto sempre un sesto senso per... Hai avuto sempre il sesto senso". "Giovà, ma lo sai perché, che cos'è? Il cervello sveglio, che sono più avanzato di un altro, più sveglio, hai capito perché?".
DOPPI SERVIZI La questione dei servizi segreti aleggia in tutto l'incontro. Direttamente e per vie trasversali. Quando Provenzano venne arrestato, alcuni quotidiani narrarono un diverbio in carcere con il giovane Riina che avrebbe visto il padrino entrare nel penitenziario e lo avrebbe accolto insultandolo come "uno sbirro". Una versione impossibile: i boss al 41 bis non hanno contatti tra loro di nessun genere. Le indagini hanno fornito una ricostruzione suggestiva di questo falso episodio che porta a riflettere sul ruolo depistante che avrebbero avuto fino ai giorni nostri alcuni uomini degli apparati di sicurezza. È stato uno 007 infatti a riferire la falsa notizia del diverbio a Massimo Ciancimino, che poi ne ha parlato con un giornalista, come lui stesso ha detto ai pm. Su questo fatto indaga la Procura di Roma. Un altro mistero, che i due Riina chiariscono faccia a faccia. "Non è vero che tu lo incontravi in carcere... Come potevi incontrarti con Provenzano? Me lo devi dire", chiede il boss al figlio. "Una buffonata, una vergogna... Lo sai papà, non mi permetto nemmeno a dirlo a quelli che lo dovrebbero meritare determinate cose, immagina se me lo metto a dire a qualcuno che non lo merita".
E Riina sintetizza la sua linea: "Ho voluto dirlo ai magistrati che con questi servizi segreti di cui parla lui (Ciancimino jr, ndr) io non ho mai parlato, non li conosco, anche perché se io mi fossi incontrato con uno di questi dei servizi segreti non mi chiamerei più Riina...". E conclude: "Mi hanno chiesto se conosco nessuno (il riferimento è ad uomini dei servizi, ndr). Non conosco nessuno, e se mi fossi incontrato con queste persone non mi chiamerei Riina. Minchia l'avvocato stava morendo, mi stava cadendo a terra...".
STRAGI SU STRAGI Il vecchio corleonese autore e mandante di centinaia di omicidi e stragi riflette in carcere con il figlio sull'uccisione di Paolo Borsellino. Il boss critica l'atteggiamento di Giovanni Brusca che per l'attentato a Capaci ha svelato ogni retroscena, ma non ha saputo fornire indicazioni per la bomba del 19 luglio 1992. "Ho detto al magistrato che io il fatto di Borsellino l'ho saputo dalla televisione e non so niente". A Milano durante un'udienza aveva fatto un'altra uscita, ancora più esplicita per prendere le distanze dall'ordigno di via Palestro, esploso nel luglio 1993 quando era già in cella: "Non ne so nulla, ma bisogna capire quale fosse il vero obiettivo che si voleva colpire". Più in generale, nell'incontro con il figlio confida: "Ho detto che Riina è capace di tutto e di niente. Però tuo padre è incredibile, quando tu credi sappia tutto non sa niente, ma come lui tanti di questi signori sono ridotti così. Quasi un po' tutti. Perché un po' tutti? Perché l'ultima parola era sicuramente la mia e quindi l'utima parola non si saprà mai. Ci devi saper fare nella vita. Quando hai una possibilità se la sai sfruttare, l'ultima parola non la dici; te la tieni per te e puoi fare tutto su quest'ultima parola: gli altri non sanno niente e tu sei anche un po' avvantaggiatello. Questa è la vita a papà: purtroppo ci vogliono sacrifici, ho avuto la fortuna, in sfortuna, di trovarmi lì e sono andato avanti, certamente... sì. Non è di tutti eh?". E poi spiega: "Perché anche loro sbagliano e sbattono la testa al muro, non sanno... non sanno, questi sbattono la testa al muro perché non sanno dove andare. Questo è un segreto della vita...".
PAPELLO E TRATTATIVA Parlano anche del "papello", la lista di richieste in favore di Cosa nostra che secondo alcuni collaboratori di giustizia fra cui Giovanni Brusca, Riina avrebbe fatto avere nel 1992 a uomini dello Stato per far cessare le stragi. È la trattativa. Copia del "papello" è stata consegnata ai magistrati di Palermo da Massimo Ciancimino, il quale sostiene che suo padre lo avrebbe ricevuto perché fece da tramite fra i corleonesi e uomini dello Stato. Nel colloquio con Giovanni, il capo dei capi non smentisce l'esistenza di una lista con le richieste. Non smentisce che quel "papello" che oggi fa tremare ufficiali delle forze dell'ordine e politici sia esistito. A Giovannello dice solo che il foglio prodotto da Ciancimino "non è scrittura mia...". E aggiunge: "Giovà, nella storia, quando poi non ci sarò più, voi altri dovete dire e dovete sapere che avete un padre che non ce ne è sulla Terra, non credete che ne trovate, un altro non ce ne è perché io sono di un'onestà e di una coerenza non comune". Il capo dei corleonesi sembra non dare alcuna apertura di collaborazione, ma vuole far prevalere il suo ruolo di numero uno di Cosa nostra. Di boss che non parla con gli sbirri. "Ho chiuso con tutti perché non ho nulla a che vedere con nessuno. Il magistrato voleva farmi una domanda e gli ho subito detto: "Non mi faccia domande perché non rispondo". E lui non ha parlato, è stato zitto, perché io so mettere ko un po' tutti perché io ho esperienza Giovà, ho esperienza".
BAGARELLA A un certo punto Riina senior chiude con stragi e servizi per affrontare questioni familiari. "Giovanni lasciamo stare, salutami lo zio quando gli scrivi". Lo zio a cui fa riferimento è Leoluca Bagarella, lo stragista che ha sulle spalle centinaia di omicidi. Un sanguinario che secondo alcuni pentiti nella sua vita avrebbe versato poche lacrime solo in occasione della morte della moglie che sembra essersi suicidata. La scomparsa della donna è ancora un mistero, come pure il luogo in cui è stata sepolta. Nei confronti di quest'uomo che non ha mai avuto pietà per le sue vittime, Totò Riina usa queste parole con Giovanni, forse facendo riferimento alla morte della moglie: "Rispettatelo sempre, che volete povero uomo sfortunato; anche lui nella vita proprio sfortunato nella vita per quello che gli è successo. Purtroppo questa è la vita e dobbiamo andare avanti".
Le raccomandazioni di tenere unita la famiglia, e di pensare al futuro per Salvo, l'altro figlio che è pure lui detenuto e che nel 2011 finirà di scontare la pena per associazione mafiosa, vengono spesso ripetute. Non mancano i riferimenti alla passione comune che padre e figlio hanno: quella del ciclismo. "Il Giro d'Italia me lo seguo sempre", sottolinea Totò Riina, commentando le prestazioni di Petacchi, le sue volate e le vittorie. "Io spero sempre in Basso, però c'è questo Contador, è troppo forte, minchia è troppo forte questo!". E dal figlio vuole la conferma se legge sempre la "Gazzetta dello Sport". "Sì, sì, seguo tutto a livello sportivo...".
CIBO E POLITICA L'unico accenno alla politica viene buttato in modo casuale, discutendo del vitto concesso dal governo: "Berlusconi, che io ci credo poco o niente...". Una battuta, verrebbe da credere, anche se il capo dei capi è un maestro nel calibrare le parole. Ne parla mentre consiglia al figlio di mangiare molta frutta ed elenca quali alimenti acquistare. "Perché io qui ho preso chili... Giovà, la vita che faccio io con questo signore... Berlusconi, che ci credo poco e niente, la vita che faccio con questo... io mangio come un pazzo e metto su chili".
Giovanni ribatte che in carcere si trova bene, e che si è pure iscritto a scuola per conseguire il diploma di Agraria. Ma suo padre ci tiene a precisare: "Cerca di non litigare con nessuno, comportati sempre bene, come mi sono sempre comportato io". Giovanni ribatte: "Ci vuole un po' di pazienza nella vita". "E noi ne abbiamo", risponde il padre. E aggiunge: "Riconosco che la galera è difficile, però uno se si mette in testa di non far del male agli altri, diventa facile, bisogna avere un po' di pazienza". Il figlio annuisce "ne abbiamo. Purtroppo sono già 14 anni che sono qua dentro ...". Ma Totò gli indica il suo esempio: "Giovanni, qui mi portano in braccio. Mi portano sul palmo delle mani... Mi rispettano tutti. Mi rispettano Giovà, sanno che sono tedesco, sanno che c'è profumo, qualcuno che... perché io non parlo. Io non gli rispondo, sanno che non parlo. Sono un ottantenne e conosco la vita che c'è fuori, il mondo che c'è fuori, quindi valuto tutto e tutti. E mi so regolare con tutti". Ho detto al magistrato che se nella vita vuole fare il procuratore, faccia il procuratore e faccia il suo dovere di fare il procuratore, e lo faccia bene. Io se sono Riina e lo faccio bene, stia tranquillo. Ognuno deve fare il suo mestiere, il suo lavoro, e lo deve fare bene. Chiuso". Potrebbe intitolarsi: "La mafia spiegata a mio figlio". Una lezione unica, del maestro più esperto: Totò Riina. Il padrino più feroce che ha cambiato Cosa nostra e la storia d'Italia, dopo 14 anni ha potuto incontrare per la prima volta il figlio Giovanni, anche lui detenuto.
FERMARE I PENTITI Il boss poi loda la moglie che lo ha sempre assistito restando al suo fianco, ma non scarica su di sé la colpa di "tutte le sofferenze" che la sua famiglia sta vivendo. Non a caso Totò Riina è stato sempre definito "un tragediatore" dai mafiosi che lo hanno conosciuto: parla con il figlio come se la loro detenzione non fosse la pena per stragi ordinate e omicidi commessi, ma solo colpa del fatto che "c'è gente disgraziata, gente infamona". Il riferimento è ai pentiti che lo accusano: "C'è gente meschina, ha fatto questo su minacce e su tutto? Perché sono nati tra i carabinieri? Sono nati tra gli infamoni? Sono nati spioni?". E Giovanni risponde: "Eh, ognuno sì... approfittatori... approfittatori".
Il capo dei capi butta lì una frase che sembra indicare un suo tentativo per bloccare i pentiti. "Mi fermo lì, quello che ho potuto fare, io ringrazio pure a me stesso. L'ho fatto... ho cercato pure...". Giovanni comprende il senso di quello a cui il padre si riferisce e dice: "Però uno non è che può sempre...". Il capomafia bisbiglia al figlio una parola: "Questo Brusca...". E il discorso su questo argomento finisce così. I due parlano subito di altro.
Il pensiero vola ancora a Salvo, il figlio minore che il prossimo anno lascerà il carcere. Il boss vuole che vada a lavorare a Firenze perché a Corleone "non ci può tornare". Ma il valore della famiglia e dei corleonesi Totò Riina cerca di spalmarlo in tutti i suoi discorsi: "Caro Giovanni, nella vita dovete capire che siamo di Corleone, non siamo palermitani, quindi, se avete determinazione, pensate di trovare una ragazza lì a Corleone, perché bene o male, bene o male, è sempre una corleonese". Giovanni contrasta questo discorso: "Però devo dire una cosa che il ragionamento mogli e buoi dei paesi tuoi, funzionava, un tempo; adesso purtroppo non è nemmeno così". E il padre: "Eh sì però c'è sempre questo fatto dei paesi tuoi... Dici: "Corleone non è più come i tuoi tempi" però a papà sempre una paesana bene o male sappiamo chi è la mamma, chi è la nonna, chi era il nonno, chi è il padre, invece alle volte...".
Ma il messaggio fondamentale per lui è trasmettere di essere ancora forte. "Vivo solo e non ho contatti con nessuno. Mi volevano annientare così. Hanno sperimentato questo fatto: "Lo mettiamo solo e lo annientiamo, lo distruggiamo, lo finiamo". Devono sapere invece... che a me non mi distruggete". Una tenuta sintetizzata con una frase: "Facciamoci questa galera... Io a ottanta anni non lo so quanto si può campare ancora, stai tranquillo che cerco di tirare avanti. Io sono qua, come mi vedi, tranquillo e sereno che forse nemmeno potete immaginare".
L'Espresso, 16 settembre 2010