mercoledì 15 settembre 2010

Un ricordo di Don Puglisi. Quell’impegno quotidiano al servizio dei più deboli e degli emarginati

Padre Pino Puglisi
di GIUSEPPE LUMIA
Il 15 settembre del 1993, nel giorno del suo 56° compleanno, davanti al portone di casa veniva ucciso dalla mafia, per mano del killer Salvatore Grigoli, don Pino Puglisi.
Una figura a me molto cara, che mi ha accompagnato da giovanissimo nel mio impegno associativo in Azione Cattolica e nel volontariato. Con lui in particolare, insieme a tanti altri giovani universitari, ho trascorso uno dei periodi più intensi e significativi della mia vita quando don Pino era assistente del gruppo Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) di Palermo ed io il presidente. Ci accomunava l’idea che la scelta religiosa non potesse e non dovesse essere interpretata come una delimitazione di campo, ma piuttosto un modo di essere e di agire in tutti gli ambiti della realtà, nessuno escluso: dal culturale al sociale, dall’economico al politico. Secondo lo stile dell’incarnazione, del dialogo, della condivisione, della ricer ca comune di ciò che favorisce lo sviluppo integrale della persona umana.
Di don Pino ci colpiva la capacità di mettersi subito in relazione con chi incontrava e di attivare immediatamente energie ed entusiasmo attorno ad un’idea, ad un progetto. La sua fede si traduceva in un impegno quotidiano al servizio della persona e della comunità. Tanto mite e umile, quanto tenace e determinato, non conosceva ostacoli quando si trattava di salvaguardare la dignità dei più deboli ed emarginati, soprattutto se bambini. Trasferito nella parrocchia di San Gaetano, a Brancaccio, iniziò un importante lavoro con i ragazzi e le famiglie del quartiere. Brancaccio era, ed è ancora, una delle zone a più alta densità mafiosa della città. Uno di quei quartieri a rischio, dove i giovani possono cedere facilmente al richiamo criminale di Cosa nostra. Qui il degrado economico e sociale, infatti, rappresenta il brodo di coltura ideale della mafiosità e dell’illegalità.
In un posto abbandonato dallo Stato, dove tutto viene controllato dalle famiglie mafiose dei Graviano, don Pino irrompe con la sua semplicità, il suo sorriso dolce, il suo amore per la giustizia, la legalità, la solidarietà. La scelta religiosa si fa impegno per un’opera di evangelizzazione e promozione umana volta ad ottenere diritti e non favori, a far sì che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, ad aiutare la gente a liberarsi dal giogo mafioso che umilia e abbrutisce. Si rifiuta di far gestire le feste patronali ai boss che fino ad allora decidevano orari, spettacoli, fuochi d’artificio. Durante le omelie, di fronte agli stessi mafiosi seduti sui banchi della parrocchia, don Pino parla della necessità di ribellarsi alla mafia perchè contro le persone ed il Vangelo. Con il Centro Padre Nostro don Pino voleva dare ai giovani la possibilità di un posto sano dove giocare, fare sport, studiare e crescere insieme agli altri: un percorso di crescita ed emancipazione da un contesto arido e negativo, dove fino ad allora ai ragazzi non era stata offerta nessuna alternativa. Per la mafia, il Centro e l’opera di Padre Pino Puglisi rappresentavano un’insidia. La mafia ha paura dell’istruzione e dell’educazione più di quanto ne abbia del carcere. Don Pino aveva scardinato un sistema culturale, aveva messo in crisi quello che gli studiosi chiamano il “sentire mafioso”. Nessuno poteva permettersi di insidiare il dominio di Cosa nostra, neanche un prete. Quando il 15 settembre del 1993 ricevetti la notizia dell’assassinio di don Pino per me fu un colpo durissimo. La rabbia e lo scoramento però non ebbero il sopravvento e non poteva essere altrimenti dati i suoi insegnamenti. Oggi il ricordo di don Pino è una memoria feconda che ci spinge a non perdere mai la speranza, a fare ognuno la nostra parte fi no in fondo, perché come ripeteva don Pino “se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto...".
Giuseppe Lumia

Nessun commento: