venerdì 24 settembre 2010

Dove l'infanzia si trascorre lavorando. Sono 306 milioni i bambini sfruttati

Dal numero totale vanno isolati i 115 milioni di minori impegnati in occupazioni pericolose, oppure costretti nel mercato del sesso. Il fenomeno risulta più esteso in Asia e nel Pacifico. Nell'Africa subsahariana sono invece 65 milioni. La campagna "Stop Child Labour" ROMA - Ci sono quelli visibili, ai quali ci si abitua nel vederli, piccoli come sono, stracarichi di fagotti lungo le strade di Mumbai, di Lima o a Lagos. Ma ci sono anche quelli che non si vedono, di cui non si sa nulla e che sono - se possibile - i più numerosi, i più fragili. Secondo i dati ILO 2010 (Organizzazione Internazionale del Lavoro), nel mondo ci sono 306 milioni di bambini economicamente attivi, 215 milioni di bambini il cui lavoro è sfruttato e 115 milioni esposti a lavori rischiosi e alle peggiori forme di sfruttamento (sessuale, traffico, ecc.). I bambini e le bambine che lavorano si concentrano per lo più in Asia e nel Pacifico, dove sono 113,6 milioni. In Africa Sub Sahariana il dato è in preoccupante ascesa: si contano 65 milioni di minori sfruttati.
I bambini lavoratori, tuttavia - tema al centro di una campagna del Cesvi, ma che impegna anche altre Ong come Terre des Hommes, Save the Children e organizzazioni come la Cgil - non sono una realtà che riguarda esclusivamente i Paesi in via di sviluppo, ma anche quelli ad economia in via di transizione e quelli industrializzati, dove la percentuale dei minori lavoratori rappresenta l'1%. In Italia, secondo l'ISTAT, lavorano 144.000 bambini tra i 7 e i 14 anni; e di questi, 31.500 sono da considerarsi veri e propri casi di sfruttamento. Ma per l'Ires - CGIL la cifra è di 400 mila bambini; questa stima è confermata anche da un'indagine realizzata dall'Istituto Nazionale Consulenti del Lavoro nel 2007 e dal rapporto pubblicato da Telefono Azzurro Eurispes nel Novembre 2007. Le differenze tra queste stime dimostrano che il fenomeno nel nostro Paese è ancora poco analizzato.
La ragione profonda per l'eliminazione del lavoro minorile è costituita dal diritto di ogni bambino, o bambina, ad un'educazione libera e dalla constatazione che spesso i minori subiscono le peggiori forme di sfruttamento (veri e propri crimini) anche nei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione ILO 182 (ratificata da 163 Paesi) sulle peggiori forme di lavoro minorile.
La Campagna 1 Stop Child Labour - School is the best place to work (la scuola è il miglior posto in cui lavorare) è promossa dal network europeo Alliance2015 (Cesvi, German Agro Action, Hivos, Concern, People in Need), grazie al sostegno della Commissione Europea. La campagna ha l'obiettivo di richiamare tutti i governi, le imprese e gli attori sociali alle loro responsabilità verso i bambini e le bambine vittime dello sfruttamento del lavoro minorile.
Per sfruttamento del lavoro minorile si intende "qualsiasi forma di lavoro compiuto da bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni che interferisca negativamente con la loro educazione e/o possa danneggiarne la salute fisica o psicologica e lo sviluppo mentale, spirituale, morale o sociale" (Convenzione dei diritti dell'infanzia, articolo 32.1).
La campagna si basa su 4 principi guida:
1) Lo sfruttamento del lavoro minorile nega ai bambini il diritto all'educazione.
2) Tutte le forme di sfruttamento sono inaccettabili.
3) I Governi, l'Unione Europea, le Organizzazioni Internazionali, le aziende e i consumatori devono lavorare insieme per fermare lo sfruttamento del lavoro minorile.
4) Gli standard di lavoro vanno rispettati e rafforzati per eliminare lo sfruttamento.
In Italia, la campagna vuole sensibilizzare ed educare la società sui temi dello sfruttamento del lavoro minorile in Italia e nel mondo, dei diritti dell'infanzia e dell'importanza dell'educazione come "soluzione" al problema. Per questo la campagna afferma, appunto, che "la scuola è il miglior posto in cui lavorare". Questo implica la promozione e la valorizzazione del diritto ad un'educazione pubblica, di qualità e a tempo pieno per tutti i minori.
La Repubblica, 24 settembre 2010

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