di MASSIMO LORELLO
A Milano se vuoi un ciuffo di prezzemolo lo devi pagare. A Santa Margherita Belice se ti servono tre mazzi di cicoria «li capiti». Procurarsi qualcosa da mangiare spendendo il meno possibile, anche niente, è la missione quotidiana degli emigranti di ritorno. "C´è la crisi e al Nord non riusciamo a farcela. Avevo messo in piedi un´azienda a Treviso e pagavo tutti gli operai. Con la recessione ho chiuso. Si rischia il conflitto sociale fra i nostri compaesani ricomparsi e gli extracomunitari”
Partiti per il Nord in cerca di fortuna, hanno trovato lavoro, hanno messo su famiglia, hanno cambiato le abitudini e l´accento. Ma poi, d´improvviso, sono stati risucchiati in Sicilia. Tutta colpa della crisi economica che fa chiudere le imprese. Quanti siano gli emigranti di ritorno nessuno lo sa. Non esiste un censimento dell´Istat e nemmeno un´analisi dei sindacati. Di certo, ogni municipio dell´Isola da qualche settimana ha cominciato a riempirsi di persone che in passato si vedevano in paese solo per le feste comandate e invece adesso hanno deciso di rimanere per chiedere aiuto. Paolo Cicio ha lasciato Santa Margherita Belice (Agrigento) nel 1990. Ha fatto il muratore a Bologna e in Svizzera. Poi si è fermato ad Alessandria dov´è riuscito a mettersi in proprio: «Ho conosciuto la sofferenza e la felicità. Ho dormito al gelo dentro un capannone di lamiera ma ho anche portato i mie figli in Costa Azzurra». Dopo anni di sacrifici, Paolo era convinto di avere svoltato. Ma presto è arrivata la crisi e con lei la paralisi degli appalti pubblici e privati: «Da mesi non mi affidano nemmeno un lavoretto, così ho congelato l´impresa e sono tornato da dov´ero venuto. Questa crisi è colpa soprattutto delle banche che hanno concesso prestiti folli, stimando i beni in garanzia anche il 110 per cento del loro valore. Il mercato è impazzito. La gente ha comprato case che non poteva pagare e oggi Alessandria è piena di appartamenti vuoti». Cicio parla accanto alla madre Lucia, l´unica persona che oggi può assicuragli un tetto sotto al quale ripararsi. «Con una famiglia sulle spalle - sottolinea Paolo, quasi a giustificarsi - non avevo altra scelta. Qui anche se non hai soldi, tre mazzi di cicoria li puoi capitare, a Milano ti fanno pagare pure un ciuffo di prezzemolo». Questo però non significa che la vita di un emigrante rispedito al mittente dalla crisi economica trascorra tra atti di generosità dei compaesani e rimpatriate con amici e parenti. «Io faccio fatica a riadattarmi alla mentalità dei siciliani - confessa Cicio - Per esempio, negli uffici postali del Nord sono molto più organizzati. Qui, ancora, c´è troppa arretratezza». È una critica che suona come una sentenza e che ogni emigrante di ritorno ha fatto propria. «Non sopporto di vedere i miei concittadini che buttano i pacchetti di sigarette per terra, anche se il cestino è a un metro di distanza», polemizza Antonio Polizzi, 44 anni, macchinista edile costretto, dallo scorso dicembre, a tornarsene nel suo paese di nascita, Marineo. «Ho scavato gallerie in Islanda - racconta - ho partecipato alla costruzione della metropolitana di Napoli e dell´acquedotto di Salerno. Ma dalla fine dell´anno scorso il lavoro è finito. Per questo sono tornato in Sicilia, mi campa mia madre con la pensione e ci sto male. Mi sale il nervoso, ogni giorno, a camminare chiazza chiazza». A Marineo gli operai rientrati dal Nord sono settanta e hanno tutti storie simili a quella di Polizzi. Racconta Ciro Bianchi, macchinista manovratore con esperienza trentennale: «Ho costruito una diga in Algeria, ho lavorato in Germania, il mio ultimo appalto è stato per un tratto della ferrovia Milano-Lecco. Chiuso il cantiere, ci hanno rimandato a casa. Ma io a casa non ci so stare e faccio arrabbiare mia moglie». Antonio La Sala ha lavorato in Lombardia per l´alta velocità e oggi passeggia «molto lentamente» nella piazza di Marineo: «Tanto qua, cosa c´è da fare?». La Caritas del paese, in poche settimane, ha triplicato il numero degli assistiti, mentre il sindaco Francesco Ribaudo parla di «allarme sociale» e chiede che venga avviato il maggior numero possibile di opere pubbliche. «L´aspetto più grave di questa crisi - osserva il primo cittadino - è che non sappiamo quanto durerà». Gli imprenditori del Nord, chiamati al telefono ogni giorno dagli operai siciliani, rispondono sempre allo stesso modo: «Nessun appalto in vista». E allora, cresce la speranza che il lavoro possa realizzarsi direttamente qui. Al momento, però, è solo una chimera legata al "passante ferroviario", cioè al raddoppio del binario tra Palermo e Punta Raisi. Una maxi opera appaltata un po´ di anni fa ma che procede a passo di lumaca perché l´amministrazione del capoluogo non ha i soldi per spostare le sottoreti. Insomma, nessuna assunzione in vista. Eppure, ci speravano in tanti. Ci puntava Giovambattista Azzara, anche lui macchinista edile, anche lui nato a Marineo: «Ho un figlio ancora a casa - dice - vorrei assicurargli un futuro migliore del mio presente».
Un futuro in Sicilia è la scommessa alla quale è stato costretto Silvio Lo Presti, imprenditore edile originario di Sinagra (Messina). «Ho messo su un´impresa a Treviso - racconta - Ho lavorato bene per un po´ di anni. Ma poi è arrivata la crisi e quel poco di lavoro che c´era ancora se lo sono preso gli extracomunitari che si fanno pagare pochissimo. I miei dipendenti erano tutti in regola e questo inevitabilmente faceva aumentare i costi». Lo Presti è finito rapidamente fuori mercato e se n´è tornato a Sinagra: «In paese mi do da fare, soprattutto mi occupo di imbiancare le facciate delle case. In questo modo ho ripreso a guadagnare anche se le differenze con il Nord sono evidenti. Lì ti pagavano per tempo, in Sicilia devi faticare per recuperare i soldi». La concorrenza con gli extracomunitari, in verità, è matura per manifestarsi anche nell´Isola. «Da quando i nostri paesani sono andati al Nord in cerca di fortuna, le campagne si sono svuotate - racconta Francesco Santoro, sindaco di Santa Margherita Belice - I terreni, inevitabilmente, hanno cominciato a coltivarli gli albanesi. La stessa cosa è accaduta con la pastorizia. Ora che tanti compaesani sono tornati, per sopravvivere ricominceranno soprattutto dall´agricoltura e dalla zootecnia. Dobbiamo scongiurare con ogni mezzo il rischio che si crei un conflitto sociale. Dalle nostre parti nessuno è mai morto di fame: è bene che questa tradizione venga preservata. Ma siamo molto preoccupati». I sindaci dei piccoli centri si stanno passando la voce, contano ogni giorno i paesani che sono ritornati dal Nord e cominciano a censire gli extracomunitari, anche se non è facile. «Gli africani vengono da noi quand´è tempo di raccogliere le arance - racconta Antonino Scaturro, sindaco di Ribera - In autunno, invece, si spostano a Canicattì, per la vendemmia». Per la prossima raccolta dell´uva, sicuramente, i lavoratori a giornata non saranno solo magrebini e senegalesi. Sui camion monteranno pure tanti siciliani rientrati dal Nord per colpa della grande depressione. E stanno cominciando a tornare anche gli extracomunitari che finora erano solo transitati dall´Isola. «Ne abbiamo visti tanti che nei mesi scorsi avevano fatto tappa al centro di accoglienza di Pian del Lago o nelle strutture allestite dal nostro Comune - racconta la dirigente dei Servizi sociali di Caltanissetta, Giuseppina Riggi - Sono tornati pure loro in Sicilia perché al Nord non c´è lavoro e qui da noi un pezzo di pane non te lo nega nessuno». Ma non tutti vedono l´emigrazione di ritorno solo come un problema. «I conterranei che rientrano in Sicilia portano la loro esperienza professionale che potrà sicuramente aiutarci a migliorare le nostre città», osserva Emanuele Giglia, presidente del Consiglio comunale di Sinagra. Tuttavia, chi non è ancora stato risucchiato dal vortice che riporta in Sicilia, cerca di aggrapparsi a ogni cosa pur di evitare il rientro. «Spero che da qui a giugno le cose cambino, mi sono dato un po´ di tempo. Faccio gli scongiuri». Trepida, da Bologna, il palermitano Federico Collovà. Ventisei anni, laurea in Ingegneria meccanica e prima occupazione direttamente in Ferrari a Maranello. Scaduto il secondo contratto, a Collovà è toccato incrociare le braccia. La stima delle grandi aziende non gli manca ma da sola non basta. «Ho appena avuto un colloquio alla Ducati - racconta Federico - Vorrebbero utilizzarmi per il reparto corse. Ma al momento le attività sono sospese». E quando Collovà ne ha chiesto la ragione, gli hanno dato la risposta che s´aspettava. «C´è la crisi».
La Repubblica, 15 marzo 2009
domenica 15 marzo 2009
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