Anzitutto prendiamoci la nostra parte di responsabilità. Quando si perde nel modo in cui Sinistra Arcobaleno ha perso, precipitando dal 13 per cento di cui ci accreditavano un anno fa a poco più del 3 per cento, occorre guardare in casa propria. Tutto il resto (Veltroni, il "voto utile", la dispersione a sinistra, i silenzi stampa...) sono dettagli. Non s'è inceppato un fucile: abbiamo sparato a salve. Allora, vi dico come la vedo io, senza presunzione di verità: diciamo, un contributo alla discussione.
Punto primo: Sinistra Arcobaleno era vecchia. Anagraficamente vecchia. Età media dei capilista camera e senato ben oltre i cinquant'anni. Siamo vecchi di mestiere: ceto politico, non migliore né peggiore di altri ma incapace di interpretare una richiesta di rinnovamento profondo che arriva dal paese reale. Siamo vecchi nel linguaggio, prevedibili, stanchi, confusi, ripetitivi, autoreferenziali. A tratti, credo, insopportabili. Un esempio: la "lotta di classe", evocata da Bertinotti e con lui da tanti: concetto non errato in sé ma irrimediabilmente datato. Oggi il paese conosce un conflitto sociale più disperato di quello ch’è descritto dalla lotta di classe. E la linea della disperazione è interclassista, passa tra i ricercatori universitari e i cassintegrati. Non c'è più una classe offesa e oppressa: a vivere sotto la linea di galleggiamento è un terzo del paese: piccola e media borghesia, pensionati, operai, giovani laureati, immigrati... Eppure molti di noi hanno continuato a insistere su una categoria politica di forte identità ma di scarsa realtà, come un karma da ripetere all'infinito per riempire le piazze vuote.
Punto secondo: l'essere comunisti. Dice Diliberto che "l'80 per cento di Sinistra Arcobaleno era composta da comunisti" e che dunque male abbiamo fatto a rinunciare a falce e martello. Ecco: questa è lo spirito della casta, credere che cucendosi sul petto la parola "comunista" si assume per diritto divino la rappresentanza politica degli operai, dei disoccupati, dei precari, dei pensionati, dei disperati o di chi semplicemente vuol vivere in un paese migliore... Qualcuno è cosí presuntuoso da immaginare che a Sesto San Giovanni abbiamo perso perchè non c'erano falce e martello accanto all'arcobaleno? O perchè i comizi non li concludevamo a pugno chiuso? "Noi comunisti" sento dire da taluni compagni: noi chi? Gli eletti? I militanti? Gli elettori? Pensiamo davvero che gli operai del nordest e i clientes di Lombardo ci hanno preso a pernacchie perchè non ci siamo proclamati orgogliosamente comunisti? Ma in che paese vivono codesti "comunisti"?
Punto terzo: la candidatura di Fausto Bertinotti. Lo dico, a scanso di equivoci, con grande rispetto e gratitudine per Bertinotti, per la responsabilità che si è assunto, per la sua scelta di investire la propria storia e la propria faccia in un difficilissimo processo unitario. Lasciamo agli amici di Grillo lo sfottò sul cachemire e sulla erre moscia, ma resta un fatto: quella candidatura, il linguaggio con cui si è rivolta al paese, la sensazione insopprimibile che anche il presidente della Camera fosse parte (una tra le migliori...) di un vecchio ceto politico: tutto questo non ha aiutato. Nell'indicazione di Bertinotti c'è stata, soprattutto, la scelta di non rischiare, di non osare candidature che avessero il sapore d'un tempo nuovo, di linguaggi più sfrontati, di raccontare e rappresentare un paese cambiato. E' stata una decisione da burocrazia politica: e l'abbiamo pagata.
Insomma, siamo apparsi vecchi. Uno dei vizi della vecchiaia è l'istinto di sopravvivenza, smarrire ogni generosità, vivere alla giornata. E' quello che adesso rischia di accadere: per qualcuno sarà più facile tornare nelle proprie ridotte, tirar fuori i vecchi vessilli, contarsi e ricontarsi pregustando che ad ogni giro il numero si assottigli sempre di più. Del resto, qualcuno aveva già cominciato a farlo. Abbiamo consumato quest'anno a emendare le virgole nei comunicati dei segretari, a fare mezzo passo avanti e due passi indietro, a ridurre la Sinistra Arcobaleno a un repertorio di nomenclature. Né uniti né plurali: insieme per caso. Dentro liste costruite a tavolino con la solerzia dei farmacisti, questo lo piazzo qui, quest'altro lo metto lì, tanto i voti sono nostri, sicuri come spiccioli in banca, viatico per elezioni sicure...
Che fare adesso? La prima cosa: evitare che siano i partiti a dettare tempi e modi della discussione, per poi gestirla nel chiuso dei propri organismi aspettando la resa dei conti dei congressi. Se così fosse, alla fine - qualunque fosse la fine - ci ritroveremo più magri e più soli di prima. Occorre una fase costituente a sinistra che, certo, va anzitutto condivisa con i partiti (con chi ci sta: gli altri tornino pure alle loro storie private) ma che sia gestita fuori, altrove, in luoghi e con percorsi da individuare. Insomma, occorre un processo di democrazia dal basso, senza "costituenti" nominati per cooptazione, senza padri nobili, senza quote da dividersi tra partiti e società civile.
Seconda urgenza: servono regole capaci di restituire visibilità, partecipazione e coinvolgimento a una sinistra diffusa che esiste e che ha scelto di non votarci non per aver abbandonato i nostri simboli ma per esserci rivelati superflui, autoreferenziali, rinchiusi nelle nostre stanze, capaci semplicemente di fabbricare comunicati stampa e di aggiornare organigrammi. Questa sinistra sociale ampia, larga, diffusa ma fino ad oggi esclusa, va rimotivata offrendole responsabilità e sovranità sul processo. Un processo che sia inedito nelle pratiche, fortemente democratico, solido nei contenuti, capace di parlare al paese reale e di farsi ascoltare. Perdonatemi, ma altra via non vedo. Se anno zero dev'essere, che lo sia anche in positivo, scegliendo ciò che non va fatto più e ciò che non va più rinviato.
Punto primo: Sinistra Arcobaleno era vecchia. Anagraficamente vecchia. Età media dei capilista camera e senato ben oltre i cinquant'anni. Siamo vecchi di mestiere: ceto politico, non migliore né peggiore di altri ma incapace di interpretare una richiesta di rinnovamento profondo che arriva dal paese reale. Siamo vecchi nel linguaggio, prevedibili, stanchi, confusi, ripetitivi, autoreferenziali. A tratti, credo, insopportabili. Un esempio: la "lotta di classe", evocata da Bertinotti e con lui da tanti: concetto non errato in sé ma irrimediabilmente datato. Oggi il paese conosce un conflitto sociale più disperato di quello ch’è descritto dalla lotta di classe. E la linea della disperazione è interclassista, passa tra i ricercatori universitari e i cassintegrati. Non c'è più una classe offesa e oppressa: a vivere sotto la linea di galleggiamento è un terzo del paese: piccola e media borghesia, pensionati, operai, giovani laureati, immigrati... Eppure molti di noi hanno continuato a insistere su una categoria politica di forte identità ma di scarsa realtà, come un karma da ripetere all'infinito per riempire le piazze vuote.
Punto secondo: l'essere comunisti. Dice Diliberto che "l'80 per cento di Sinistra Arcobaleno era composta da comunisti" e che dunque male abbiamo fatto a rinunciare a falce e martello. Ecco: questa è lo spirito della casta, credere che cucendosi sul petto la parola "comunista" si assume per diritto divino la rappresentanza politica degli operai, dei disoccupati, dei precari, dei pensionati, dei disperati o di chi semplicemente vuol vivere in un paese migliore... Qualcuno è cosí presuntuoso da immaginare che a Sesto San Giovanni abbiamo perso perchè non c'erano falce e martello accanto all'arcobaleno? O perchè i comizi non li concludevamo a pugno chiuso? "Noi comunisti" sento dire da taluni compagni: noi chi? Gli eletti? I militanti? Gli elettori? Pensiamo davvero che gli operai del nordest e i clientes di Lombardo ci hanno preso a pernacchie perchè non ci siamo proclamati orgogliosamente comunisti? Ma in che paese vivono codesti "comunisti"?
Punto terzo: la candidatura di Fausto Bertinotti. Lo dico, a scanso di equivoci, con grande rispetto e gratitudine per Bertinotti, per la responsabilità che si è assunto, per la sua scelta di investire la propria storia e la propria faccia in un difficilissimo processo unitario. Lasciamo agli amici di Grillo lo sfottò sul cachemire e sulla erre moscia, ma resta un fatto: quella candidatura, il linguaggio con cui si è rivolta al paese, la sensazione insopprimibile che anche il presidente della Camera fosse parte (una tra le migliori...) di un vecchio ceto politico: tutto questo non ha aiutato. Nell'indicazione di Bertinotti c'è stata, soprattutto, la scelta di non rischiare, di non osare candidature che avessero il sapore d'un tempo nuovo, di linguaggi più sfrontati, di raccontare e rappresentare un paese cambiato. E' stata una decisione da burocrazia politica: e l'abbiamo pagata.
Insomma, siamo apparsi vecchi. Uno dei vizi della vecchiaia è l'istinto di sopravvivenza, smarrire ogni generosità, vivere alla giornata. E' quello che adesso rischia di accadere: per qualcuno sarà più facile tornare nelle proprie ridotte, tirar fuori i vecchi vessilli, contarsi e ricontarsi pregustando che ad ogni giro il numero si assottigli sempre di più. Del resto, qualcuno aveva già cominciato a farlo. Abbiamo consumato quest'anno a emendare le virgole nei comunicati dei segretari, a fare mezzo passo avanti e due passi indietro, a ridurre la Sinistra Arcobaleno a un repertorio di nomenclature. Né uniti né plurali: insieme per caso. Dentro liste costruite a tavolino con la solerzia dei farmacisti, questo lo piazzo qui, quest'altro lo metto lì, tanto i voti sono nostri, sicuri come spiccioli in banca, viatico per elezioni sicure...
Che fare adesso? La prima cosa: evitare che siano i partiti a dettare tempi e modi della discussione, per poi gestirla nel chiuso dei propri organismi aspettando la resa dei conti dei congressi. Se così fosse, alla fine - qualunque fosse la fine - ci ritroveremo più magri e più soli di prima. Occorre una fase costituente a sinistra che, certo, va anzitutto condivisa con i partiti (con chi ci sta: gli altri tornino pure alle loro storie private) ma che sia gestita fuori, altrove, in luoghi e con percorsi da individuare. Insomma, occorre un processo di democrazia dal basso, senza "costituenti" nominati per cooptazione, senza padri nobili, senza quote da dividersi tra partiti e società civile.
Seconda urgenza: servono regole capaci di restituire visibilità, partecipazione e coinvolgimento a una sinistra diffusa che esiste e che ha scelto di non votarci non per aver abbandonato i nostri simboli ma per esserci rivelati superflui, autoreferenziali, rinchiusi nelle nostre stanze, capaci semplicemente di fabbricare comunicati stampa e di aggiornare organigrammi. Questa sinistra sociale ampia, larga, diffusa ma fino ad oggi esclusa, va rimotivata offrendole responsabilità e sovranità sul processo. Un processo che sia inedito nelle pratiche, fortemente democratico, solido nei contenuti, capace di parlare al paese reale e di farsi ascoltare. Perdonatemi, ma altra via non vedo. Se anno zero dev'essere, che lo sia anche in positivo, scegliendo ciò che non va fatto più e ciò che non va più rinviato.
Nessun commento:
Posta un commento