venerdì 11 aprile 2008

Come voteranno gli 800mila italiani residenti all'estero?

di AGOSTINO SPATARO
Mentre la campagna elettorale s’avvia al rush finale, c’è chi pensa con speranza o con timore al voto dei due milioni e 800mila “italiani residenti all’estero” chiamati ad eleggere 12 deputati e 6 senatori, col voto di preferenza. Un “privilegio” negato agli elettori in Italia.
Un voto importante che nel 2006 si è rivelato decisivo per la vittoria dell’Unione, tanto da far gridare ai brogli Berlusconi, com’è solito fare… quando perde.
Una buona fetta di questo elettorato è di origine siciliana. Non a caso su 269 candidati presenti nelle diverse liste per le quattro circoscrizioni continentali ben 53 sono d’origine siciliana (il 20% ), dei quali tredici sono originari dal catanese, otto dall’agrigentino e sette dal messinese.
Un vero primato che ha fatto scrivere di una “Sicilia superstar”.
A parte la curiosità statistica, il dato semmai conferma l’ampiezza della presenza dell’emigrazione siciliana nel mondo, in genere molto sensibile al richiamo della politica.
Seguendo i giornali e i blog delle comunità d’emigrati è agevole rilevare che, nonostante le enormi distanze e la carenze di mezzi logistici e finanziari, all’estero la campagna elettorale, forse, è più sentita che nella madrepatria.
Sarà per la preferenza o per l’ansia di colmare un lungo periodo di esclusione o per il semplice desiderio di riannodare i rapporti con l’Italia, fatto sta che gli emigrati sembrano entrati in fibrillazione nella speranza di mandare a Roma un loro rappresentante.
Per altro, c’è da dire che oggi i nostri emigrati non vedono più l’Italia come una realtà da cui fuggire, semmai dove rientrare o comunque con cui ristabilire rapporti affettivi ed anche culturali ed economici.
In verità, tale slancio un po’ si smorza in quelli d’origine meridionale e siciliana i quali hanno ben chiaro che di Italie ce ne sono ancora almeno due: quella “bassa” dalla quale si continua ad emigrare e quella “alta” che scoppia di lavoro e di ricchezza verso la quale si emigra.
Dell’emigrazione siciliana di tanto in tanto si parla, quasi sempre, per magnificare la sorte personale di taluno che è riuscito a fare il grande balzo nell’economia, in politica o nelle arti.
Trascurando la gran massa che vive in condizioni dignitose e talvolta anche in miseria, soprattutto in alcuni Paesi dell’America latina.
Uno scenario contraddittorio, poco conosciuto, anche se complessivamente migliorato, all’interno del quale si svolge l’esistenza di tanti siciliani sparsi per il mondo che possono partecipare all’elezione del parlamento nazionale ma non di quello regionale.
Tuttavia, al di là degli esiti, credo che al voto dei nostri corregionali debba essere attribuita una valenza speciale, al di sopra delle parti, fuori delle diatribe e dei giochetti politici nostrani.
E soprattutto abituarsi a trattare i loro rappresentanti con più rispetto e attenzione giacchè- credo- da loro la politica italiana potrebbe apprendere tante cose utili.
Non è stato certo un esempio edificante il tentativo (clamorosamente fallito) di far cambiare casacca a Nino Randazzo senatore siculo-australiano del centro-sinistra.
Ci sono riusciti con altri senatori (eletti in Italia) a far cadere il governo Prodi, ma non con il tradimento del siciliano Randazzo. E di ciò siamo veramente orgogliosi.
Insomma, bisogna cominciare a percepire la realtà dell’emigrazione come una componente, una proiezione naturale del nostro popolo che reclama rispetto e solidarietà concreta e una profonda revisione dell’intervento pubblico a loro favore.
Non solo assistenza, dunque, ma una nuova progettualità e più significativi rapporti con i Paesi d’accoglienza per favorire gli scambi culturali, economici e soprattutto i “ritorni” di qualificate competenze acquisite anche nel campo dell’imprenditoria.
Nell’era della globalizzazione sono mutati anche il profilo e il ruolo dell’emigrazione: da dramma sociale è diventato un’importante risorsa da mettere al servizio dello sviluppo della Sicilia.
Tante sono le potenzialità esistenti in giro per il mondo. Purtroppo la regione e le sue inconcludenti “case Sicilia” non le hanno saputo cogliere e valorizzare.
Come hanno denunciato relatori e delegati durante i lavori dell’11° congresso dell’Unione siciliana emigrati e famiglie (Usef), svoltosi nei giorni scorsi a Palermo che ha rilanciato l’idea dell’emigrazione come risorsa, sperando che venga recepita dai nuovi organismi della regione che saranno eletti il 13-14 aprile..
La regione siciliana è largamente inadempiente verso le problematiche dell’emigrazione, anche rispetto agli obblighi sanciti dalle sue stesse leggi, a iniziare dalle mancate convocazioni della consulta e della conferenza dell’emigrazione.
Eppure, ci sarebbero tante cose da mettere in cantiere per migliorare la condizione degli emigrati siciliani e per assicurare uno sbocco alle produzioni siciliane più pregiate, dall’agroalimentare, al turismo, all’artigianato. Questa è la mission che si è data la “Usef-Service srl”, una società di servizi che promuove joint-venture tra imprese siciliane e imprese estere, soprattutto con quelle aventi un titolare d’origine isolana.
La conferma ci viene da una discussione con l’on. Eduardo Di Pollina, ospite di riguardo al congresso Usef e presidente de la Camara de Diputatos provincia di Santa Fè, l’unico Stato federato d’Argentina governato da una maggioranza socialista.
Anch’egli è d’origine siciliana. La Sicilia l’ha scoperta da bambino, attraverso i racconti dell’amato nonno Antonio, partito da Tusa nel 1919. “Era come un lungo viaggio sentimentale”, mi confessa. Perciò, vorrebbe impegnarsi, da presidente di quel parlamento, per avviare un sistema di relazioni economiche e sociali, reciprocamente vantaggioso. A partire dalla sua città, Rosario, primo porto commerciale dell’Argentina, dove vive la più grande concentrazione di emigrati d’origine siciliana.
Agostino Spataro

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