domenica 27 marzo 2011

Pd, anteprima dell’assemblea regionale. Potrebbe essere un Vietnam, paventano Lumia e Cracolici. Verso il governo politico

Peppe Lumia
(essepì) Non sarà una passeggiata, paventa Antonello Cracolici, ma ci sono ancora spiragli per non vietnamizzare il partito. Quali siano si vedrà sul posto al momento giusto, per ora l’area che fa capo – tra gli altri – a Beppe Lumia, ex presidente dell’antimafia nazionale, ispiratore dalla nuova stagione politica, e al capogruppo parlamentare dell’Ars, si augura che le cose si aggiustino e non dispera che ciò avvenga. Il dissenso ha la schiuma in bocca, ammettono Lumia e Cracolici, ma le buone ragioni e il quadro politico si è evoluto nel senso desiderato e pronosticato (“Le abbiamo azzeccate tutte sia a Palermo che a Roma, come faranno a darci torto?”), dando una mano anche al Pd nazionale, con un cambio epocale dei livelli decisionali: il vecchio Udc è scomparso facendo nascere il Pid, e quello nuovo è un’altra cosa, il Pdl si è scisso ed è all’opposizione, il Mpa vota la sfiducia a Berlusconi e “denuncia” la vecchia alleanza di centrodestra, creando problemi a Roma. E nei settori in cui l’antico sistema di potere – la sanità, i rifiuti, l’energia – è stato messo alla porta “stanno impazzendo per rientrare in sella. Dovremmo forse aiutarli noi?”.
L’anteprima dell’assemblea regionale del Pd, prevista per il 3 aprile, si è consumata in una piacevole domenica primaverile tiepida e salutare, in un albergo cittadino in via Messina Marine a Palermo, dal quale si vede un pezzo di mare – in Sicilia bisogna accontentarsi - e si respira già l’aria della stagione balneare. Atmosfera insolitamente lieve con qualche episodio che mette allegria quando un signore, seguito con lo sguardo da Antonello Cracolici, entrato per sbaglio nel salone in cui i democratici dibattevano sulle loro cose, dopo avere ascoltato per qualche istante Lumia, si è fatto il segno della croce ed è tornato sui suoi passi come chi capita in un luogo di culto per errore e lo lascia in fretta e furia ma in punta di piedi, quasi a scusarsi della sua scelta. È stato Lumia o le sue parole a indurlo a segnarsi con la croce? Né l’uno né l’altro, forse il clima disteso e quel “San Paolo” alle pareti, accompagnato dalla ragione sociale del luogo descritta a lettere minuscole. L’assemblea del 3 aprile, dunque. Il Partito democratico dovrebbe decidere per l’ennesima volta se e come contarsi sul sostegno al governo in carica. Lo fa da più di un anno, quindi non è una novità, e non dovrebbe fare più notizia, ma ci sono i media ad accompagnare con mano ed inesausto interesse questa lunga querelle, tanto che l’evento, stavolta sì, meriterebbe il segno della croce per la sorprendente tenacia. Roba da suscitare la nostalgia della Repubblica di mezzo, quella degli anni Sessanta-Settanta in cui Giulio Andreotti sbrigava le questioni urgenti con encomiabile pragmatismo sollecitando, per esempio, Franco Evangelisti titubante e perplesso a dire la sua presto e bene. “A Fra’che te serve?”, gli chiedeva, con il sorriso sulla bocca, complice generoso di quell’attesa carica di aspettative.
“Il fatto è”, ha detto Cracolici, “che il dissenso parla poco e male. Pensano che gli assessori tecnici siano nelle nostre mani e facciamo ciò che ci pare. Non lo dicono, ma lo pensano, ed è per questo che vogliono il governo politico: una cosa giusta, ma non può essere imposta dall’oggi al domani, dobbiamo arrivarci con un’alleanza politica che ci porti alle elezioni. Non è una questione di nomi”, ha precisato Cracolici, “possono restare quelli che ci sono, ma la coalizione deve assumersi la responsabilità politica dell’esecutivo e della maggioranza che lo sostiene”.
Su questi temi, nell’introduzione ai lavori, Beppe Lumia ha svolto la sua analisi, collegando le vicende siciliane con quelle nazionali. “Non si è fatta una valutazione diligente del ruolo che il Pd siciliano ha avuto nelle questioni nazionali”, ha esordito. “Ricordate che cosa era la Sicilia?”, si è chiesto. “Il granaio del Pdl, la regione berlusconiana al cento per cento, uno dei punti di forza del Paese. Insieme a Lazio e Lombardia permetteva a Berlusconi di minacciare le elezioni anticipate all’opposizione. Lombardia è rimasta al Pdl, il Lazio è andato al Pdl, ma la Sicilia è stata la Waterloo di Berlusconi. È qui che è saltato tutto ed è grazie alla Sicilia che la minaccia è stata disarmata. Lo abbiamo fermato e invertito la rotta. Sono stati cancellati gli inceneritori, grande business dei rifiuti, affidando all’autorità giudiziaria gli elementi utili per capire ciò che c’è dietro; si è intervenuto nel settore strategico della sanità, il ventre molle dell’intermediazione politica-affaristica, e nell’energia con l’eolico nelle mani di loschi figuri. Un assetto scandaloso su cui si è agito con estrema determinazione”.
Dopo avere ricordato la rilevanza dei provvedimenti legislativi adottati (riforma elettorale e semplificazione burocratica), Lumia ha affrontato il caso Vitrano: “È il frutto di un sistema consociativo che ci voleva relegati all’opposizione, ai margini, abilitati agli scambi sotto banco, legali o illegali, fuori da ogni decisione istituzionale in grado di incidere sulla Sicilia. L’ordine delle cose garantito dai democratici all’opposizione. Oggi non è più così e pare che qualcuno si senta orfano di questa fruttuosa emarginazione”.
Si va verso un’alleanza politica con Udc e Mpa e “con chi ci sta”. Lo ha ribadito, dopo Lumia anche il presidente della Commissione regionale antimafia, Lillo Speziale, che del caso Vitrano ha fatto il leit motiv del suo intervento. “La questione morale va affrontata ed il Pd deve alzare la soglia di salvaguardia delle istituzione con una normativa che ponga al riparo da scelte che possono inquinare la pubblica amministrazione attraverso regole rigide che impediscano a dirigenti e consulenti l’accesso. Voglia di severità che,invero, anche Cracolici ha esibito con inconsueta enfasi (“Chi sbaglia deve pagare, politico o funzionario e chi, dirigente o meno, non fa la sua parte, deve subire le sanzioni che la legge recentemente approvata prevede: dobbiamo chiudere con le indulgenze plenarie, il perdonismo e il tirare a campare”).
Cuore e ragione, in tutti gli intervenenti, erano impegnati dall’assemblea del 3 aprile durante la quale i 370 membri dovranno completare la costituzione degli organi statutari ancora incompleti a più di un anno dal congresso e dalle primarie. Bisognerà eleggere il Presidente dell’Assemblea, posto rimasto vacante, e 29 componenti della direzione. C’è anche da apportare una modifica allo statuto per consentire l’elezione diretta dei presidenti dei circoli e c’è la questione del nome da dare al Pd nell’Isola. Deve rimanere “Partito democratico siciliano” e non, “della Sicilia” come si vorrebbe a Roma, perché, ha detto con grande passione Angela Bottari, “abbiamo uno statuto autonomista che va rispettato anche dal partito”.
Fonte: SiciliaInformazioni.it

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