Antonio Ingroia |
A 19 anni da via D'Amelio, i magistrati che hanno lavorato con Borsellino hanno letto in pubblico le loro lettere al collega ucciso da Cosa Nostra: "Se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità"
Caro Paolo, sono passati 19 anni da quel maledetto 19 luglio 1992. 19 anni che mi manchi, che ci manchi, che non ti vedo più, che non ti incontriamo più. E mi colpisce che 19 sono anche gli anni che ci dividevano: infatti ora ti ho raggiunto, ho la tua stessa età. Gli stessi 52 anni che avevi tu quando sei morto ed è singolare, un segno del destino beffardo, il fatto che mi ritrovo alla tua stessa età, nello stesso posto da te ricoperto (Procuratore Aggiunto alla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo). Del resto, in questi 19 anni non ho fatto altro che inseguirti: inseguire la tua ombra, inseguire le tue orme, inseguire il tuo modello, inseguire la tua carriera (insieme a Marsala ed insieme da Marsala a Palermo, e poi fino al posto di Procuratore Aggiunto a Palermo), ma la cosa che ho più inseguito di te è stata un'altra: la Verità sulla tua morte.
Cercando di ispirarmi ai tuoi insegnamenti: inseguire la Verità, cercarla, lottare per trovarla, senza mai rassegnazione, anzi quasi con ostinazione. Perché non posso rassegnarmi all'ingiustizia di una verità dimezzata e quindi incompiuta, e perciò negata. Perché la piena verità sulla tua morte terribile è sempre stata negata. Finora.
Ma a quella verità ho diritto come tuo allievo e come tuo amico, e ne hanno ancor più diritto i tuoi figli, tua moglie, i tuoi fratelli. E non solo i tuoi parenti, anche gli italiani onesti, di ieri e di oggi. E quella verità – lo sento – si avvicina, anno per anno, momento per momento. La verità rende liberi, ma bisogna essere liberi per poter conquistare la verità. Tu avevi un'ossessione per la verità, specie sulla fine di Giovanni Falcone, il tuo migliore amico, quasi un fratello, e anch'io ho una specie di ossessione – lo confesso – per la verità sulla tua morte. Certo, se tu vedessi l'Italia di oggi resteresti impressionato per il puzzo del compromesso morale, ma saresti felice dei tanti giovani liberi che vogliono verità. Dai quindi a loro e a noi ancora più energia e convinzione per vincere, per prevalere su chi non è libero, su chi non vuole la verità.
Noi possiamo dirti, ed io in particolare ti assicuro che faremo, che farò di tutto per trovarla questa verità. E con la verità verrà la giustizia. Il tuo esempio, il tuo modello ci aiuterà, così farai giustizia attraverso tutti noi. Sarà un modo di averti sempre fra noi, perché così, fra noi, ti abbiamo sentito in questi 19 anni, ed ancor più ti sentiremo, convinti di poterti sentire, da domani in poi, in un'Italia più giusta, in un'Italia più uguale. Più libera nella verità. Perché la verità rende liberi. La giustizia rende eguali. E noi vogliamo come te un'Italia più libera e più giusta. Un'Italia senza mafie e senza corruzione. Per rivederti sorridere. Per rivedere sul tuo volto quel tuo sorriso inconfondibile, il sorriso con il quale mi salutasti l'ultima volta che ci incontrammo, quel pomeriggio di metà luglio in Procura. Lo stesso sorriso che hai regalato ai tanti che ti hanno conosciuto, ti hanno apprezzato, ti hanno amato. I tanti dell'Italia migliore.
Hanno letto in via D'Amelio, a pochi passi dal luogo in cui un'autobomba lo uccise il 19 luglio del 1992, una lettera dedicata a Paolo Borsellino. Quattro magistrati che hanno lavorato con Borsellino, che lo hanno conosciuto, che hanno imparato da lui i primi segreti delle indagini antimafia, la voce rotta dall'emozione, e spesso interrotti dagli applausi, hanno raccontato il loro Borsellino privato e pubblico.
Antonio Ingroia, il "pupillo", che da giovane magistrato ha lavorato prima a Marsala e poi a Palermo, fino a quel maledetto 19 luglio, ha raccontato i suoi primi passi da "giudice ragazzino" fino ad oggi, procuratore aggiunto a Palermo, l'incarico che il suo maestro aveva quando venne ucciso.
Nino Di Matteo, oggi sostituto procuratore titolare della delicata inchiesta sulla trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato - che sta portando alla riscrittura di parte della verità su quella strage- ha ricostruito i suoi primi giorni da magistrato a Caltanissetta, titolare delle indagini sulla strage di via D'Amelio dove vennero uccisi pure i cinque poliziotti della scorta di Borsellino.
L’Espresso, 19 luglio 2011
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