di Bruno Gravagnuolo
Le socialdemocrazie hanno inseguito un centro che non c’era più e si sono appiattite su posizioni moderate. Perciò sono in crisi. Ma di qui a stilare diagnosi di morte ce ne corre». Giudizio netto quello di Massimo Salvadori, tra i massimi storici del movimento operaio e della socialdemocrazia, oggi professore emerito di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino. E analisi imperniata su un dato: non è vero che nelle nostre società è sparito il lavoro dipendente, con trionfo di lavoro autonomo e ceti medi. Al contrario, sostiene Salvadori, «c’è stata una polarizzazione sociale, e un aumento delle diseguaglianze, proprio sotto la sferza della bufera finanziaria e liberista, oggi in preda allo tsunami ». Una dinamica che i socialisti europei non hanno compreso, fino al punto da smarrire la percezione della realtà, e quella della loro identità. Vediamo come e perché.
Professor Salvadori, «campane a morte per il socialismo europeo», dicono un po’ tutti, progressisti moderati in prima fila. Davvero il socialismo si sta estinguendo, come titola l’«Herald Tribune»?
«Per tutto il 900 hanno risuonato quelle campane, per l’una e l’altra forza politica, salvo assistere a impreviste rinascite. La condizione del socialismo europeo è certo allarmante, ma non sappiamo se siamo in fase terminale. Anche il liberismo fu dato per spacciato e invece è ritornato alla grande. La Spd e il Psf oggi sono alle corde? È vero, ma è già iniziata una forte discussione interna. In Germania comunque c’è il 23 %della Spd, e il 12,7% della Linke: sintomo di una forte richiesta di sinistra. Quindi ci vuole cautela, perché i numeri dicono che una base politico-sociale esiste per un’opposizione programmatica».
Michele Salvati ha scritto: c’e stata l’ondata neoliberista e la socialdemocrazia doveva assecondarla, ma verranno tempi migliori. Condivide?
«Ma allora perché col neoliberismo in crisi non c’è stata la risalita delle forze socialiste? Invece abbiamo visto il contrario. In realtà c’è stato un appannamento del ruolo socialista. Sicché l’Spd, che ha giocato sul fronte moderato, ha perso. Mentre la Linke, che è stata radicale, ha avuto successo. No, non credo che i socialisti dovessero per forza cavalcare l’ondata neoliberista. Credo all’opposto che proprio tale scelta moderata, in Europa, abbia portato alla sconfitta, alla mancanza di presa. Perché se si tratta di fare i “centristi”, questo sanno farlo molto meglio altri partiti. Blair ha trasformato Londra nella seconda Wall Street delle oligarchie finanziarie, illudendosi di espandere il benessere. Così non è stato, e oggi il Labour è allo stremo. I socialisti si sono “confusi” con i conservatori su terreni cruciali, a cominciare dalla deregulation finanziaria, denunciata da Obama. Ne è derivato uno smarrimento di identità, una perdita della ragion d’essere».
E il paradosso è che la destra assume in proprio certe ragioni di sinistra, a cominciare dal governo dell’economia...
«Ovvio. Le forze di centrodestra hanno imbracciato subito l’intervento pubblico, malgrado le maledizioni del passato, e a proposito di campane a morto...Nessun imbarazzo nel salvare le banche, con regole prima reputate mortifere. Ora è evidente che senza catturare il centro non si vincono le elezioni. Però un conto è puntare alla conquista di quella zona sociale, altro appiattirsi su di essa, inseguendo il fantasma di un ceto medio che non c’è più, e che si è impoverito. Dinanzi a questo, dinanzi alla finanza trionfante, la sinistra non ha saputo leggere le “implicazioni di processo”, rinunciando così a un programma che partisse dagli interessi veri: ceto medio minacciato, precarietà, disoccupati, e lavoro dipendente ancora maggioritario. È passata un’analisi falsa, che ha frainteso le diseguaglianze di reddito crescenti, ed enfatizzato la realtà- spesso miserevole - dello stesso lavoro autonomo, largamente minoritario. Conclusione: la sinistra deve mobilitare e riorganizzare tutte queste realtà. Certo, non secondo una visione vetero-classista e polarizzante che non tiene più - la “centralità operaia” – ma in base a una geografia sociale aderente alla realtà. Il che significa che i diritti sociali - l’altra gamba della democrazia assieme ai diritti politici - devono diventare strategici per un programma di governo».
Dunque, governo dell’economia, diritti sociali, redistribuzione, qualità dello sviluppo e democrazia industriale devono ridiventare cruciali per i socialisti?
«Naturalmente. Senza queste ragioni il divario delle socialdemocrazie con il loro retroterra e con quello sociale più ampio - inasprito da crescenti diseguaglianze - è destinato ad approfondirsi. Fino alla cancellazione del loro ruolo».
C’è una lezione da trarre anche per l’Italia, dove il Pd appare solcato da una discussione proprio su identità e rappresentanza?
«Sono convinto che il Pd manchi di un’identità, sulle questioni di fondo. Ci sono posizioni opposte e minacce di secessione da una parte e dall’altra. È in corso bene o male un congresso, chiamato a dare una risposta. Bersani ha detto con chiarezza due cose: il Pd sarà un partito nuovo, che deve tenersi la propria tradizione di sinistra. E ancora: la categoria della sinistra non può essere esclusa dall’identità del Pd. Sappiamo però quanti nel partito rifiutino una vocazione di sinistra...».
Tenersi quest’identità è un contributo alla crisi italiana, nonché alla crisi delle socialdemocrazie?
«Penso proprio di sì. Anche in virtù di una considerazione più generale, estesa al contesto internazionale più vasto. Ebbene, senza dubbio alcuno, i centrodestra europei sono più moderni e dignitosi di quello italiano. Però dobbiamo chiederci. Se i partiti socialdemocratici sono ormai qualcosa di residuale, davvero il centrodestra è in grado di offrire una risposta ai problemi sul tappeto? Le destre hanno sul serio un programma espansivo, capace di assorbire e includere le domande che vengono da una società a forte disoccupazione, dal ceto medio così impoverito e così bisognoso di sicurezze? C’è nel centrodestra un paradigma di valori, e di cultura economica e politica, stabilizzante, dinanzi alle emergenze presenti, tale da poter far morire la sinistra?».
Francamente questo pericolo esiste, almeno sul piano demagogico immediato, e fino al punto da far smottare la sinistra. Non le pare?
«Il centrodestra potrebbe sfondare, ma solo a condizione che sappia replicare incisivamente a tutti quei problemi che hanno sempre costituito la grammatica della sinistra: dall’immigrazione, al lavoro, alla precarietà, alla sicurezza sociale, all’ambiente. Ma che siano in condizione di farlo, sino a far smottare le basi sociali della sinistra, io non lo credo».
Insisto, il rischio è concreto, e se ne vedono le avvisaglie in Europa.
«D’accordo, non sarebbe la prima volta che la sinistra viene messa in ginocchio. Eppure non è morta, ed è risorta. Vedremo come va a finire. In passato si diceva: è il secolo del fascismo, è il secolo del liberalismo, è il secolo della socialdemocrazia, del comunismo. Che questo sia il secolo del conservatorismo e del centrosinistra io non lo credo. Oltretutto nel mondo ci sono realtà progressiste e di sinistra al governo, in India, in America Latina, e c’è Obama. Il che accresce il paradosso europeo, della destra sugli scudi malgrado la crisi liberista. Ma accresce pure le speranze ».
L'Unità, 30 settembre 2009
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