giovedì 14 gennaio 2010

L’influenza A/H1N1 ha fatto un gran bene. Alle aziende farmaceutiche di tutto il mondo

E’ cominciata così, con una notizia che ha tenuto in ansia il mondo intero: più di 170 i casi di influenza suina accertati, larghissima parte dei quali concentrati in Messico, unico Paese dove il nuovo virus ha provocato la morte. 1.650 sono le persone ricoverate in ospedale con i sintomi del virus A/H1N1. Poi è arrivato l’altro allarme: il virus si espande, è arrivato in Europa, dopo avere superato, nelle Americhe, i confini del Messico per toccare California, Texas e Kansas. Da allora si è scatenato il putiferio. Governi a caccia del vaccino, investimenti ingenti, preoccupazione, polemiche anche aspre. Ed un bollettino quotidiano di morti e persone ricoverate in ospedale. Titoli a tutta pagina sui giornale: “L’influenza miete un’altra vittima…”. E titoli su una colonna il giorno successivo per correggere: “… è deceduto perché era affetto da gravi patologie”. Qualche giorno fa si è scoperto che il vaccino restato negli scaffali delle strutture sanitarie, in Italia, Francia, Germania e altri Paesi, è enorme.
E’ stato speso un sacco di soldi inutilmente. Pochi si sono vaccinati e l’influenza non ha affatto creato i guai che erano stati previsti, anzi si è rivelata molto meno pericolosa di altre pandemie, forse la più lieve delle influenze stagionali. I morti? Non c’è influenza che non abbia la sua coda velenosa, perché fra la popolazione colpita, ci sono soggetti deboli, predisposti, o addirittura messi male a prescindere dal virus. Com’è potuto accadere, se perfino moltissimi medici si sono rifiutati di vaccinarsi e non hanno consigliato di prevenire il virus a meno che non fosse strettamente necessario. Tirando le somme si può affermare che l’Organizzazione mondiale della Sanità, i governi e l’informazione hanno sopravvalutato i danni dell’influenza. I medici invece non l’hanno fatto, assumendosi talvolta serie responsabilità. Sappiamo di sicuro che a guadagnarci sono state le industrie farmaceutiche che hanno prodotto il vaccino, ed a creare l’allarme è stata l’informazione, in ogni parte del mondo. La manipolazione, in buona o cattiva fede, è cominciata proprio dal Messico, dove è cominciata la favola dell’influenza “spagnola” o quasi.
I morti crescevano giorno dopo giorno, i titoli in prima pagina e gli allarmi dell’Organizzazione mondiale della sanità pure. Siccome non ci capiva niente nessuno, le notizie sudamericane sono state tenute in prima pagina parecchi giorni, fino a contagiare l’allarme in ogni angolo della terra. La paura, e non l’influenza, ha contagiato il mondo, rivelandone la debolezza culturale sulle questioni sanitarie. Sarebbe bastato che le notizie dal Messico venissero spiegate convenientemente, che si riferisse sulle condizioni igieniche, l’intensità, il clima in cui è nato e si è espanso il virus; che si illustrasse la normalità dei casi di morte accertati in casi di influenza. Se fosse stata offerta una informazione corrette, non ci sarebbe stata la corsa dei governi all’acquisto dei vaccini. Una volta entrata in prima pagina, l’influenza ha fato fatica ad uscirne. Ogni ricovero in ospedale, in Italia, si è trasformato in un terribile evento. La morte di un paziente “influenzato”, a prescindere dalla causa vera, ha fatto scattare una serie di misure preventive che per la loro eccezionalità hanno ancora di più aggravato le preoccupazioni. Oggi l’Organizzazione mondiale della sanità, invece che spiegare ciò che è accaduto, magari facendo il mea culpa, avverte che potrebbe esserci un altro scampolo di pandemia fra qualche mese. Inutile precisare che le informazioni non incontrano l’attenzione di alcuno e lasciano fredde le autorità sanitarie nazionali. Perché gridando “al lupo, al lupo”, quando il lupo arriva non ci crede più nessuna. Ed è uno degli aspetti più inquietanti dell’evento sanitario più “reclamizzato” degli ultimi cinquanta anni, dopo la cosiddetta mucca pazza.
Nella catena di contagio mediatico, la filiera dei medici di famiglia si è rivelata la più resistente, quella dell’informazione la più fragile. E’ quindi il mondo dell’informazione che si deve interrogare sulle responsabilità che si è assunto in questa circostanza. Responsabilità così gravi da suscitare sospetti e allusioni. Una volta tanto i governi, che hanno aperto i cordoni della borsa, hanno subìto il contagio mediatico. Che cosa avrebbero potuto fare le autorità sanitarie nazionale e i governi di fronte all’incalzare delle notizie inquietanti, alla crescita esponenziale dei contagi, alla conta dei morti e dei ricoverati, se non attrezzarsi e affastellare vaccini. Certo, è possibile che nei Palazzi qualcuno sapesse come stavano veramente le cose e che sia stato particolarmente, ed ingiustificatamente, sensibile al problema, assumendo decisioni sproporzionate. Ma la tempestività, in queste circostanze, è essenziale. Ed a determinarla sono due fattori: la pressione dell’opinione pubblica, sollecitata dai media, e i responsi dell’autorità sanitaria, qualche volta sollecitata dalle case farmaceutiche. Non sarebbe male vederci chiaro in questa vicenda, a cominciare dall’Italia, dove i soldi sono stati spesi. E pure tanti.
Da SiciliaInformazioni.it

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