di Agostino Spataro
E’ tempo di riflessioni e di bilanci- La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato- Una terrificante novità- L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi- Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie- Maledetto petrolio!- In un vicolo cieco- Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista- Il gioco delle facili attribuzioni- Una conferenza di pace per il Medio Oriente.
E’ tempo di riflessioni e di bilanci
Kabul brucia mentre continuano le guerre “preventive” scatenate da Bush e soci in Medio Oriente. A quasi dieci anni dal loro inizio, è tempo di fare un bilancio per capire quali altri disastri ci riserva il futuro e soprattutto se e come uscire dal micidiale pantano nel quale si continuano a bruciare decine, centinaia di migliaia di vite umane ed enormi risorse finanziarie pubbliche.
I cittadini hanno diritto di chiederne conto e ragione ai governanti e questi hanno il dovere d’informare e provvedere alle necessarie correzioni. Un bilancio da fare, in primo luogo, in Parlamento che, davvero, non può continuare a tacere e a pagare il conto della crescente spesa per missioni impossibili e comunque dagli esiti deludenti. Mentre in Italia si chiudono fabbriche, scuole, ospedali, ecc. Le guerre continuano e non s’intravvede una conclusione. Anzi, in Afghanistan la coalizione Nato ha deciso d’inviare altri 40 mila uomini di rinforzo per “finire il lavoro”, come ha carinamente chiamato la guerra anche il presidente Barak Obama, neo premio Nobel per la Pace. Eppure, in queste ore, la capitale afghana è nella morsa dei micidiali attentati suicidi, sotto il tiro dei taleban cha pare abbiano raggiunto anche il palazzo presidenziale. In realtà, da tutte le parti si punta ad un' escalation del conflitto che, di fatto, coinvolge anche il Pakistan e potrebbe, da un momento all’altro, estendersi ad altri Paesi della regione. Nella lista nera c’è sempre l’Iran e, da qualche settimana, anche lo Yemen, a causa di un ragazzo nigeriano che non si sa bene come sia salito e cosa abbia combinato sopra quell’aereo per Detroit, il giorno di Natale. Nell’attesa di scoprirlo, è stata avviata la vendita di nuove, costose apparecchiature per la sicurezza aerea. Tutto ok? Non credo proprio. Se il pericolo è così grave e diffuso, la gente si chiede: perché metterle solo negli aeroporti e non anche sulle navi, sui treni, sugli autobus? Nessuno può escludere attentati contro questi altri mezzi di trasporto. A parte gli effetti nocivi sulla salute (da non sottovalutare), queste apparecchiature, se applicate su larga scala, potrebbero paralizzare i sistemi di trasporto, con tutte le conseguenze del caso.
La storiella dell’islamista cattivo e delle bombe buone della Nato
Ma dove si vuole arrivare? Quando finirà tutto questo? La faccenda è troppo seria per essere gestita sulla base dell’intrigo e della propaganda ingannevole. Anche perché non si possono più trattare i cittadini come bambini cui raccontare la storiella dell’islamista terrorista e cattivo e delle bombe buone, “intelligenti”, talvolta fin’anco “umanitarie”, della Nato che metteranno le cose a posto, in ogni parte del mondo. Così come non è indispensabile continuare ad agitarsi per rimarcare le differenze d’approccio fra destra e sinistra, fra neocon e liberal, per altro, così sfumate da risultare impercettibili.
Serve una presa di coscienza generale, in primo luogo dei popoli e delle classi dirigenti dei Paesi interessati dai conflitti, per trovare una via che conduca al più presto alla pace, nel rispetto dei diritti dei popoli all’autodeterminazione, alla sovranità e alla prosperità condivisa.
A tempo debito si dovranno valutare anche le responsabilità del disastro che è davvero immane.
Nel solo Iraq si parla di almeno 600mila vittime, in maggioranza civili inermi. E dire che Bush e la coalizione occidentale hanno fatto carte false (letteralmente) per occupare il Paese e impiccare Saddam Hussein accusato di avere gasato tre mila suoi concittadini sciiti! Se la vita degli uomini e i numeri hanno ancora un senso, bisogna prendere atto che il rimedio è stato molto più letale del male che si voleva curare. Perciò la gente comincia a riflettere sulla realtà e sulle conseguenze determinate da questi conflitti sanguinosi e inconcludenti che producono stragi e nuovo terrorismo. La guerra, infatti, sta agendo come moltiplicatore delle formazioni e delle attività terroristiche. A queste e ad altre questioni i responsabili sono chiamati a rispondere e soprattutto a chiudere il sanguinoso capitolo, per tornare alla pace e alla cooperazione economica e culturale col mondo arabo.
Una terrificante novità
Per altro, in queste guerre anomale, asimmetriche c’è una novità terrificante: il ricorso da parte dei movimenti islamisti ai cosiddetti attentati “kamikaze”, agli shahid o “bombe umane”.
Una forma inedita, inaccettabile, di terrorismo basata sul sacrificio umano e sull’assoluta imprevedibilità dell’azione. Perciò, è quasi impossibile prevenirla, fermarla in tempo utile.
Un’impotenza conclamata che mina il morale delle truppe e angoscia le popolazioni locali esposte agli attentati suicidi. In Occidente, nessuno riesce a capacitarsi del fatto che gli eserciti delle più grandi potenze non riescano a disinnescare l’unica “arma” davvero micidiale di cui dispongono gli islamisti radicali. Si tratta, infatti, di “un’arma” molto speciale, imprevedibile e devastante, il cui nucleo non è costituito da un sofisticato congegno tecnologico, ma da una persona umana. Nei conflitti mediorientali si sta sperimentando, cioè, una nuova tipologia di martirio che ha rari precedenti nella storia dell’Islam e di altre religioni. Un po’ si avvicina ai “kamikaze” giapponesi i quali, però, puntavano soltanto su obiettivi militari, ma è diverso da quello praticato dai primi cristiani il cui martirio era “passivo”, nel senso che subivano, senza reagire, la violenza del potere dominante. I nuovi shahid, invece, s’immolano per procurare la morte dei nemici e, talvolta, di chiunque si trovi nei paraggi.
L’Occidente sconosce il dramma dei popoli arabi
Una tipologia diversa perfino da quella dei fedayn ismailiti, appartenenti alla setta medievale degli “assassini”(assuntori di hascish), che il famoso Vecchio della Montagna inviava per i paesi del medio - oriente (e non solo) a compiere omicidi eccellenti, soprattutto politici.
In quel caso, infatti, il martire-fedayn aveva una pur minima speranza, qualche possibilità di uscire vivo dall’agguato, nel caso in esame, invece, nessuna poiché il primo a esplodere è l’autore dell’attentato. Insomma, per il neo-martire non c’è scampo. Riflettiamo su cosa possa provare, pensare un ventenne che s’appresta a compiere quest’atto devastante. Sì, certo, la causa, la fede, la ricompensa nell’Aldilà lo potranno sorreggere, confortare, ma fino a un certo punto. Ci sarà almeno un attimo di esitazione quando vedrà scorrere nella sua mente le sequenze di una vita sognata ed, ora, da lui stesso troncata. Terribile! Ancora di più se si pensa che la sua morte sarà causa della morte di tanta gente innocente. Eppure, aumenta il numero degli aspiranti e degli attentati sempre più clamorosi, micidiali. Questo fenomeno dovrebbe pur dire qualcosa ai promotori delle guerre preventive. Invece, in Occidente se ne parla poco, anche se tutti ci pensano e, nell’intimo, ne restano atterriti. Nemmeno i più patinati commentatori e analisti l’hanno vagliato a dovere, con obiettività e in profondità. Quasi lo si volesse rimuovere dall’immaginario collettivo per il timore che si possa scoprire, sotto questi atti irrazionali, la disperazione in cui si dibattano i popoli arabi e islamici, specie i ceti più poveri ed emarginati. Sotto le terre arabe le più grandi risorse, sopra le più grandi miserie. Alla base di questi gesti estremi, da meglio indagare ma da condannare senza esitazioni, infatti, non c’è solo la protesta contro l’occupazione straniera, comunque camuffata, ma anche per il diffuso malessere arabo, per le tante ingiustizie sociali irrisolte, per la mancanza di libertà e per la negazione dei diritti fondamentali. Non a caso la gran parte dei neo-martiri sono giovani disoccupati provenienti da famiglie povere. Purtroppo, da noi, quasi si sconosce la drammaticità della crisi del mondo arabo. Anche, nella conoscenza non c’è reciprocità. D’altronde, anche i media non aiutano a recuperare questo deficit di conoscenza, anzi danno una lettura adulterata, parziale di questo mondo, eternamente occupato a difendere il velo, il burqa contro l’invadenza delle mode parigine. Se si andasse a cercare si scoprirebbe che sotto le terre degli arabi si celano le più grandi risorse energetiche del pianeta, ma sopra quelle stesse terre prosperano le più grandi povertà. Specie nei paesi petroliferi, convivono ricchezze scandalose, lussi sfrenati con spaventose ingiustizie. Un mix male assortito che genera odio, risentimenti nelle masse escluse. La religione cerca di mediare, ma non sempre ci riesce. Da qui la rivolta in nome di Allah, sovente strumentalizzata da interessi economici e politici molto materiali, interni e internazionali. In assenza di un'ideologia laica del progresso, capace di mobilitare le masse e d’incanalare il malcontento verso obiettivi di confronto democratico e civile, nascono, e si diffondono, “forme di lotta” assurde e disperate, incomprensibili in Occidente.
Maledetto petrolio!
Nell’immaginario europeo e occidentale in genere, il vicino Oriente resta, dunque, un mondo cupo, arretrato, come una barriera tenebrosa che s’interpone fra l’Europa e l’estremo Oriente.
Una “terra” incognita dove s’incontrano sentimenti estremi e ciniche bramosie di potere. Agitando per bene questa miscela si hanno i neo-martiri e i nuovi emiri. Chi dovesse incappare in questo meccanismo sarà stritolato, senza pietà. Sì, perché in questa guerra la prima vittima è stata la pietà umana. Non c’è pietà per i bambini, per le donne, per i vecchi di Gaza, di Bagdad, dell’Afghanistan, del Pakistan, del Libano, ecc. Come non c’è stata pietà per le tremila persone sepolte sotto le “torri gemelle” di New York. Maledetto petrolio! Sta uccidendo il nostro bellissimo Pianeta, ha già ucciso la pietà e la solidarietà fra gli uomini.
Il vicolo cieco
In questi conflitti non si scontrano solo interessi economici e geo-politici contrapposti, ma anche valori, simboli e sentimenti, identità culturali e tendenze politiche. Il dato più drammatico, che però non fa riflettere abbastanza, è rappresentato dalle coorti di giovani (talvolta anche bravi padri di famiglia) che aspirano al martirio per contribuire a sconfiggere il nemico. In Occidente li chiamano, sbrigativamente, “terroristi”, in Oriente “shahid” ossia martiri della Fede, esempi da imitare. Insomma, anche in questo caso si manifesta una grave incomprensione culturale. Pigrizia intellettuale o arroganza di chi ritiene di non avere mai torto e d’imporre agli altri il suo punto di vista? Comunque sia, questa non è strada che spunta. Siamo in vicolo cieco, a un punto altamente critico delle relazioni fra Occidente e mondo arabo e islamico. E’ interesse di tutti bloccare i conflitti e tentare di tornare alla convivenza pacifica, alla cooperazione economica e culturale, reciprocamente vantaggiosa. In questa regione l’Europa ha suoi interessi precipui da tutelare che non sempre coincidono con quelli delle grandi oligarchie Usa. Perciò, non può appiattirsi, come oggi accade, sulle posizioni belliciste e unilateraliste dell’alleato, ma deve ricercare un suo ruolo specifico di pace e di cooperazione. Nessuno desidera la crisi dell’alleanza difensiva con gli Usa e con altri Paesi, si segnala soltanto il pericolo che, così comportandosi già dagli inizi di questa brutta faccenda, l’Italia, oltre a tanti bravi uomini in divisa, ci sta perdendo pure la faccia.
Andreotti: anch’io sarei diventato un terrorista
Uno sforzo da compiere non solo per neutralizzare questa “arma” micidiale, ma principalmente per rispetto del principio di umanità che anche nella guerra deve valere.
Dentro quell’uomo che si lascia esplodere non ci sono fili e congegni meccanici, ma un turbinio di (ri) sentimenti, di dolore e di odio, di idealità frustrate, represse, di desideri mortificati, annullati. Dietro quegli atti, che disapproviamo, c’è la grande tragedia umana che vivono tanti popoli mediorientali, in primo luogo quello palestinese. Non dovrebbe essere difficile capire cause ed effetti di tale tragedia. Forse le parole non bastano. Per meglio capire questa realtà forse sarebbe il caso di provare a mettersi nei panni di un ragazzo, di un uomo o di una donna, che vivono negli inferni di Gaza, di Bagdad e di altre infelici città mediorientali e dopo giudicare i comportamenti di chi veste effettivamente quei panni. Credo che ci avrà provato perfino Giulio Andreotti quando, parlando della tragedia insoluta dei palestinesi, dichiarò, pubblicamente, che “se fossi nato in campo-profughi libanese, probabilmente, anch’io sarei diventato un terrorista”. (intervista alla “ Stampa” del 7 marzo 2005)
Il gioco delle facili attribuzioni
Il tempo, il nostro tempo, sembra essersi fermato. Dopo dieci anni di guerra si ha la sensazione di essere all’inizio delle ostilità. Si continua con la solita solfa degli attentati tutti attribuiti a una “Al Qaeda” quasi invincibile che scorazza da un capo all’altro del pianeta. Siamo all’assurdo. Se succede un furto d’acqua nel Sahel non c’è la mano di un uomo assetato, ma quella sanguinolenta di Bin Laden, il “fantasma” ubiquitario che appare e sparisce al momento opportuno. Si sfiora il ridicolo quando la Fbi - come scrive il quotidiano spagnolo El Mundo- per “aggiornare” l’immagine del capo terrorista, ha invecchiato la foto di Gaspar Llamazares, ex leader della Sinistra unita spagnola. Strano. Dopo gli allarmi e le severe reprimende, continuano errori, distrazioni, omissioni, ritardi, complicità, scambi illeciti, tangenti, ecc. Ogni cosa serve per alimentare il gioco perverso delle facili attribuzioni che fa comodo a tutti. Conviene ai servizi occidentali (e russi) che, scaricando ogni attentato su Al Qaeda, non devono faticare a cercare le vere responsabilità. Conviene ai governi e agli strateghi occidentali che possono giustificare le guerre, le missioni all’estero e la gran mole di spesa pubblica per finanziarle. Conviene, infine, ad Al Qaeda medesima che così vede accrescere il suo potenziale militare, il suo prestigio presso taluni settori popolari del mondo islamico. Una Conferenza di pace per il Medio Oriente. Ma quanto deve ancora durare questo gioco? E’tempo di smettere d’inseguire fantasmi e passare ad altro. Per esempio, a considerare, a riprendere l’ipotesi di una grande Conferenza di pace e di cooperazione fra Occidente e Medio-Oriente, con particolare riguardo ai punti più critici fra cui la questione palestinese che si trascina da oltre 60 anni. L’Italia, divenuta uno fra i paesi più coinvolti nei conflitti, dovrebbe essere fortemente interessata a tale ipotesi, per altro affacciata, durante il precedente governo, dal ministro degli esteri Massimo D’Alema. Se la caldeggiamo non è perché l’ha formulata D’Alema, ma perché ci sembra la via più giusta, e più saggia, per conseguire la pace e la cooperazione fra i popoli, per uscire con onore da queste guerre assurde e disastrose. Se ribadiamo la necessità della pace non è solo perche siamo contro la guerra, contro tutte le guerre, ma perché riteniamo che con la pace meglio si difendono i nostri veri interessi nazionali. Da non confondere con quelli di taluni gruppi che amano blandire le nostre Forze armate per contrabbandare per patriottismo le loro oscure manovre affaristiche. Infine. La pace è necessaria, urgente non solo perché queste missioni ci costano troppo in termini di vite umane (italiane, afghane e di altre nazionalità) e di spesa pubblica, ma perché la nostra partecipazione, comunque aggettivata, alle guerre contrasta con lo spirito e la lettera della Costituzione e con gli interessi veri del popolo italiano.
Agostino Spataro
(18 gennaio 2010)
martedì 19 gennaio 2010
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