martedì 28 ottobre 2008

Voglio consegnarvi quattro considerazioni spurie. E grazie di r-esistere

Sono stata a Corleone, giorni fa, per assistere alla presentazione di un libro autobiografico di Nino Miceli, un commerciante di Gela che si è opposto al pizzo, in un’epoca in cui di gente come lui non se ne contava a palate (come del resto è ancora oggi, pur considerando i grandi passi avanti fatti in merito). Avevo già avuto l’opportunità di conoscerlo a Palermo, dove vivo. Ma l’idea che venisse a Corleone, e che parlasse della sua esperienza coi ragazzi della Cooperativa “Lavoro e non solo”, che opera su terreni confiscati alla mafia, mi gasava. All’incontro erano presenti anche un gruppo di ragazzi e ragazze provenienti da Avellino, accompagnati da due loro insegnanti, venuti appositamente per vivere una full immersion coi ragazzi della cooperativa corleonese, sia dal punto di vista della gestione della cooperativa, sia dal punto di vista del lavoro, alla lettera, “sul campo”. Già percorrendo il tragitto Palermo-Corleone mi sentivo, via via, sempre più elettrizzata. Sono corleonese anch’io e quanto si svolge a Corleone ha in me una risonanza particolare. Se la stessa situazione si fosse svolta, ad esempio, a Bagheria, mi avrebbe gasata, devo ammetterlo, molto meno. Manco da Corleone da oltre 30 anni ma, quando in qualche maniera ne sono stata coinvolta, ho sempre avuto a cuore il partecipare o anche solo l’assistere a certi eventi che si sono svolti in questo luogo che quindi, devo ammetterlo, mi è rimasto nel cuore anch’esso. Particolarissimo è stato per me, ad esempio, in tempi purtroppo andati, ritrovarmi assieme ai redattori de “Il Giornale del Corleonese” (diventato dopo “Città nuove”) che per me rappresentava soprattutto l’opportunità, unica, di conoscere quelle poche persone che, a Corleone e nei paesi del circondario, erano più disponibili a ritrovarsi attorno a un tavolo per discutere di una politica da intendersi in senso etimologico, e non degli “affari” con cui la si è stravolta.

Ritrovarmi quindi qualche giorno fa a Corleone, coi ragazzi della cooperativa, o anche i ragazzi e le ragazze ospiti di una struttura per affetti da disagio psichico (da me non previsti, e quindi immaginate la sorpresa a vedere là pure loro, e sapere che alcuni lavorano anch’essi nei campi confiscati ai mafiosi!), vedere alcuni miei coetanei, ex studenti del liceo dei miei tempi diventati intanto professori, rivedere Pino Governali, uguale a se stesso (lo dico come attestato a lui di coerenza) presente sempre dove c’è un alito di dibattito… insomma, sempre di meno stavo nella pelle. In quell’occasione Mimmo Cardella (ecco, un ex studente ora prof) m’invita ad assistere, l’indomani, alla proiezione di un video sulla mafia, fatto in collaborazione coi ragazzi dell’attuale liceo. Mi piacerebbe ma il “richiamo della foresta” (impegni familiari, di lavoro, di chiffàri che non mancano) mi faceva optare per l’andare via. Chiusa la casa a chiave, entro in auto, allaccio la cintura, metto in moto, mi avvio. Mi fermo. Mi dico che sono contenta di essere a Corleone, dell’incontro del pomeriggio, incuriosita di quello dell’indomani. Virata di bordo, decido di restare. L’indomani sono già sveglia prima dei galli del circondario, e prima delle 9 sono dietro il portone del liceo. I professori che hanno organizzato questo incontro mi spiegano che avrebbero potuto ideare una mega visione per tutti i licei e uscirsene così, in una mattinata, dall’incombenza di compiere il loro dovere antimafioso. Invece hanno preferito organizzare la visione per gruppi ristretti di un centinaio di studenti per volta perché in gruppi più piccoli ci si nasconde meno, la lingua si scioglie più facilmente, ci si sente più coinvolti, più indotti a partecipare. Una faticaccia per loro, non foss’altro per la ripetitività, ma come non condividere la loro scelta?

Il video si chiama “Il muro di carta”. Comincio a guardarlo con un minimo di scetticismo che via via si dipana. Mi era sembrato di intravedere un po’ la solita solfa che a Corleone non c’è mafia, medaglia antitetica ma non meno falsa di quella secondo cui, all’opposto, è tutta mafia.
La storia: un padre deve partire con la moglie, all’improvviso, per l’America, per un lungo periodo. Non sa a chi lasciare la figlia ragazzina, e ne parla concitato per telefono con una zia che si offre di ospitarla. Ma (ecco il busillis!) purtroppo gli zii abitano a Corleone, nome che riecheggia nella mente del padre della ragazza una vasta gamma di fantasmi, di facile intuizione. Basta, finisce che la ragazzina, evidentemente a corto di alternative, viene affidata agli zii e va a Corleone dove, come si evince da una mail che scrive ai genitori lontani, tutta ‘sta favola che Corleone è mafia le risulta essere una balla completa. Corleone, insospettabilmente, le pare un paese come altri. E anzi i suoi compagni di scuola, che stanno preparando una manifestazione contro la mafia in cui ergeranno un muro fatto di libri, portati da ciascuno di loro, le paiono una massa di perditempo. Per strada la ragazza vede spesso un pittore solitario, che le dicono essere un ex boss mafioso. Un giorno, fuori da scuola, lo vede entrare in una chiesa, e decide di entrarvi pure lei e sederglisi accanto. L’ex boss pare non aspettare altro, e nel giro di qualche secondo non gli pare vero di avere un possibile uditorio, lui che è sempre solo, e le racconta di sé, del suo passato, e di come ha cambiato rotta guardando un quadro esposto in quella chiesa, che lui attribuisce a Velasquez (ma che Pino Governali mi dice essere invece di un tale Velasco, da non confondere col molto più famoso “analogo” spagnolo). Durante il colloquio la ragazza dice di aver constatato, durante la sua permanenza a Corleone, che la mafia non esiste. L’ex boss la corregge e le fa un bignamino, a dire il vero politicamente corretto, sulla mafia, che esiste eccome, che non bisogna negarla, che travalica longitudini e latitudini, che permea ciascuno di noi, anche negli atteggiamenti minimi e quotidiani. E che solo la cultura può sconfiggere. Anche se trovo poco credibile la figura del boss illuminato sulla via di Damasco e ben disposto a elargire lezioni pret-à-porter sull’antimafia (avrei affidato questo ruolo a un altro personaggio, un artista solitario, un professore, un vecchio contadino…) la morale della favola mi pare comunque corretta nei contenuti. L’ex boss e la ragazza, facilmente persuasa dalle parole dell’ex boss, escono dalla chiesa e assieme (no, non mano nella mano, dai!) partecipano alla manifestazione, in programma per quella stessa mattina, e depongono anche loro i loro libri per contribuire a costruire un muro simbolico, quello della cultura, contro la mafia.

Il dibattito che segue è fitto e interessante, tanto che (alla faccia dei doveri) decido di restare anche per il secondo round, in cui, dopo le 11, il video sarà riproposto a un altro gruppo di studenti, che dibatteranno anch’essi. Diversi insegnanti prendono la parola. Mi dico che è bello vederli indaffarati su questi temi che, se l’esigenza non sorgesse da essi stessi, forse nessuno li indurrebbe a trattare. Un prof (che so essere di educazione fisica) parla di Bernardino Verro, dei Fasci siciliani… Chi glielo fa fare? mi chiedo retoricamente, compiaciuta del fatto che lo faccia. Quand’ero liceale io nessuno me ne parlò mai. Soltanto, fuori da scuola, un elemento spurio e malvisto come Nino Gennaro, la cui memoria mi porterebbe a scrivere ora un’altra storia, che al momento tralasceremo. Ma con cui ho avuto l’onore e il piacere di condividere mezza vita, metà dei 36 anni che avevo quando lui morì. Ma a parte Nino, allora, nessuno. Nessuno ci parlava del fatto che, se è vero che la mafia esiste, è vero anche che è sempre esistita un’antimafia, e che Corleone è stata uno degli epicentri delle lotte contadine di fine ‘800 e del II dopoguerra. Dopo Nino solo all’università, che frequentai da grande, ebbi modo di studiare questi pezzi di storia, importantissima e diventata (solo qualche decennio dopo!) così misconosciuta. Li appresi grazie a un vecchio, ora vecchissimo mio professore di storie varie, Francesco Renda. Oggi, in questa scuola, ne parla un prof di educazione fisica (e morale), pensavo, e non è bello?

Qualcuno dei ragazzi presenti dice, durante il dibattito, che sono i giovani di oggi, più scolarizzati di quelli di ieri, che possono ribellarsi alla mafia. Non poteva certo farlo una persona che magari oggi ha 75 anni (testuale), e che magari era cresciuto accanto a Totò Riina o altri suoi simili!
Ecco, penso, siamo ignoranti. E non lo dico per offendere nessuno, ma solo come constatazione di fatto delle nostre lacune. Quel giovane pensa che prima di ora ci sia stato solo il diluvio. Come me alla sua età, semplicemente ignora che i vecchi contadini, incolti, molto probabilmente analfabeti, molto prima e mooooolto più di ora, avevano praticato l’antimafia. Oltre cinquanta sindacalisti morti ammazzati, in Sicilia, nel biennio ’48-’50. Contadini, molti di loro alla fame, occupavano le terre dei latifondisti, pretendevano leggi che difendessero i loro diritti, e le ottenevano! Morivano, anche, di queste lotte. A decine di migliaia (non ho sbagliato a scrivere: a decine di migliaia), quasi tutti con le coppole in testa e qualcuno in groppa ai muli, andavano allo scontro diretto coi mafiosi. Con quei muli e quelle coppole, che oggi ripudiamo reputandoli, ignorantemente, solo simboli di mafiosità e di vecchiume, eradicati dai simboli moderni (e quindi innovativi?) di una moda massificata, sovrastata da marchi che ci fanno reputare, soprattutto i giovani, troppo giusti, troppo fighi. Troppo che?

La cultura per sconfiggere la mafia. Il muro di carta. Era il titolo del video ed è stato lo slogan più ribadito durante i due dibattiti. Lo sentivo anche oggi in tv, detto da don Ciotti, che riferiva parole, su questo stesso tema, di Nino Caponnetto, il “papà” di Falcone e Borsellino. Giusto, giustissimo. Mi trovo spesso a pensare che ne uccide più l’ignoranza che la spada, o tutt’e due. Ma attenzione: la cultura non è neutra. E’ come la scienza, come la politica, come la storia, come tutto. Le parole che usiamo, il nostro modo di vestirci, i libri che scegliamo, il nostro non leggere, il nostro modo di relazionarci agli altri… Niente è neutro. Essere colti non ci immunizza, per ciò stesso, dalla mafia. Come se la mafia fosse fatta solo di mammasantissima semianalfabeti, e non di schiere di avvocati, di politici da piccolo consiglio comunale come da aula di Montecitorio, capaci ognuno di spendere il proprio know-how a favore di cause mortifere, mafiose, di basso clientelismo locale, di familismo come di sfruttamento planetario. Capaci anch’essi, per parafrasare il famoso “adagio”, di agire localmente e pensare globalmente. La cultura non ci porta necessariamente da una parte. Può portarci nelle direzioni più opposte, a seconda del campo che scegliamo di percorrere. L’orgoglio di essere corleonesi. In contrasto con chi ci etichetta come “quelli della mafia” ecco che la retorica contrapposizionista ci fa dire ora di essere orgogliosi di essere siciliani, e corleonesi per giunta. A che serve, mi chiedo, questo campanilismo? Essere siciliani, e corleonesi, è solo frutto del caso, e non è motivo né di vergogna né di vanto. Scrissi questo diversi anni fa, a proposito della kermesse cittadina in cui il famoso fotografo Oliviero Toscani ritrasse alcuni giovani corleonesi per mostrare al mondo che erano uguali a quelli di ogni altra parte del mondo (del cosiddetto primo mondo, aggiungerei), specialmente se vestiti benetton. Scrissi anche quello che ho scritto poche righe fa a proposito di chi ha fatto le lotte contadine, scrissi della retorica su “i giovani i giovani i giovani” reputati, per ragioni anagrafiche (un po’ pochino, no?) il nuovo che avanza rispetto al vecchio che, finalmente, scompare. Sul giornale per cui scrivevo allora, “Città nuove”, si preferì pubblicare un pezzo in cui si vantava la bellezza e la biondezza dei ragazzi-anti-coppola-anti-mulo-e-uguali-agli-altri. Sarò ripetitiva ma, oggi come allora, mi viene di ripetere le stesse cose.
Dovrei essere, oggi, orgogliosa che un ministro della in-giustizia (siciliano, come me!) fra le primissime cose che ha fatto e a cui ha collegato onorabilmente il suo cognome, è stato quello di garantire la non punibilità per le quattro principali cariche dello Stato, non solo quindi immensamente più potenti di ciascuno di noi, ma anche immensamente più sottratte alle leggi rispetto a ciascuno di noi? Dovrei essere orgogliosa di avere avuto un presidente della Regione condannato per favoreggiamento alla mafia? Favoreggiamento semplice, però, non aggravato, in quanto ha favorito solo una parte della mafia, non la mafia nella sua interezza, per il semplice fatto di aver messo al corrente il boss di Brancaccio, il dott. Guttadauro (un medico, quindi una persona in qualche modo colta!) di essere sorvegliato tramite microspie. Ma neanche Riina o Provenzano avranno favorito la mafia nella sua interezza, penso, ma “solo” porzioni di essa! E dovrei essere orgogliosa del fatto che questo siciliano, reputato indegno di svolgere il ruolo di presidente della Regione siciliana, sia stato messo come capolista al senato, e siede ora in quegli scranni, da cui ha potere di legiferare? Quindi no, scusate, ma la retorica sicilianista non mi cala, e neanche quella corleonesista. Ma allora, come rispondi a chi ti dice che Corleone è mafia? Ammetti che è anche vero, e allìttrati per sapergli parlare anche dell’antimafia corleonese, che ha una storia antica quanto quella della mafia. Ma per saperlo dire agli altri devi saperlo prima tu, se no ti senti schiacciato da Corleone = mafia e per reazione uguale e contraria ti inorgoglisci, ma di che?
Durante il dibattito, uno dei ragazzi corleonesi chiede ai ragazzi di Avellino che cosa avevano provato venendo a Corleone, se l’intuibile pregiudizio riguardanti la nostra cittadina aveva colpito pure loro. Una ragazza avellinese dice che si, in verità, prima di venire a Corleone aveva un po’ paura, ma poi… Ecco, pensavo, il ragazzo corleonese si sente più “sud” del necessario, e la ragazza avellinese si sente “a nord” rispetto a lui, ma di che? La camorra non imperversa, forse, in Campania? Con uccisioni multiple e alla luce del sole compiute fino a qualche settimana fa? Con la sua fatwa a Saviano fresca fresca?
Nel video la ragazza affidata dai genitori agli zii che abitano a Corleone viene da… Catania! Anche qua, nella mente di chi ha ideato questa sceneggiatura, non è emerso che anche Catania ha i suoi boss Santapaola, i suoi morti ammazzati, i suoi famosi “cavalieri del lavoro”? Scambio qualche battuta con un ragazzo di Avellino che siede accanto a me. Gli chiedo che vuole fare da grande. Mi dice che vorrebbe fare il fisioterapista ma che, siccome in Campania si accede al corso coi sistemi che è facile intuire, lui andrà a fare il corso al nord. Dove? gli chiedo. “A Chieti”, mi risponde. Ecco, al nord, cioè a Chieti! C’è sempre qualcuno, quindi, che si sente più a sud degli altri: il corleonese rispetto al catanese e all’avellinese, e quest’ultimo rispetto a uno di Chieti, un abruzzese. Non possiamo imparare, a poco a poco, a sentirci a sud di nessun nord? E il nord, a nord di nessun sud?
Che si può fare per contrastare la mafia? Ce lo chiediamo in tanti. Forse anche “solo” piccoli grandi gesti, quotidiani, occasionali, periodici, di resistenza. Centinaia di ragazzi e ragazze, per lo più dalla Toscana, sono venuti a lavorare nei campi confiscati. E i ragazzi di Corleone? Per classi, per gruppi di amici, non potrebbero anch’essi dare un po’ del loro tempo e fare lo stesso? Non sarebbe un gesto concreto di aiuto e anche dal forte valore simbolico raccogliere pomodori, dissodare terreni, mietere frumento, togliere spine? Non sarebbe, come dice il nome stesso della cooperativa, un lavoro, ma non solo quello? Il nostro voto. Ma ci pensiamo? Ci pensiamo che prima si votava in base al censo? O che le donne non votavano? Tutto è stato conquistato palmo a palmo, il sistema democratico, il diritto dovere di voto per tutti, al di là di differenze di sesso, classe, religione. Per farne che? Per svendere il proprio prezioso voto al politico-prometti-qualcosa? Per votare per il parente o per l’amico o per il paesano, col solo criterio che è amico o parente o paesano, indipendentemente da quale sia la sua capacità di intendere la politica come servizio verso la comunità tutta e non solo verso la propria “cunfaffa”? O non votare? Trincerandoci dietro un “tanto sono tutti uguali”, ottimo alibi per non mettere a nudo la nostra ignoranza della politica?
Insomma, quattro considerazioni spurie che volevo consegnarvi, per farne ciò che volete. E grazie di r-esistere.
Maria Di Carlo
Palermo, 27.10.2008
FOTO. Dall'alto: il dibattito con Nino Miceli; Riina e Provenzano; Nino Gennaro; lotte contadine.

1 commento:

oenlao ha detto...

viva brancaleone. and woody allen.