A diversi mesi dal suo insediamento, il governo di Raffaele Lombardo non riesce ad uscire dal suo faticoso rodaggio. Appare, infatti, imbrigliato in una situazione politica incerta, segnata da dissensi e scontri clamorosi su materie delicate e qualificanti come l’energia, la spesa sanitaria, il riordino dell’amministrazione e della pletora di enti e società attorno a cui ruotano interessi forti, elettorali ed affaristici. Non a caso, su taluni di questi problemi la giunta di governo è arrivata a spaccarsi esattamente a metà, con serie ripercussioni sulla coesione della stessa maggioranza all’Assemblea regionale.
Una condizione a dir poco precaria per un governo che dovrebbe guidare la regione in una fase altamente critica nella quale, oltre la pesante eredità del passato, bisognerà fronteggiare una serie di provvedimenti sfavorevoli, alcuni dei quali già all’ordine del giorno: i tagli indiscriminati del governo Berlusconi, gli effetti imprevedibili della crisi finanziaria internazionale, le ambiguità del progetto federalista di marca leghista. E altri che già si delineano all’orizzonte.
A fronte di tutto ciò, l’impressione che si ricava è quella di una coalizione poco consapevole delle impegnative sfide che l’attendono e di un governo non in grado di affrontarle con successo.
Questa Sicilia, che si appresta ad attraversare un fiume turbolento, si può affidare ad una guida così poco concentrata e per giunta litigiosa?
Questo è il punto politico da cui deve muovere ogni azione e valutazione. Invece, anche se l’intero edificio del potere regionale trema, comincia a mostrare vistose crepe, non succede nulla di ragguardevole sul terreno dei rapporti politici all’interno della maggioranza e fra questa e l’opposizione. Per meno, in tempi non lontani, i presidenti di regione avevano l’amabilità di portare la crisi in parlamento, anche perché gli assessori non hanno approvato non certo a titolo personale, ma su indicazione dei rispettivi partiti d’appartenenza. C’è, dunque, un serio problema politico che non può essere più celato dietro il velo d’ipocrite dichiarazioni rassicuranti o aggirato con espedienti più o meno abusati. Per tirare a campare. Ma fino a quando? E soprattutto quali conseguenze produrrà questo tira e molla? Con tale, aberrante filosofia della sopravvivenza non si va da nessuna parte.
…IL PD SI GODE LA SUA RENDITA DI (OP)POSIZIONE
Una condizione a dir poco precaria per un governo che dovrebbe guidare la regione in una fase altamente critica nella quale, oltre la pesante eredità del passato, bisognerà fronteggiare una serie di provvedimenti sfavorevoli, alcuni dei quali già all’ordine del giorno: i tagli indiscriminati del governo Berlusconi, gli effetti imprevedibili della crisi finanziaria internazionale, le ambiguità del progetto federalista di marca leghista. E altri che già si delineano all’orizzonte.
A fronte di tutto ciò, l’impressione che si ricava è quella di una coalizione poco consapevole delle impegnative sfide che l’attendono e di un governo non in grado di affrontarle con successo.
Questa Sicilia, che si appresta ad attraversare un fiume turbolento, si può affidare ad una guida così poco concentrata e per giunta litigiosa?
Questo è il punto politico da cui deve muovere ogni azione e valutazione. Invece, anche se l’intero edificio del potere regionale trema, comincia a mostrare vistose crepe, non succede nulla di ragguardevole sul terreno dei rapporti politici all’interno della maggioranza e fra questa e l’opposizione. Per meno, in tempi non lontani, i presidenti di regione avevano l’amabilità di portare la crisi in parlamento, anche perché gli assessori non hanno approvato non certo a titolo personale, ma su indicazione dei rispettivi partiti d’appartenenza. C’è, dunque, un serio problema politico che non può essere più celato dietro il velo d’ipocrite dichiarazioni rassicuranti o aggirato con espedienti più o meno abusati. Per tirare a campare. Ma fino a quando? E soprattutto quali conseguenze produrrà questo tira e molla? Con tale, aberrante filosofia della sopravvivenza non si va da nessuna parte.
…IL PD SI GODE LA SUA RENDITA DI (OP)POSIZIONE
Spiace che questa concezione e pratica della politica pare sedurre anche l’opposizione che invece dovrebbe armarsi di un credibile progetto alternativo e dar battaglia su tutti i fronti, chiamando alla mobilitazione le forze sociali e i cittadini visto che, per altro, si sta decidendo della loro salute e in generale del loro futuro. Ma questo oggi “passa il governo” (senza allusioni, per carità) e di ciò ci dobbiamo occupare. Una situazione confusa, dunque, che conferma alcune analisi, purtroppo rimaste inascoltate. Non c’era, infatti, bisogno d’essere profeti per capire che, in assenza di programmi di vero cambiamento, non bastano le maggioranze “bulgare” per garantire una fattiva governabilità. In Sicilia, il centro-destra siciliano ha molti voti, tanti clientes, ma poche idee e per giunta raffazzonate. Da qui si origina il malessere politico e la difficoltà di governare. Per rendersene conto, basta andare a guardare dentro i cosiddetti “palazzi del potere” regionale. A palazzo d’Orleans vedremo un governo diviso quasi su tutto che litiga per qualche Asl in più, per difendere quote di spesa pubblica per accontentare clientes e settori privati che non riescono ad immaginare il loro futuro senza continuare a succhiare alle mammelle di mamma regione.
A palazzo dei Normanni vedremo un parlamento frustrato, indispettito, con un Pd (unica opposizione) che sembra godersi la sua rendita di (op)posizione. Una situazione atipica, di monopolio della rappresentanza del centro-sinistra, asimmetrica rispetto alla maggioranza di centro-destra composta di ben tre partiti e, per giunta, fra loro in accesa concorrenza. E, come in altri campi, il monopolio prima o poi rischia d’evolvere in oggettivo privilegio. Anche perché frutto di una legge su misura che non consente di dare una degna rappresentanza al voto di mezzo milione di elettori siciliani (un quinto dell’elettorato effettivo), ma solo una sua indegna sepoltura. Insomma, i problemi sono tanti e ogni giorno se ne aggiungono altri. Primo fra tutti, forse il più esplosivo, quello dell’insostenibilità sociale, amministrativa delle grandi città siciliane quali Catania, Palermo, Agrigento e altri capoluoghi. Così perdurando le cose, è chiaro che la Sicilia rischia e di grosso. Si potranno mettere nuove tasse e balzelli, ma sarà poco credibile ogni discorso mirato ad attirare nuovi investimenti. Anche perché chi potrà mai pensare d’investire, per altro in fase di recessione, in una realtà così appesantita e governata da una coalizione rissosa e incurante dell’eccezionalità del momento?
Agostino Spataro
A palazzo dei Normanni vedremo un parlamento frustrato, indispettito, con un Pd (unica opposizione) che sembra godersi la sua rendita di (op)posizione. Una situazione atipica, di monopolio della rappresentanza del centro-sinistra, asimmetrica rispetto alla maggioranza di centro-destra composta di ben tre partiti e, per giunta, fra loro in accesa concorrenza. E, come in altri campi, il monopolio prima o poi rischia d’evolvere in oggettivo privilegio. Anche perché frutto di una legge su misura che non consente di dare una degna rappresentanza al voto di mezzo milione di elettori siciliani (un quinto dell’elettorato effettivo), ma solo una sua indegna sepoltura. Insomma, i problemi sono tanti e ogni giorno se ne aggiungono altri. Primo fra tutti, forse il più esplosivo, quello dell’insostenibilità sociale, amministrativa delle grandi città siciliane quali Catania, Palermo, Agrigento e altri capoluoghi. Così perdurando le cose, è chiaro che la Sicilia rischia e di grosso. Si potranno mettere nuove tasse e balzelli, ma sarà poco credibile ogni discorso mirato ad attirare nuovi investimenti. Anche perché chi potrà mai pensare d’investire, per altro in fase di recessione, in una realtà così appesantita e governata da una coalizione rissosa e incurante dell’eccezionalità del momento?
Agostino Spataro
NELLA FOTO: Raffaele Lombardo
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