giovedì 28 ottobre 2010

LA PROPOSTA. Alberi e panchine per abbellire spazi pubblici abbandonati. Lo facciamo?

Qualche anno fa, passeggiando sulle sponde del fiume Passirio, a Merano (Bolzano) abbiamo notato che sulle panchine disposte lungo il percorso erano incise delle poesie di vari autori. Idea bellissima: passeggiare in un luogo alberato e fiorito e intanto lasciarsi portare dalle suggestioni ispirate dalla lettura. Abbiamo di recente letto sul sito del Comune di Merano che il Comune ha individuato delle zone da rimboschire (sembra un paradosso, in una regione già verdissima, sulle Alpi, ma al meglio non c’è fine), e propone agli stessi abitanti di contribuire a questa operazione, con una donazione di 100 euro per l’acquisto di un albero, di 70 per l’acquisto di un rampicante, di 50 all’acquisto per un cespuglio. Gli alberi ecc. saranno piantumati dai giardinieri del Comune e sarà posta su di essi una targhetta col nome del donatore. Se poi qualcuno desiderasse piantarli in zone diverse da quelle individuate, deve proporlo al settore apposito che, col supporto di esperti, individuerà il tipo di pianta più adatta al clima, alla zona ecc. Elementare.


Qualche giorno fa abbiamo letto su un quotidiano di una giovane architetta pugliese, trapiantata a Palermo, che ha avuto la felice idea di ripulire, col supporto di alcune persone del luogo, alcune zone, individuate all’Albergheria, in cui sono state interrate piante grasse. In queste piccole aree è stata posta un’immagine di santa Rosalia, allo scopo di incentivare nelle persone della zona (inabituate totalmente al mantenimento di un giardino, e abituate all’accumulo di munnizze di tutti i tipi) un senso di rispetto per il luogo. Su internet abbiamo visionato i molteplici filmati in cui sono ripresi i cosiddetti “Giardinieri sovversivi romani”, un gruppo di persone che, armate di pale, zappe, piantine e buona volontà, si adoperano per far comparire un giardino dove prima c’era un terreno abbandonato. A Parigi abbiamo passeggiato sulla “promenade plantée”, una ex ferrovia, ora in disuso, che attraversa la città, trasformata in un percorso alberato, fiorito, a tratti sopraelevato. Abbiamo visto biciclette elettriche, utilizzabili con tessera prepagata, posteggiabili in una gran quantità di luoghi in cui si possono ricaricare. Anni fa, all’interno del Centro sociale s. Saverio, le donne dello “spazio donne” (che esiste da più di 20 anni) hanno voluto festeggiare la fine di un corso di preparazione alla menopausa piantando un albero di mimosa nel giardino del Centro.

Partecipando al funerale di un amico, qualche giorno fa, abbiamo pensato che sarebbe bello accompagnarne la memoria con un segno tangibile che resti nel territorio, visibile a tutti: un albero a lui dedicato. Ma lo stesso si potrebbe fare per accompagnare la nascita di un bambino, o per ricordare un evento festoso, privato (un matrimonio, ad esempio) o pubblico (un avvenimento storico, un personaggio particolare…). Non fiori (recisi, quindi di brevissima durata) ma “opere di bene” che resistono e anzi crescono nel tempo, abbelliscono uno spazio, lo rendono godibile, fruibile, lo restituiscono alla gente, la invogliano ad avere un rapporto diverso con lo spazio abbellito, di custodia, di appartenenza, di tutela. E sottraggano lo spazio pubblico a quell’orrendo senso di estraneità, di bruttezza, di abbandono, di discarica pubblica a cui da sempre i loro occhi sono stati abituati, e a cui da sempre sono abituate Pubbliche Amministrazioni cieche e sorde, abituate anch’esse all’abbandono e alla bruttezza. Schiere di politici e amministratori frequentemente in viaggio internazionali e intercontinentali, a spese dei contribuenti, incapaci di importare in loco idee banali, semplici, perfette come l’uovo di Colombo.

Come da sempre nelle chiese si sono viste panche offerte “in memoria di” o, per le strade delle città e dei paesi, edicole votive “dedicate a”, oggi potrebbero, più laicamente, offrirsi giochi in legno, panchine, attrezzi ginnici, altalene ecc. A un incontro a cui partecipavamo come Centro sociale S. Saverio, anni fa, abbiamo conosciuto a Palermo alcuni membri di una cooperativa sociale (di cui colpevolmente non ricordiamo il nome, che potrebbe però essere recuperato facilmente), costituita da detenuti o ex tali, che costruivano manufatti in legno (panche ecc.). Si potrebbero mettere in sinergia, quindi, buone idee e bravi artigiani, ed innescare un positivo effetto domino. Semplice, bello, fattibile. Lo facciamo?
Maria Di Carlo

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