venerdì 1 ottobre 2010

Mafia, indagato Schifani

di Lirio Abbate
Il presidente del Senato nel registro degli indagati per concorso esterno. "Un atto dovuto" dei pm di Palermo dopo le parole di Spatuzza e del pentito Campanella
L'ultima volta che il boss Filippo Graviano ha parlato a Gaspare Spatuzza dell'avvocato Renato Schifani, è stato nel carcere di Tolmezzo. Correva l'anno 2000 e i due mafiosi palermitani, passeggiando nel cortile del penitenziario, commentavano le immagini dell'allora senatore di Forza Italia apparse nei telegiornali: "Hai visto che carriera ha fatto l'avvocato di Pippo Cosenza?", chiedeva Graviano a Spatuzza nominando l'imprenditore del quartiere Brancaccio di Palermo che tra il '91 e il '92 aveva messo a disposizione del boss un capannone dove questi incontrava altri mafiosi e dove, appena uscito dagli arresti domiciliari, aveva creato il proprio ufficio di capomafia. In quegli anni il suo guardaspalle era Spatuzza, che oggi racconta ai magistrati quel che ricorda di quei contatti riservati, alcuni dei quali riguarderebbero anche il presidente del Senato che all'epoca era un avvocato: un esperto in diritto amministrativo e in urbanistica che aveva tra i suoi clienti molti mafiosi preoccupati che lo Stato mettesse le mani sui loro beni. Di questa vicenda, che lega il nome di Graviano a quello di Schifani, Gaspare Spatuzza aveva già parlato con i pm di Firenze: gli investigatori della Dia l'avevano sintetizzata in una nota, depositata dalla procura generale nel processo d'appello in cui Marcello Dell'Utri è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Quelle dichiarazioni non sono sfuggite ai pm di Palermo che per questo hanno voluto riascoltare il mafioso, in qualità di "dichiarante" e non come collaboratore di giustizia, visto che poco prima dell'estate non è stato ammesso al programma di protezione per i pentiti perché - come ha motivato il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano - avrebbe reso dichiarazioni sul conto di Dell'Utri e di Silvio Berlusconi oltre il limite dei sei mesi dal primo verbale imposto dalla legge (il provvedimento è stato impugnato dai suoi difensori e si attende la decisione del Tar). Eppure Spatuzza è ritenuto attendibile da tre procure oltre che dalla Direzione nazionale antimafia. L'interrogatorio è avvenuto il 20 settembre scorso, è durato oltre due ore e mezzo e ha riguardato gli incontri nel capannone di Brancaccio e il ruolo svolto nei primi anni Novanta dall'avvocato Schifani. Il nome di Schifani è stato iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa: un atto dovuto, si dice in ambienti giudiziari. Già in passato il politico era stato indagato con l'accusa di partecipazione a Cosa nostra nell'ambito di inchieste su appalti pilotati dalla mafia a Palermo, e la sua posizione era poi stata archiviata. E anche in quel caso le principali accuse arrivavano da collaboratori di giustizia. Adesso, in seguito alle rivelazioni di Spatuzza e a quelle di un altro pentito, Francesco Campanella - il mafioso-politico che tra l'altro fornì una falsa carta d'identità a Bernardo Provenzano per consentirgli di farsi operare in Francia - i riflettori sono tornati ad accendersi su Schifani. Il verbale con le dichiarazioni del guardaspalle dei Graviano trasmesso dai magistrati di Firenze e un esposto presentato da Campanella proprio nei confronti del presidente del Senato hanno convinto i pm palermitani della necessità di esercitare l'obbligatorietà dell'azione penale. Il fascicolo che riguarda il presidente del Senato è stato aperto pochi mesi fa e gli interrogatori in corso hanno come oggetto il suo passato di avvocato civilista, i suoi rapporti con gli uomini dei Graviano e il suo presunto ruolo di collegamento fra lo stragista di Brancaccio e Dell'Utri nel periodo che ha preceduto la nascita di Forza Italia. Spatuzza ha spiegato ai pm che il suo compito era proteggere Filippo Graviano e per questo, ogni volta che il boss si trovava nel capannone messogli a disposizione dall'imprenditore Cosenza (fino al 1992), sorvegliava l'ingresso per evitare o prevenire "brutte sorprese" al boss. E in molte di queste occasioni il dichiarante ammette davanti ai pm di Palermo di aver visto entrare Schifani, ma aggiunge di non aver partecipato ai colloqui del suo capo. Il volto di Schifani - racconta il dichiarante - gli divenne però familiare proprio per le numerose visite che l'avvocato palermitano faceva al capannone, e sempre in coincidenza con la presenza di Graviano. E gli inquirenti si chiedono: perché l'avvocato preferiva recarsi nella sede di lavoro del cliente (Pippo Cosenza, ndr.) anziché riceverlo nel proprio studio?
Una fonte, persona attendibile che conosce il presidente del Senato da oltre vent'anni e ne custodisce molti segreti, ha rivelato a "L'espresso" che molti anni fa lo accompagnò a vedere un capannone alla periferia di Palermo e che, giunti sul posto, l'avvocato si allontanò per parlare, in modo riservato, con qualcuno: "Fu uno strano sopralluogo perché Schifani non mi presentò nessuno e mi tenne lontano da quelle persone, di cui non ho visto il volto. Ho avuto l'impressione che avesse un appuntamento e volesse utilizzarmi come copertura", dice la fonte che ha chiesto a "L'espresso" la garanzia dell'anonimato. E aggiunge: "Incontri misteriosi, di cui non ha mai voluto parlare sono anche quelli della fine degli anni Ottanta a Milano: lo accompagnavo in macchina in centro e mi chiedeva di scendere prima del luogo in cui aveva appuntamento. Non mi diceva nulla di queste riunioni, nemmeno se si trattasse di clienti o meno. Ho la sensazione che potesse essere gente di Palermo con la quale non voleva far sapere di essere in contatto". Secondo Spatuzza, l'avvocato Schifani potrebbe essere stato il tramite fra i Graviano, i capimafia autori delle stragi del 1993 a Roma, Milano e Firenze, e Dell'Utri. Come arriva a queste conclusioni? Sono fatti o deduzioni? Il dichiarante ha ricordato ai pm di Palermo che in quel periodo era stata avviata una trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato: i mafiosi erano alla ricerca di nuovi referenti politici dopo l'uccisione di Salvo Lima e stava per nascere la seconda Repubblica. E Giuseppe Graviano, fratello di Filippo, incontrando Spatuzza al bar Doney a Roma nel 1993, gli aveva confidato di avere raggiunto un accordo con Marcello Dell'Utri e Berlusconi. E aveva commentato: "Abbiamo il Paese nelle mani".
Spiega Spatuzza: "Quando in carcere Filippo Graviano, sorridendo, fa riferimento a Schifani, mi scatta automaticamente il collegamento tra i protagonisti di questa storia: penso alle visite a Brancaccio dell'avvocato di Pippo Cosenza, alle parole dei Graviano ("Abbiamo il Paese nelle mani") e al fatto che Schifani, entrato in politica, era rapidamente diventato uno dei berlusconiani più importanti, fino a ricoprire la seconda carica dello Stato". Supposizioni? Fatti? Deduzioni? Ai pm tocca adesso cercare eventuali riscontri alle affermazioni del dichiarante. Ed è quello che faranno nei prossimi giorni: si allunga l'elenco delle persone da ascoltare e altri nomi sarebbero stati aggiunti a quelli di Spatuzza e Campanella e dell'imprenditore Giovanni Costa, un ex cliente di Schifani, condannato a nove anni per riciclaggio di soldi provenienti da ambienti mafiosi. Lette le indiscrezioni sulle dichiarazioni di Spatuzza, il presidente del Senato si è detto "indignato e sereno", ha sempre smentito ogni ipotesi di collusione con ambienti mafiosi ("Non ho mai avuto rapporti con Filippo Graviano, e non l'ho mai assistito professionalmente") e ha assicurato la "massima disponibilità con l'autorità giudiziaria qualora decidesse di occuparsi della questione".
30 settembre 2010

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