sabato 12 aprile 2008

Walter Veltroni. Il miracolo? Si può fare...

di Edmondo Berselli

Il successo del tour elettorale. La scelta finale degli indecisi. La proposta di tagli alla politica per un miliardo. Il leader del Pd punta sulla vittoria. Colloquio con Walter Veltroni

A poche ore dal voto il candidato Walter Veltroni, leader del Partito democratico, è sereno, tranquillo, rilassato. Come sta? "Benissimo. Godo di una forma fisica inspiegabile". Eppure ha completato il tour delle cento province, ha preso parte a riunioni su riunioni, ha inseguito Silvio Berlusconi per un match televisivo che il capo del Pdl non aveva nessuna voglia di fare: insomma, avrebbe il diritto di essere esausto. Oltretutto, i sondaggi danno una situazione statica delle preferenze degli italiani. Se il Pd avesse davvero finito la benzina, si andrebbe verso una soluzione elettorale scontata. Un esito fisiologico, prevedibile, previsto, senza sorprese.

Solo che Veltroni non ci crede. Veltroni è fiducioso. Anche in questi ultimissimi giorni di campagna, Veltroni è andato diritto per la sua strada, senza prestare orecchio a cassandre e annunci funebri. Perché è convinto che si possa ricostituire un rapporto con la politica. Nel nome della razionalizzazione della spesa pubblica, di costi politici dal volto umano.

Candidato Veltroni, lei combatte non solo contro la destra, ma anche contro la ventata di antipolitica, di delusione, di disincanto che minaccia di tenere gli elettori lontani dalle urne.
"Facciamola diventare ragionevole, la politica italiana. In base al nostro 'decalogo' vediamo che si può risparmiare un miliardo di euro, riducendo il numero di parlamentari, tagliando le retribuzioni a un livello europeo, segnalando anche simbolicamente la fine dei privilegi. Dopo di che, si tratterà di vedere se a destra ci sono progetti simili o solo chiacchiere. E quindi affidare la valutazione su questi progetti ai cittadini elettori, fuori dalle astrazioni dei sondaggi".

Però ce lo deve spiegare, perché non crede ai sondaggi.
"Non è che non ci credo. Solo che a ogni elezione i sondaggi sbagliano, dopo di che ci si dimentica che hanno sbagliato e su che cosa hanno sbagliato. Le indagini demoscopiche si basano su una scienza quantitativa, deterministica, ma in ogni espressione del consenso c'è un margine di imponderabilità. La politica smuove settori profondi della società e delle percezioni collettive, dando luogo a spostamenti che non sono sempre registrabili con nitidezza".

Ragionevole, ma di qui a negare che il Pdl sia apparso in vantaggio netto e stabile fino al canonico blackout sondaggistico delle ultime due settimane.|
"E che cosa dicevano gli ultimi sondaggi prima delle elezioni del 2006? Che il centrosinistra era in vantaggio di sei punti, per tutti i sondaggisti all'unisono. In realtà i sondaggi non riescono a intercettare una diffusa stanchezza per i lessici del passato, e quindi l'apprezzamento per il nuovo".

Dove il nuovo sarebbe il Pd e il passato Berlusconi?

"Provi lei a spiegare perché tanta gente è venuta nelle piazze e nei teatri, costringendoci a uscire dalle sedi prefissate. La ragione per cui abbiamo incontrato tanto entusiasmo, tanta simpatia, e suscitato tanta attenzione. Nel Nord, nel Sud, dappertutto. Commenti unanimi, mai vista tanta gente. A Varese e a Milano come a Lecce o a Matera".

Si è sentita echeggiare molte volte la sentenza di Pietro Nenni, "Piazze piene, urne vuote"

"Vorrei sapere che cosa avrebbero detto, gli antipatizzanti, se ci fossero state le piazze vuote. Ci avrebbero garantito urne ancora più vuote? No, c'è stata una mobilitazione significativa perché è stata percepita la novità della nostra campagna. Lo abbiamo visto negli spazi occupati dai simpatizzanti, dalla gente comune nelle città, ma anche nelle dimostrazioni spontanee, nei piazzali degli autogrill, davanti al pullman".

Che bilancio si può trarre allora della decisione di correre da soli? Si è trattato di una innovazione politica che interrompeva lo schema precedente, e che poteva risultare traumatica.

"Avevo cercato di fare un calcolo sugli effetti di quella decisione, valutandone costi e benefici. Ciò che non avevo previsto è stato il senso di liberazione che ciò ha determinato. Come se l'andare da soli, con un proprio programma, sulla scorta delle proprie idee consentisse finalmente di fare ciò che prima non era riuscito, di recidere mediazioni estenuanti, di andare dritti al punto".

Probabilmente perdendo una parte di elettorato tradizionale, quello sicuramente di sinistra.

"Sarà un caso, ma non appena abbiamo chiuso il rapporto con la sinistra radicale le piazze si sono riempite di giovani. E gli applausi più convinti sono sempre venuti sulle parti del programma dove parliamo con maggiore severità: sulla sicurezza, sui doveri".

I critici più a sinistra la considererebbero la prova che il Pd è un partito di centro.

"Siamo un partito riformista, come in altri Paesi europei. Ed è proprio questa caratteristica che innova l'ambiente politico del nostro paese".

Per la verità Berlusconi negli ultimi giorni dice che siete rimasti gli stessi e ha rispolverato l'armamentario anticomunista.

"Per la verità è la destra a essere rimasta senza armi. Ci ha provato, a ritirare fuori la polemica contro il fattore K, contro Stalin, la menzogna rossa, le doppie verità dei comunisti: ma non funziona, è solo un dagherrotipo, non la fotografia della situazione reale".

E nel paese reale che cosa rappresenta il Pd?

"Diciamo in primo luogo che con la decisione di correre da soli noi abbiamo realizzato, esclusivamente con la politica, un pezzo di riforma istituzionale. Il governo che uscirà dalle elezioni sarà un governo di tipo europeo, in grado di governare per la legislatura. In più si è realizzato un passaggio generazionale: io ho l'età che hanno mediamente i leader politici europei. E questo è un elemento politico, non solo anagrafico".

Questa bisogna spiegarla, perché non è intuitiva.

"All'Italia in tutti questi anni, tranne che nel 1996, è mancata l'idea e la prospettiva di elezioni capaci di aprire un ciclo politico. Quello che è avvenuto con Reagan, la Thatcher, Clinton, Blair. Quando si va a votare e si capisce che non si vota solo per un uomo, ma per aprire una fase".

Lei vuole insinuare che non si va da nessuna parte con un leader come Berlusconi che a fine legislatura avrebbe 77 anni.

"Voglio dire che dobbiamo uscire dalla condizione frustrante in cui l'alternanza significa la coazione a votare contro il governo uscente. Perché il lavoro da fare sull'Italia è impressionante, richiede anni di impegno, dato che ci sono da smantellare poteri illegali, assetti corporativi, barriere, protezioni, rendite, privilegi. E quindi è bene che la politica abbia davanti a sé un orizzonte temporale adeguato".

Alcuni sostengono che la linea del Pd sarebbe stata più efficace se il 'correre da soli' fosse stato vero fino in fondo. Cioè senza l'accordo con Antonio Di Pietro e l'Italia dei valori.

"No, non capisco. L'Idv ha sottoscritto e firmato un programma, e nel prossimo Parlamento ci sarà un gruppo parlamentare unico. Questo è un cambiamento reale. Nella legislatura scorsa c'erano 14 partiti. Un gruppo unico significa: niente anticaglie compromissorie come i vertici di maggioranza, niente cerimonie, liturgie, mediazioni; quindi linearità rispetto alla volontà degli elettori. Tanto per dire, Di Pietro ha firmato un programma in cui si dice che si possono certamente disporre le intercettazioni telefoniche, per ragioni di sicurezza, ai fine delle indagini, ma il magistrato che le dispone è responsabile che non finiscano sui giornali. È garantismo questo o no?".

Vediamo quali sono i punti davvero critici per il Pd. Lei ha fatto un ampio viaggio nel Nord del paese. Dove non si direbbe che l'atteggiamento verso la sinistra sia proprio favorevole.

"La mia impressione è invece che sia caduto un muro. Vede, Romano Prodi ha fatto un grandissimo lavoro: è un uomo di Stato, ha risanato i conti pubblici per la seconda volta. Chi nega questo risultato fa della propaganda. Il suo problema è che non aveva una maggioranza riformista coerente. C'era una parte dell'Unione il cui obiettivo era poter dire 'anche i ricchi piangono', in seguito alle tasse. Invece il nostro compito consiste nell'investire su chi produce ricchezza: la piccola e media impresa, l'agricoltura, l'artigianato e il commercio. Questa parte di paese vuole un paese più semplice e dinamico. Vuole uno Stato più rapido e più lieve".

A proposito di punti deboli, anche la classe operaia si orienta in maggioranza a destra, dicono le ricerche.

"Cerchiamo innanzitutto di sfuggire ai luoghi comuni. Secondo alcune interpretazioni i lavoratori erano orientati a una politica conflittuale, contestativa: e poi si è visto che all'80 per cento hanno votato sì al pacchetto del welfare. Non ci vuole molto a capire che nelle aree più dinamiche del paese imprenditori e lavoratori dipendenti condividono lo stesso modello culturale, si sentono vicini, magari si scontrano sui casi concreti ma trovano soluzioni funzionali allo sviluppo delle imprese. Per questo oggi ci vuole un patto tra i produttori e occorre estendere la concertazione alle piccole e medie imprese".

Nella realtà c'è la precarietà del lavoro.

"Il primo provvedimento legislativo che presenteremo sarà proprio orientato a intervenire su questo problema. Che viene spesso sottovalutato come una specie di fattore fisiologico del mercato del lavoro: fino a quando non capita, come è capitato a me, di incontrare una signora, con ottime qualità culturali e professionali, una donna che ha alle spalle 27 anni di contratti da precaria. E allora non c'è liberalizzazione che tenga, ci sono drammi personali, difficoltà esistenziali. Sarà il caso di affrontare anche questa sfera della modernizzazione, o no?".

Quali sono i punti di maggiore importanza incontrati e verificati durante questa campagna elettorale, nella consapevolezza dei cittadini?

"Il primo punto è che ci troviamo davanti un gigantesco problema nel sistema formativo, che non funziona. Perfino l'edilizia delle scuole è ottocentesca, la scuola è concepita burocraticamente come un ufficio, non si è diffusa l'idea dell'educazione permanente, in quanto continuo adattamento a condizioni mutate. Vogliamo dare ai ragazzi la possibilità di usare la scuola come uno strumento flessibile, tale da migliorare le loro qualità di base, oppure al contrario come uno strumento livellatore, in cui se sei bravo in scienze ti castighiamo in storia? Il fatto è che non serve una scuola punitiva, serve una scuola capace di selezionare i talenti e svilupparli".

Il fatto è che abbiamo visto riforme adottate e poi smantellate a ogni cambio di governo. Come il caso dell'esame di maturità che a forza di cambiamenti estemporanei è diventato una lotteria.

"Vero, è diventato un terno al lotto. Non si possono riformare le riforme a ogni legislatura. Ma per restare ai grandi temi generali, insieme al sistema dell'istruzione c'è in primo piano il tema della riconversione ambientale dell'economia. Non sono esoterismi: sono cose che riguardano la vita della gente, che ne è cosciente. Energia, fonti alternative, qualità dell'aria, impronta ecologica dello sviluppo, la nuova agricoltura come sistema delle imprese agricole su un territorio da rispettare e da valorizzare: fanno già parte del nostro orizzonte di comportamenti politici".

Intanto però il territorio è devastato, basti pensare alla tragedia dei rifiuti a Napoli. E sull'intero paese incombe la questione del Sud, che continua a divaricarsi dal resto del paese.

"Anche il Mezzogiorno è un gigante imbrigliato, ma dobbiamo evitare di collocarlo sotto una etichetta che lo fissa per sempre. Anche il Sud cambia. Oggi gli imprenditori denunciano il pizzo, e le associazioni imprenditoriali sanzionano con l'espulsione chi lo paga: la società è più strutturata, anche se è ancora compressa dal potere criminale. Per questo ho drammatizzato l'appello rivolgendomi ai mafiosi: non votate per noi perché noi vogliamo distruggervi. Un'espressione troppo forte, ha commentato qualcuno. Ma come si fa, ragionevolmente, a far crescere il Sud senza distruggere la mafia?".

Qualcuno le rimprovera un atteggiamento troppo morbido. Walter deve cominciare finalmente a menare, è il senso di molti discorsi. Come quello che ha fatto Pier Luigi Bersani.

"Se si vuole un giudizio sulla destra, è presto detto. La destra non può governare. L'ha già fatto, ha governato e non ha fatto nulla, se non alcuni puntuali provvedimenti di interesse personale. Quanto all'alleanza in sé, il Pdl più la Lega è un impasto di culture che non possono stare insieme. Secessionisti e nazionalisti, liberisti e protezionisti. Logico che vengano fuori pasticci su tutto, dall'Alitalia al voto agli immigrati. Anche con aspetti grotteschi, come Umberto Bossi che minaccia per l'ennesima volta di imbracciare le armi, a cui risponde Raffaele Lombardo, candidato alla presidenza della Regione Sicilia, dichiarando che anche i siciliani caricheranno i loro fucili".

Con la copertura di Berlusconi che fa da garante. La gente guarda lui, non i suoi alleati.

"Ma nella realtà questa destra che cosa offre? Minacce, tensione, totale assenza di senso delle istituzioni. Lo spettacolo di due alleati che minacciano fucilate, forse reciproche, verrebbe da pensare, è il lato bizzarro di una inadeguatezza civile, oltre che di contraddizioni politiche insanabili".

Conclusione, lei è convinto che si può vincere.

"Guardi, al 'Democratic Day' nei gazebo sono venuti sei milioni di persone. È stata una mobilitazione grandissima, simile a quella delle primarie. Le indagini demoscopiche hanno mostrato l'esistenza di un terzo di indecisi e astensionisti, che tuttavia in maggioranza sono tendenzialmente dalla nostra parte. E, soprattutto, il paese sente che non può continuare così. Sì, possiamo farcela".
L'Espresso, 10 aprile 2008

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