mercoledì 31 agosto 2011

I Pintacuda Boys sfidano Burunbugiu e lanciano da Filaga un efficace piano di riscossa

L'assessore Massimo Russo a Filaga
(Enzo Coniglio) Della Sicilia e dei Siciliani è stato detto di tutto durante secoli di storia travagliata e sofferta,fatta di guerre, di rivolte e di successi. Ma su un punto si è tutti d’accordo: la Sicilia è l’autentica Araba Fenice che ogni volta sembra soccombere sotto l’attacco mortale del conquistatore di turno e poi risorgere con più forza dalle sue ceneri. È la storia millenaria che nel Mediterraneo e Medio Oriente ha contrapposto il giovane Davide al gigante Golia. Parafrasando quando Orazio diceva della conquista romana della Grecia, possiamo affermare che “la Sicilia vinta, ha vinto il feroce vincitore producendo al suo interno i necessari anticorpi e proponendosi come punto di riferimento in questo incontro dialettico di culture, civiltà, religioni e interessi economici e politici internazionali”. Questo vale per ieri ma anche e soprattutto per oggi in cui l’analisi fattuale ci presenta una Sicilia ridotta all’apparente collasso con una disoccupazione da capogiro che sfiora il 45% dei giovani e con prospettive di investimenti e di ripresa ridotte al lumicino in un mercato mondiale che pretende di essere globale e di dettare le sue leggi capestro, degno del più feroce e brutale vincitore, sotto l’egida del potente Dio-Moloch-Mercato- Capitale ormai noto con il suo vero nome: BURUNBUGIU. Dobbiamo allora dichiarare ormai morta e sepolta la vegliarda Sicilia e ammainare definitivamente la bandiera giallo-rossa della Trinacria? Assolutamente NO, tuonano indignati dal piccolo borgo di Filaga, a due passi da Prizzi e da Palazzo Adriano dove dal 28 agosto al 3 settembre si sono dati appuntamento i “Boys” dell’ispiratore della “Primavera di Palermo”, Padre Ennio Pintacuda S.J., figlio di questo borgo dei Monti Sicani che aveva indicato nel riscatto culturale, nella testimonianza e nell’azione sociale, economica e politica, la strada maestra della riscossa. In una parola: in una Nuova Politica eticamente e professionalmente fondata e testimoniata. E sebbene siano trascorsi ormai sei anni dalla scomparsa, i “Pintacuda Boys” quali Pierluigi Matta, Giacomo Greco, Michelangelo Salamone, Emilio Giammusso &C., sotto la direzione del Prof. Elio Cardinale, hanno messo insieme un parterre di primo piano, rigorosamente bypartisan e interdisciplinare con una domanda operativa precisa: come rispondere alle sfide planetarie in ambito siciliano, tra “il Vento del Nord e lo Scirocco del Sud” elaborando progetti esecutivi concreti.
La loro ricetta? Rifondare la dirigenza politica intesa come cittadini responsabili della gestione delle risorse pubbliche, radicati nel territorio, coerenti con i più rigorosi standard etici, capaci di intendere il cambiamento e pronti a scommettersi fino in fondo ottimizzando le risorse umane, finanziarie ed economiche disponibili nell’Isola. Per realizzare questo obiettivo, i “Pintacuda Boys” hanno dato vita ad una ‘summer School’ di eccellenza, riservata a 25 allievi disposti a impegnarsi in tempi brevi, in questo tipo di ‘gestione della res publica’. Hanno deciso inoltre di invitare a Filaga gli ‘opinion leaders’ e i ‘decision makers’ e avviare con loro una riflessione a tutto campo sull’analisi del presente e le prospettive a breve e a medio termine. Il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo ha aperto il dibattito con una prolusione a tutto campo che gli osservatori hanno definito una delle più efficaci e coraggiose della sua lunga carriera politica nella quale, senza fronzoli e bizantinismi, e con una disarmante sincerità, ha presentato luci ed ombre dell’attuale governo regionale, riconoscendo i limiti dell’azione insieme naturalmente ai positivi risultati raggiunti in uno sforzo di modificare il trend negativo. Gli avrebbe dovuto fare da contraltare Francesco Cascio, impedito dalla scomparsa del padre. Ieri, lunedi 29 agosto, l’analisi impietosa ma costruttiva nelle proposte, è stata affidata agli imprenditori Ettore Artioli, Luciano Basile, Tommaso Dragotto, Pietro Cirrito, Caterina Di Chiara, Patrizia Di Dio e agli operatori pubblici Antonio Carullo, Maria Giambuso, Renato Gattuso e Gaetano Mazzola. Ma chi ha galvanizzato letteralmente il pubblico qualificato, è stato l’Assessore Massimo Russo il quale, con quella chiarezza che lo contraddistingue, ha chiesto di smetterla di considerarlo un tecnico perché lui è un politico autentico nel significato semantico del termine, inteso come colui che viene chiamato ad assicurare una gestione efficace ed efficiente delle risorse pubbliche. Ha poi chiarito che sanità non significa soltanto curare le malattie ma assicurare il benessere del cittadino a tutto campo e ha preannunciato di voler includere nelle funzioni dell’Assessorato, le funzioni dell’assistenza sociale del cittadino, facendo sua la direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e rispondendo alle provocazioni di Gaetano Mazzola. Ha rivendicato alla sua azione il risanamento finanziario della Sanità siciliana e, puntando il dito sull’operato dei suoi predecessori, individuati con i rispettivi nomi, ha dichiarato che senza il piano di risanamento, oggi la Sicilia sarebbe in bancarotta; ha subito aggiunto che il programma di riorganizzazione è tutt’altro che concluso e che occorreranno alcuni anni per completare l’azione intrapresa. E’ quindi evidente che in questa fase di transizione, continueranno ad essere evidenziate le criticità ereditate dal passato e quelle tipiche di ogni transizione che non è mai completamente indolore. “Il problema non è quello di realizzare un lifting in qualche punto – ha precisato l’assessore – ma di avviare una riorganizzazione tutta nuova della struttura della sanità siciliana e di molti altri settori dell’amministrazione”. Il mio vicino dai baffetti maliziosi, mi ha sussurrato all’orecchio: “Vuoi vedere che ce lo troveremo Presidente della Regione? Anche lui si è creato i ‘Russo Boys… in fondo non mi dispiacerebbe”. Dopo 12 lunghe ore, il primo giorno di Filaga si è concluso con dei risultati di gran lunga superiori ad ogni più rosea aspettativa e abbiamo potuto rientrare nell’oasi felice di Casale Borgia Resort di Palazzo Adriano. Oggi, martedì sarà il turno di un parterre non meno ricco di cui farà parte l’assessore Getano Armao e siamo certi che i ‘Pintacuda Boys’ affineranno ulteriormente le loro armi e rinnoveranno la loro sfida a Burunbugiu ponendo il valore della persona umana a fondamento della loro azione e relegando il Mercato al ruolo funzionale che gli spetta. La sfida tra Davide e Golia di Filaga continuerà impavida. L’Araba Fenice rinasce con forza e ci fa ancora sperare. Tra vento del nord e Scirocco del Sud, preferiamo Meseuro, il vento di bonaccia.
Da: SiciliaInformazioni.com
30 agosto 2011

lunedì 29 agosto 2011

Lettera di Umberto Santino a Libero Grassi

Libero con Alice e Davide
di UMBERTO SANTINO
Caro Libero,
rileggere le tue parole è come ripercorrere i giorni che vanno da quel 10 gennaio 1991 in cui è stata data la notizia del tuo no alle richieste degli estortori a quel 29 agosto in cui è stato versato il tuo sangue sul marciapiede sotto casa. È stata una lunga, e prevedibile, via crucis. Quel 4 maggio pensavamo di coinvolgere una buona parte della cittadinanza, invece eravamo poche decine e neppure le maestre in visita al palazzo comunale con una scolaresca hanno pensato di trattenersi per seguire il dibattito. Non vennero neppure i rappresentanti di altri centri studi, nati dopo il Centro Impastato con leggine per il finanziamento ad hoc. Non venne il Coordinamento antimafia, costituitosi su proposta di chi scrive nel 1984 e poi trasformatosi in tifoseria del sindaco Orlando con la benedizione di padre Pintacuda, di cui nessuno pronosticava il futuro nei paraggi della nascitura Forza Italia. La retorica del tempo negava le appartenenze ma in realtà le induriva trasformandole in devozione e tu, nonostante le varie esperienze partitiche (prima nella breve stagione del Partito d’azione, poi radical-socialista e repubblicano, quindi pannelliano, e all’avventuroso guru radicale hai dedicato una poesia intitolata A te che sei una puttana, infine simpatia per i Verdi e ritorno nel Partito repubblicano), eri un battitore libero, in una società ordinata per tribù.


Quel giorno abbiamo mostrato che tu, e noi con te, eravamo soli e che le dichiarazioni di solidarietà, gli spazi sui giornali e alla televisione, non avevano scalfito quell’isolamento che era già una condanna preventiva. Come ha scritto Pina, la profezia del delitto.

Lo scontro fra te, Salatiello, un imprenditore che ti aveva preceduto sulla stessa strada, e il presidente dell’Associazione dei piccoli imprenditori, era lo scontro tra due mondi, separati ed avversi. La tua voce era affilata come una lama quando chiedevi: «C’è terrorismo a Brancaccio?». Tu parlavi di un imprenditore che non solo produce merci ma soprattutto crea cultura e civiltà, progetta e costruisce sviluppo, perché eri quel tipo di imprenditore, idealizzato da Schumpeter, incarnavi una borghesia libera da condizionamenti e affrancata dal servilismo, ma eri un’anomalia in un mondo in cui i tuoi colleghi seguivano altre strade e non per caso incrociavano mafia e corruzione. E il tuo isolamento si faceva sempre più pesante. Ricordo una telefonata prima delle vacanze estive in cui mi dicevi: «Le banche fanno difficoltà. La Banca S. Angelo, per uno scoperto di 5 milioni [di lire] totalmente insignificante dato che il mio fatturato è di 7 miliardi, fa un mucchio di problemi». Ti dicevo: «Lo scoperto di 5 milioni è un pretesto, non vogliono avere rapporti con te». Era chiaro: ti consideravano un morto che cammina.

Non ci consola pensare che hai perso la battaglia ma potresti vincere la guerra. In questi vent’anni molte cose sono accadute. I tuoi assassini sono stati puniti. Dopo varie traversie la tua azienda è rinata come Sigma Nuova. Il sostegno dei Verdi si è dissolto e la Fondazione intitolata a tuo nome non è decollata, ma con la legge varata dopo il tuo assassinio (tutta la legislazione antimafia del nostro paese è frutto di morte e occorreva la tua per scoprire le estorsioni, praticate da secoli) imprenditori e commercianti che hanno seguito la tua strada e hanno avuto danneggiata l’azienda possono continuare l’attività. Alla testa dell’Associazione degli industriali siciliani ci sono imprenditori che si dichiarano contro la mafia, espellono chi non solo paga il pizzo ma neppure collabora con la giustizia dopo che gli estortori sono stati arrestati e condannati. Alcuni giovani hanno avuto un’idea che poteva limitarsi a una bravata goliardica: in una notte del giugno 2004 hanno incollato sui muri di Palermo un adesivo con la scritta «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità», ma da quella notte hanno avviato un percorso che ha dato i suoi frutti: la campagna per il consumo critico, la creazione dell’associazione Libero futuro, che porta il tuo nome. E a livello nazionale il movimento antiracket, che allora era partito da Capo d’Orlando, da una Sicilia non più «babba», è cresciuto, anche se solo nel Meridione.

Ma tu parlavi anche, o soprattutto, di politica e di qualità del consenso. e per tutta la vita ti sei battuto per una politica libera, laica, capace di affrontare e risolvere i problemi nascenti da antichi servaggi e radicate tirannie. E qui va detto, senza sconti, che l’Italia è diventata negli ultimi anni un paese in cui saresti un alieno. Al mezzo secolo di potere democristiano, fatto di clientele e di permanenti compromessi con la mafia, ma con il rispetto almeno per le forme istituzionali (Andreotti, l’icona più emblematica di quelle compromissioni, accusato di reati gravissimi, si è difeso nei processi, conclusi all’italiana: accertata ma prescritta l’associazione a delinquere fino al 1980, da quell’anno in poi inopinatamente assolto), è succeduto il potere di un tale che incarna il peggio del nostro paese: palazzinaro con soldi di indubbia provenienza (si parla di Bontate e di altri capimafia), monopolista delle televisioni private che spargono stupidità e iniettano passività, sceso in campo per tutelare i suoi interessi con un partito-azienda fatto di dipendenti-servi. Ha sfornato leggi ad personam per autoassolversi, viola quotidianamente i principi fondamentali della Costituzione, che considera carta straccia e frutto della sanguinaria utopia comunista, definisce i magistrati «antropologicamente tarati» e «cancro della nazione», si circonda di legulei che gli confezionano leggi lodi decreti a misura della sua sterminata capacità a delinquere, di giovani donne, anche minorenni, che si prestano a pagamento alle sue voglie senili (non si chiamano più puttane ma escort), esibisce corna nei summit internazionali e inalbera il dito medio come bandiera del suo satiriaco superego, racconta barzellette stupide e volgarissime, e gli astanti ridono, per piaggeria e servilismo. Un inedito nella storia d’Italia. Un paese che ha ricreato a sua immagine e somiglianza. Ma ha vinto le elezioni, con milioni di voti imbucati in una legge elettorale che il suo stesso inventore ha definito una «porcata». Ora investe del suo potere, come se fosse ereditario, un giovanotto agrigentino, il cui unico merito è avergli fatto da chierichetto. Il delfino ha annunciato che vuole creare il «partito degli onesti» ma dichiara «perseguitato dalla giustizia» il monarca coinvolto in decine di procedimenti. E in quest’Italia baldracca e sbrindellata al vertice del potere c’è un altro personaggio, anche lui lombardo, che si è inventata un’inesistente Padania che vuole secedere dal resto d’Italia, invoca il dio Po, teorizza e pratica il razzismo, usa un linguaggio sbracato, gesti da trivio, si pulisce il sedere con il tricolore. Un barbaro dalla testa ai piedi, anche lui eletto a furor di popolo. Il peggio del paese, mafie e dintorni, prima veniva da Sud, ora viene da Nord. Dalla ricca Lombardia.

Riusciremo ad uscire da questo pozzo nero? Da questa quotidiana barbarie? Pare che le cose stiano cambiando ma non sarà facile. Perché il «berlusconismo» incrocia e sublima il peggio dell’italietta: la furberia, l’illegalità diffusa (siamo recordmen di evasione fiscale), la doppia morale, la religione del privato e il saccheggio del pubblico. L’esatto contrario di quello che eri.

E poi c’è un’opposizione incapace e divisa, scollata dalla stragrande maggioranza della popolazione, soprattutto femminile e giovanile, disoccupata e precaria, derubata di futuro. Così vuole il pensiero unico della globalizzazione il cui profeta è un certo Marchionne. In Sicilia chiuderà la Fiat e a Cuffaro, ormai nelle patrie galere per aver favorito capimafia notori, è subentrato un personaggio che alterna proclami separatisti e furbe aperture a cui si aggrappano i naufraghi del Pd (un loro onorevolino è stato arrestato in flagranza dopo aver intascato una mazzetta). E a Palermo dopo la lunga parentesi orlandiana c’è stato un sindaco che è forte solo del consenso di cui ha goduto quel tale che è al governo.

Caro Libero, altro che «ecologia della politica», ridotta sempre più a mercato, spot pubblicitario, postribolo; altro che civiltà e cultura mitteleuropee, altro che «tranquillità ambientale» e progetto di sviluppo, come auspicavi. Dopo l’11 settembre (quando fanatici islamici hanno diroccato le torri gemelle di New York usando gli aerei come picconi) il mondo è diviso tra guerre e terrorismi e se prendi un aereo non puoi portare neppure una forbicina perché potresti usarla per sgozzare il pilota. Siamo tutti presunti terroristi e terrorizzati dentro. In questo contesto si svolge la vita di noi sopravvissuti al tuo assassinio. Ma una cosa è certa: sulla strada della liberazione da tutti i mali che ci assediano, in cerca di un futuro diverso, la tua lezione di dignità e di lucidità è stata, e continuerà ad essere, insieme ammonizione e progetto di vita e di società. Da riprendere e cercare di realizzare, per quello che possiamo, nonostante tutto.
Umberto Santino

domenica 28 agosto 2011

La Cgil: non cancellate il giorno della Liberazione del nostro Paese, il giorno del Lavoro e il giorno della Repubblica!

FIRMA ANCHE TU LA PETIZIONE POPOLARE!
Care cittadine e cari cittadini,
nel Decreto legge in materia economica, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, è prevista una norma con la quale si vorrebbe modificare la collocazione temporale di tre festività civili e laiche (fra l’altro, le uniche) per spostarla in un altro giorno (venerdì o lunedì) o per accorparla con la domenica. In un provvedimento iniquo, e che noi contrastiamo con forza, si colloca così anche una norma che colpisce l’identità e la storia del nostro Paese, ne indebolisce la memoria e rappresenta un grave limite per il futuro. Le ricorrenze civili vanno celebrate con attenzione e rispetto, perché parlano a tutti, alla ragione stessa del nostro stare insieme, e perché i valori che esse affermano non siano ridotti ad un momento residuale. Il ricordo della Liberazione del nostro Paese da una dittatura feroce e sanguinaria; la celebrazione del Lavoro come strumento di dignità per milioni di donne e uomini che con la loro intelligenza e fatica consentono al Paese di progredire; la celebrazione del passaggio alla Repubblica parlamentare sono tappe fondamentali che non intendiamo consentire vengano cancellate. Per altro, mentre irrisorio è il beneficio economico che ne deriverebbe i costi civili sul versante della memoria e dell’identità sarebbero, se la norma venisse confermata, di gran lunga maggiori. Infine, è sufficiente un confronto con altre situazione per vedere come l’Italia è un Paese che ha un numero contenuto di festività civili e come in altri Paesi le ricorrenze civili siano celebrate e custodite con attenzione. Bisogna che ognuno di noi si faccia carico di dichiarare la propria contrarietà a questa previsione e di farla dichiarare al maggior numero di cittadini possibile: tante sono le gravi conseguenze dei contenuti del Decreto legge n° 118, quella che riguarda le festività civili non è da meno. Per questo vi chiediamo di firmare la Petizione riportata in questa pagina, o direttamente presso le Camere del Lavoro della vostra città. Alziamo insieme la nostra voce perché l’identità ed il futuro dell’Italia sono un bene indisponibile ad ogni manipolazione.
La segreteria nazionale della CGIL
Agosto, 2011
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venerdì 19 agosto 2011

19 agosto 1949, la strage dei carabinieri a Bellolampo. Oggi il 62° anniversario

I caduti nella strage di Bellolampo
Quest’anno ricorre il 62° anniversario della strage di Passo di Rigano -Bellolampo. L’eccidio fu consumato alle ore 21.30 del 19 agosto del 1949, in località Passo di Rigano. In quella che allora era una piccola borgata alle porte di Palermo, posta sulla strada provinciale SP1 di accesso alla città provenendo da Partinico e Montelepre, di obbligato passaggio, il bandito Salvatore GIULIANO, detto “Turiddu”, fece esplodere una potente mina anticarro, collocata subdolamente lungo la strada. La deflagrazione investi l’ultimo mezzo, con a bordo 18 Carabinieri, di una colonna composta da 5 autocarri pesanti e da due autoblindo che trasportavano complessivamente 60 unità del “XII Battaglione Mobile Carabinieri” di Palermo. L’esplosione dilaniò il mezzo e provocò la morte di sette giovani Carabinieri, di umili origini, provenienti da varie città italiane: Giovan Battista ALOE classe 1926 da Cosenza (Lago), Armando LODDO classe 1927 da Reggio Calabria, Sergio MANCINI classe 1925 da Roma, Pasquale Antonio MARCONE classe 1922 da Napoli, Gabriele PALANDRANI classe 1926 da Ascoli Piceno, Carlo Antonio PABUSA classe 1926 da Cagliari ed Ilario RUSSO classe 1928 da Caserta. Altri 10 carabinieri rimasero feriti, alcuni subendo gravi mutilazioni. Tra i feriti vi fu anche il 35 enne Tenente CC Ignazio MILILLO, Comandante della Tenenza suburbana di Palermo. Nel tardo pomeriggio di quel giorno questi carabinieri, accasermati alla caserma “S.Vito” (caserma Carini) ed alla caserma “Calatafimi” erano pronti per fruire di un permesso serale quando giunse la notizia dell’ennesimo attacco, con l’utilizzo di mitragliatrici e bombe a mano, da parte di circa 15 elementi della banda GIULIANO alla caserma dei carabinieri dell’isolata località di Bellolampo (allora in piena campagna, a circa 10 km da Palermo). Erano le ore 18,00. A seguito dell’allarme, molti ragazzi si presentarono volontariamente al punto di raccolta. Con generoso slancio si equipaggiarono rapidamente e non esitarono a salire sui mezzi per portare aiuto ai colleghi, pur consci del grave pericolo a cui andavano incontro. Giunti a Bellolampo, effettuarono il rastrellamento dell’area unitamente ad un piccolo contingente di agenti di P.S. giunto a bordo di “camionette”, in condizioni difficili sia per l’aspra orografia del terreno sia per l’orario notturno. Visto l’esito negativo verso le ore 21,00 si avviavano per far rientro nella propria caserma. Il diabolico piano di attacco del bandito Giuliano, prevedeva una esecuzione in tre tempi:
— attacco dimostrativo alla Caserma di Bellolampo con lo scopo di attirare le forze di polizia in una zona particolarmente adatta all’agguato;

— strage della colonna sulla via di ritorno;

— assalto alle forze che da Palermo sarebbero accorse agli ordini del responsabile dell’Ispettorato di P.S. e degli ufficiali dell’Arma.

A Passo di Rigano i banditi avevano posto una grossa mina legata con un filo di ferro, nascondendosi sul lato opposto in un folto boschetto, attendendo il rientro a Palermo dell’autocolonna. Il rumore dei motori annunciò agli attentatori l’arrivo dei mezzi dei carabinieri, uno strappo al filo di ferro e la mina si posizionò tra le ruote posteriori dell’ultimo autocarro al comando del tenente Milillo e del brigadiere Tobia, che erano nella cabina di guida. Il fragoroso scoppio fece fermare l’autocolonna, i carabinieri ed i poliziotti saltarono a terra dai mezzi e corsero verso il luogo dell’esplosione. Fra i feriti, il più grave il Carabiniere Ilario RUSSO, morirà il giorno dopo all’ospedale militare di Palermo.

Alla notizia dell’attentato l’Ispettore Generale di P.S. VERDIANI, il Generale dei Carabinieri POLANI, il Colonnello TUCCARIN, il Maggiore JODICE ed un vice Questore con due automobili si dirigono verso Passo di Rigano. Attraversata piazza Noce, nel tratto di strada (attuale via G.E. Di Blasi) che conduce a Passo di Rigano, le autovetture subirono una aggressione da parte di un gruppo di fuorilegge appostati dietro un muro che costeggiava la strada. Una prima bomba colpì l’autovettura dell’Ispettore VERDIANI e del Generale POLANI, altre bombe e raffiche di mitra colpirono l’altro mezzo. Gli occupanti scendendo fulmineamente dai mezzi poterono salvarsi la vita. Il bandito GIULIANO compì così la più spavalda delle imprese contro i Carabinieri.

Ai funerali, svoltesi nella Cattedrale di Palermo - officiati dal Cardinale Ernesto RUFFINI - partecipò una grande folla e tutte le Autorità del capoluogo regionale, nonché rappresentanti del Governo nazionale. Per meglio comprendere l’ambiente operativo in cui è maturato l’attentato e il coraggio con cui i carabinieri affrontarono la loro missione a Bellolampo, è bene ricordare che in quegli anni la banda GIULIANO teneva in scacco lo Stato. La convergenza di interessi tra la malavita, i separatisti dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia), i grandi latifondisti ed i boss mafiosi diede luogo ad una vera e propria guerra contro lo Stato: vennero messe in atto violente azioni di guerriglia militare contro l’Arma dei Carabinieri e l’Esercito quali baluardi dell’unità nazionale e, successivamente, contro istituzioni pubbliche e politiche.

Tra gli episodi più significativi si ricorda il precedente assalto alla caserma dei carabinieri di Bellolampo (26 dicembre 1945) quando una cinquantina di banditi incappucciati attaccarono l'edificio che lo occuparono, dopo un violento combattimento, devastandolo e razziando armi e munizioni.

Tre giorni più tardi venne assalita la caserma di Grisì (PA). Dopo 8 giorni toccò alla casermetta di Pioppo (PA) e nelle quarantott'ore successive fu la volta di quella di Borgetto (PA). Ancora più sanguinoso fu l'attacco a quella di Montelepre (PA), paese nativo di GIULIANO, che fu espugnata dopo ore di combattimento.

Dopo la strage del 1° maggio 1947, a Portella delle Ginestre, quando i banditi sparano su circa 1.500 contadini radunatisi per la festa del lavoro, il 19 dicembre successivo gli squadroni della morte di GIULIANO piombarono all'improvviso a Partinico e attaccarono in forze la tenenza dei Carabinieri.

Dal 1943 al 1949 il banditismo sembrò invincibile (La sola banda Giuliano compì: 305 omicidi, 178 tentati omicidi, 37 sequestri di persona, 245 rapine e 11 stragi (comprese Portella e Bellolampo). In particolare negli 86 conflitti a fuoco caddero: 98 carabinieri, 26 agenti di Pubblica Sicurezza e 34 civili - fonte www. Carabinieri.it). Gli scontri si susseguirono senza interruzioni mietendo decine di vittime tra i militi dell'Arma. Quando il 19 agosto 1949 avvenne la strage di Bellolampo, l’Arma contava quasi 100 carabinieri caduti in conflitti a fuoco. Il 26 agosto 1949, sette giorni dopo quest’ultima strage, per arginare la violenza della banda GIULIANO, il Governo italiano soppresse l’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia e costituì il CFRB (Comando Forze Repressione Banditismo) e ne affidò il comando al Colonnello CC Ugo LUCA.

Nel 1992, a ricordo degli eroi di Bellolampo, l’Amministrazione comunale eresse, su proposta dell’Ispettore Regionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri, Generale di C.A. dei carabinieri Ignazio MILILLO, un monumento nei pressi del luogo dell’eccidio, esattamente in via Leonardo Ruggeri. La strage di Bellolampo è una pagina di eroismo dell’Arma, poco nota agli italiani. In un difficile contesto socio-politico come quello del 2° dopoguerra in Sicilia, a Passo di Rigano, sette carabinieri persero la vita perché impegnati nel ripristino della legalità. Anche grazie al fulgido esempio di questi ragazzi, dimenticati da molti, che oggi vive in Sicilia la cultura della legalità. A queste vittime va rivolto un commosso, doveroso pensiero.

martedì 16 agosto 2011

Nel lungo ponte di Ferragosto intensa attività dei Carabinieri a Palermo e provincia per prevenire crimini. Effettuati numerosi arrestati

Durante il lungo ponte di ferragosto , i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo diretto dal Generale di Brigata Teo LUZI hanno continuato a svolgere una capillare attività di prevenzione e controllo sulle strade della città ed in provincia, finalizzata a contrastare e reprimere reati contro il patrimonio, in particolare modo quelli di tipo “predatorio”, contro lo spaccio di sostanze stupefacenti, e svolgendo numerosi servizi tesi al controllo della circolazione stradale al fine di garantire un fine settimana sereno a seguire al ferragosto. I servizi rafforzati in previsione del controesodo sono stati collocati soprattutto per prevenire e reprimere tutti i comportamenti “scorretti” degli utenti della strada, scongiurando così le “stragi del sabato sera”. I controlli da parte delle “gazzelle” e dei motociclisti del Nucleo Radiomobile in città e delle pattuglie dislocate su tutta la provincia, sono stati svolti su tutto il territorio, utilizzando nei particolari servizi anche l’apparecchio etilometro per intervenire nei confronti di quei soggetti sorpresi alla guida dei veicoli in evidente stato di ebbrezza alcolica e dell’autovelox. Numerose le contravvenzioni elevate per quei utenti indisciplinati sorpresi senza cinture di sicurezza o senza casco protettivo, altri sorpresi a parlare al cellulare durante la guida.
In particolare, i Carabinieri della Stazione di Capaci hanno tratto in arresto Alessio CARDULLO, 19 anni, R. G., 17 anni, N. S., 17 anni, tutti e tre provenienti dallo Zen di Palermo, per aver organizzato una piccola piazza di spaccio, appostandosi in alcune zone nei pressi del litorale tra Isola e Capaci sin dalle prime ore della serata del 14 agosto. In occasione della vigilia di Ferragosto, notte in cui sulle spiagge di Isola delle Femmine e Capaci, tutti gli anni, si riversano un gran numero di giovani, provenienti dalla città, più o meno attrezzati per trascorrere la “nottata” sotto le stelle, tra musica, feste e bagni di mezzanotte. I tre ragazzi di Palermo avevano pensato bene di approfittare della ricorrenza per rafforzare il loro losco giro d’affari e fare un po’ di soldi facili. Le perquisizioni degli arrestati hanno consentito il rinvenimento e il sequestro di 35 grammi di marijuana, 25 dosi di hashish da 1 grammo l’una, 1 dose di cocaina, 200 euro suddivisi in banconote di piccolo taglio. I due minorenni, dopo l’arresto, venivano accompagnati presso il Centro di prima accoglienza minorile Malaspina di Palermo a disposizione della competente Autorità Giudiziaria, mentre il maggiorenne veniva trattenuto presso le camere di sicurezza del Comando Compagnia di Carini.
I Carabinieri della Stazione di Altavilla Milicia hanno tratto in arresto con l’accusa di coltivazione di sostanza stupefacente e detenzione ai fini di spaccio Giovanni DESIO, palermitano classe 1982, residente in Altavilla Milicia nella via Caduti di Nassirya. Il giovane, in seguito alla perquisizione personale, è stato trovato in possesso di tre dosi di sostanza stupefacente del tipo “marijuana”, occultate all’interno di un pacchetto di sigarette. La successiva perquisizione presso la sua abitazione ha permesso di rinvenire 1 grammo di cocaina, 5 grammi di hashish, 7 grammi di marijuana. Inoltre, i militari hanno rinvenuto, all’interno di una serra rudimentale creata sul balcone dell’abitazione, 5 vasi contenenti altrettante piante di marijuana dell’altezza di mt. 1,5 circa, il tutto posto sotto sequestro.
I Carabinieri della Stazione San Filippo Neri hanno tratto in arresto Giuseppe MARULLI, palermitano classe 1989, residente in via Agesia di Siracusa, con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio. I militari hanno sorpreso il giovane, all’interno del quartiere “Zen 2”, in via Rocky Marciano cedere ad altri soggetti sostanza stupefacente. A seguito di perquisizione personale hanno rinvenuto 13 grammi di cocaina, nonché la somma in contante di € 130,00 frutto dell’illecita attività.
I Carabinieri della Stazione di Borgo Nuovo hanno tratto in arresto per danneggiamento Cosimo Salvatore SCUDELLARI Barraco, nato a Marsala (Tp), classe 1974, residente in via Libertà, pluripregiudicato. L’uomo è stato sorpreso dai militari in via Tindari mentre lanciava sassi contro un autobus di linea “Amat” in sosta presso quel capolinea. Una volta bloccato, espletate le formalità di rito, è stato tradotto presso la casa Circondariale “Ucciardone”.
I Carabinieri della Stazione di Bolognetta hanno eseguito due distinte ordinanze di esecuzione per la carcerazione. Si tratta di R. s., nato a Bolognetta nel 1965, residente in via Baucina, pregiudicato, che dovrà espiare una pena residua di mesi 8 di reclusione a seguito di condanna per evasione dagli arresti domiciliari commessa a Bolognetta nel 2009. L’altro soggetto è F. r., nato a Palermo nel 1948, residente in via Ettore Ximenes, di fatto domiciliato a Bolognetta, che dovrà espiare la pena residua di mesi 1 di reclusione a seguito di condanna per porto abusivo di armi, commesso a Bolognetta nel 2008.
I Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Palermo hanno tratto in arresto LA BUA Alessandro, nato a Reggio Calabria (Rc) classe 79, residente a Palermo in via Buonriposo pluripregiudicato. L’uomo è stato sorpreso a rubare alcuni profumi per un valore complessivo di 100,00 euro all’interno di un supermercato e si era allontanato dall’esercizio commerciale. Durante la fuga ha aggredito due soggetti che avevano assistito al fatto e hanno tentato invano di bloccarlo. Dopo poco i militari del Nucleo Radiomobile lo hanno intercettato in via Lancia di Brolo alla guida di un ciclomotore. LA BUA Alessandro è stato quindi bloccato e tratto in arresto con l’accusa di rapina impropria e per resistenza a Pubblico Ufficiale e condotto presso la locale Casa Circondariale.
Non sono mancate le “bravate” di giovani che, in un piccolo contesto quale è quello di Ustica, hanno tentato di passare un ferragosto diverso, fuori dalle regole, senza fare i conti con i controlli dei Carabinieri. Infatti i militari della locale Stazione hanno denunciato in stato di libertà 5 minori con l’accusa di furto aggravato. I 5, di cui tre palermitani e due di Ustica, hanno sono stati sorpresi all’interno dell’area portuale mentre tentavano di asportare un ciclomotore ivi parcheggiato mediante la manomissione del sistema di accensione.
Altro singolare episodio vede protagonisti i Carabinieri della Stazione di Partanna Mondello che hanno denunciato in stato di libertà 6 persone per aver occupato abusivamente suolo stradale lungo la costa al fine di esercitare l’attività’ di ristorazione e somministrazione bevande. Infatti i militari durante l’attività di controllo nei quartieri “Mondello”, “Barcarello” e “Addaura” hanno contestato, in diverse circostanze, ai sei soggetti l’occupazione abusiva di area demaniale per l’esercizio di attività di ristorazione e somministrazione di bevande.
L’attività svolta ha consentito inoltre il raggiungimento dei seguenti risultati: 43 persone denunciate di cui 22 per “guida in stato di ebbrezza alcolica”, provvedendo al contestuale ritiro di altrettante patenti di guida; 2 persona per “guida sotto l’influenza di sostanza stupefacente”; 2 persone per “rifiuto di fornire le indicazioni sulla propria identità personale”; 2 persone “per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti”; 5 persone responsabili di “detenzione illegale di armi e oggetti atti ad offendere”; 5 soggetti per “guida senza patente”, poiché sorpresi a condurre autoveicoli sebbene privi di documento abilitante alla guida, in quanto mai conseguito; 4 individui responsabili di “sottrazione di cose sottoposte a sequestro” poiché sorpresi alla guida di veicoli in custodia, eseguendo il contestuale fermo di altrettante autovetture; 1 persona per “falsità in scrittura privata”, per aver esposto un contrassegno assicurativo palesemente contraffatto.
Sono stati segnalati 31 giovani al locale “Ufficio Territoriale del Governo”, in gran parte sorpresi a consumare droghe sulle spiagge di località marittime, accertati “assuntori sostanze stupefacenti”. Sono state elevate oltre 150 contravvenzioni per infrazione al codice della strada, tra cui 25 contravvenzioni per non aver usato le cinture di sicurezza (art. 172 c.d.s.); 56 contravvenzioni per il mancato utilizzo del casco protettivo e sottoposti altrettanti mezzi, tra motocicli e ciclomotori, a fermo amministrativo (art. 171 del c.d.s.); nr. 12 contravvenzioni per uso di apparecchi radiotelefonici durante la guida (art. 173 c.d.s.); le restanti per altri violazioni al codice della strada.
Palermo, 16 agosto 2011
FOTO. Da sinistra a destra, dall'alto in basso: gli arrestati Alessio Cardullo, Giovanni Desio, Alessandro La Bua, Giuseppe Marulli e Cosimo Scudellari Barraco. I carabinieri con le piantine di marujana sequestrata.

Fincantieri e il business di guerra africano

di Antonio Mazzeo Orizzonte Sistemi Navali, società controllata da Fincantieri e partecipata da Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica), si è aggiudicata un contratto dal ministero della difesa dell’Algeria per la costruzione di un’unità da sbarco e supporto logistico destinata alle forze armate nazionali. Il valore della commessa è di circa 400 milioni di euro. Secondo la testata on line Dedalonews, l’imbarcazione sarà una “derivazione progettuale molto potenziata”, sul piano delle capacità operative, delle navi da sbarco portaelicotteri (LPD) della classe “San Giorgio”, utilizzate dalla Marina militare italiana a partire dagli anni ‘90 per intervenire nei maggiori teatri di guerra internazionali (Somalia, Balcani e Kosovo, missioni “Antica Babilonia” in Iraq e “Leonte” in Libano, più recentemente in Libia), per contrastare le imbarcazioni dei migranti nel Mediterraneo o deportare gli immigrati dall’isola di Lampedusa ai centri di reclusione sparsi in mezza Italia.
A differenza delle “cugine” San Giorgio, San Marco e San Giusto, l’unità destinata all’Algeria avrà una lunghezza più ridotta (40 metri), una larghezza di 21 e un dislocamento di circa 8.000 tonnellate. Sarà in grado di imbarcare sino a 350 uomini, 35 veicoli corazzati, motoscafi veloci ed elicotteri da attacco AB212, NH90, SH-3D ed EH-101.
La nave sarà costruita in buona parte negli stabilimenti Fincantieri del Muggiano di La Spezia e in quelli di Riva Trigoso, mentre sarà responsabile dell’integrazione dei sistemi di bordo la società Seastema (Genova) operante nella progettazione e realizzazione di sistemi di automazione destinati ad imbarcazioni civili e militari, di proprietà Fincantieri e della holding svizzera ABB. Nella realizzazione dell’unità saranno coinvolte pure alcune aziende di Finmeccanica specializzate in sistemi di comunicazione, comando e controllo e di combattimento.
«Giungono così a buon fine gli sforzi promozionali di Fincantieri che, in collaborazione con la Marina Militare, nel lontano novembre del 2007 organizzò in Algeria una trasferta della nave “San Giusto”, con a bordo uomini, mezzi anfibi e veicoli del reggimento San Marco ed elicotteri SH-3D del 3° Gruppo Maristaeli di Catania», aggiunge Dedalonews. In quell’occasione, a promuovere il gioiello navale made in Italy, si recarono in visita ad Algeri l’allora sottosegretario alla difesa, senatore Lorenzo Giovanni Forcieri (Ds-Ulivo poi Pd, odierno presidente dell’Autorità portuale di La Spezia) e il comandante delle forze navali Italiane (COMITMARFOR), ammiraglio Rinaldo Veri, odierno responsabile del comando navale della Nato per il Mediterraneo (Napoli). A capo della “San Giusto” c’era al tempo il capitano di vascello Carlo Cellerino, attuale capo ufficio stampa della Marina militare.
Il trasferimento alle forze armate algerine della nuova unità da guerra è stato salutato con favore da tutte le forze politiche e dalle organizzazioni sindacali italiane, preoccupate per la grave crisi finanziaria e occupazionale che sta colpendo la cantieristica navale. A stigmatizzare l’accordo è intervenuto però opportunamente l’analista Manlio Dinucci con una nota su Il Manifesto. «L’Algeria – scrive Dinucci - ha un tasso di disoccupazione del 30% e ha appena ricevuto un aiuto di 170 milioni di euro dalla Ue, ma spenderà quasi mezzo miliardo per acquistare una nave per la proiezione di potenza dal mare, utilizzabile per operazioni multinazionali in Nordafrica o altrove, e allo stesso tempo per schiacciare eventuali ribellioni interne».
Il paese nordafricano è al centro da lungo tempo di un violentissimo conflitto politico-militare e continuano le denunce sui crimini, gli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi da appartenenti alle forze armate o ai corpi di polizia speciale. Il rapporto 2010 di Amnesty International segnala in particolare come il Dipartimento per l’informazione e la sicurezza (Drs), i servizi segreti militari algerini, sia solito arrestare sospettati per terrorismo e a «detenerli in incommunicado per settimane o mesi», esponendoli al «rischio di tortura o altri maltrattamenti». Le autorità statali, inoltre, «non hanno intrapreso alcuna iniziativa per indagare le migliaia di casi di sparizioni forzate che ebbero luogo durante il conflitto interno degli anni ‘90». Lo scorso anno, un centinaio di persone sono state condannate a morte, anche se le autorità hanno mantenuto la moratoria de facto sulle esecuzioni in vigore dal 1993. «La maggioranza delle sentenze – aggiunge Amnesty - sono state imposte nel contesto di processi collegati al terrorismo, per lo più in assenza degli accusati, ma alcune sono state comminate nei confronti di imputati giudicati colpevoli di omicidio premeditato». Un progetto di legge per l’abolizione della pena di morte, presentato nel giugno 2010 da un parlamentare dell’opposizione, è stato respinto dal governo.
Durissima la repressione delle proteste popolari dilagate nel paese a partire dal gennaio di quest’anno. Tre persone sono state assassinate dalle unità anti-sommossa che hanno utilizzato armi da fuoco, più di 800 i feriti e migliaia i dimostranti arrestati e sottoposti a lunghe detenzioni. Scenari che rendono particolarmente indigesta la vendita di sistemi d’arma ad un paese che si caratterizza per l’instabilità e che appare particolarmente compromesso in tema di diritti umani ma che tuttavia non sembrano scuotere le coscienze dei politici di governo e d’opposizione e dei sindacalisti italiani.
Altrettanto inopportuna una recente commessa Fincantieri con un altro stato africano di dubbia fede democratica e pro diritti umani. L’8 luglio 2011, lo stabilimento di Muggiano ha completato i lavori di rifacimento e potenziamento di due unità veloci lanciamissili in dotazione alla marina militare del Kenya (la “Nyayo” e l’“Umoja”), destinate a svolgere “compiti di pattugliamento costiero e contrasto al contrabbando e alla pirateria”. Gli interventi di Fincantieri hanno riguardato in particolare la ricostruzione dello scafo, il rifacimento delle eliche, degli impianti elettrici e dell’automazione, la completa sostituzione di tutti gli apparati di comando e controllo, l’installazione di nuovi sistemi di telecomunicazione e di puntamento. I lavori, come sottolinea una nota dell’azienda cantieristica, “segna l’attenzione di Fincantieri nei confronti del mercato africano, caratterizzato da un sensibile aumento della domanda di nuove unità per le Marine e le Guardie Costiere, in risposta alla necessità di assicurare un maggior presidio delle acque territoriali e per contrastare efficacemente attività terroristiche a danno dei traffici marittimi, nonché fenomeni di pirateria e di pesca di frodo”.
Il mercato continentale fa dunque gola ai manager italiani: l’asso nella manica per moltiplicare utili e affari potrebbe essere la nuova fregata multimissione franco-italiana “FREMM”, in avanzata fase di realizzazione. Con una lunghezza di 140 metri circa, l’unità raggiunge le 5.900 tonnellate e può imbarcare sino a 145 uomini d’equipaggio più 20 uomini delle forze speciali d’assalto e numerosi elicotteri da guerra NH90 ed EH-101. Enti contraenti per il programma “FREMM” sono le imprese francesi Thales e DCNS e l’italiana Orizzonte Sistemi Navali. A fare da “cliente di lancio” in terra d’Africa delle nuove fregate multiruolo sarà il Marocco che ha già ordinato alcune unità. Sulle “FREMM” saranno installati siluri MU90, missili Exocet MM40 ed Aster 15 ed i cannoni 76/62 SR stealth prodotti dalla OTO Melara, altra società del gruppo Finmeccanica. Questi ultimi sono pezzi d’artiglieria capaci di una cadenza di tiro molto elevata (sino a 120 proiettili al minuto con una gittata tra i 9 e i 30 chilometri) che, secondo la casa produttrice “li rende particolarmente adatti per la difesa anti-missile o per altri ruoli come la contraerea, il bombardamento navale e costiero”. I cannoni 76/62 possono utilizzare un ampio ventaglio di munizioni, comprese quelle “a frammentazione, incendiarie, anticarro, da esercitazione, a scoppio ritardato, a scoppio ravvicinato e a guida avanzata”. Tuoneranno italiano dunque le battaglie navali africane del XXI secolo.

domenica 14 agosto 2011

Raccolta fondi per la Cooperativa Sociale Lavoro e Non Solo di Corleone

La raccolta fondi è finalizzata all'acquisto di mezzi agricoli e alla messa in opera di azioni di miglioramenti del bene confiscato denominato “Casa Caponnetto”. La Cooperativa Sociale “Lavoro e non solo” nasce nel febbraio 2000 dal progetto associativo di Arci Sicilia e gestisce attualmente un’azienda agricola su terreni confiscati alla mafia nel territorio di Corleone, Monreale e Canicattì. La sua attuale compagine sociale è composta da 13 soci (di cui 5 cosiddetti svantaggiati in base alla L.n. 381/91 e 3 soci sovventori). Attualmente la Cooperativa detiene, in affidamento dallo Stato, le seguenti proprietà confiscate:
- Vari appezzamenti di terreno agricolo (145 ettari, di cui 60.00 nel territorio di Corleone e 85.00 nel territorio di Monreale);
- Un edificio su 3 elevazioni di circa 150metri quadrati per piano (confiscato ai fratelli Grizzaffi, nipoti di Totò Riina) attualmente intitolato al Giudice Antonino Caponnetto e sede logistica del Progetto Liberarci dalle Spine;
- Un edificio su 3 elevazioni di circa 70,00 mq per piano (Confiscato a Bernardo Provenzano) e attualmente sede del Museo della Legalità Paolo Borsellino;
- Un agriturismo alle pendici del Monte Jato, nel Comune di Monreale;
- Un appezzamento di terreno agricolo (19 ettari), nel Comune di Canicattì (AG);
- Un laboratorio per il confezionamento di legumi.
Sui terreni agricoli vengono prodotti: grano duro, ceci, lenticchie, pomodori, melanzane, peperoni, uva, fichidindia, mandorle, olive.
Questi prodotti vengono poi trasformati in pasta, semola per pizza e pane, passata di pomodoro, sughi pronti, caponate, antipasti di peperoni, marmellata di fichidindia, vino bianco e rosso, e vengono commercializzati in tutt’Italia attraverso le botteghe del mondo, i gruppi di acquisto solidali, le Associazioni, la grande distribuzione del mondo COOP. a cooperativa, fin dall’inizio dell’attività agricola, ha deciso di operare in regime biologico. Dal 2004 la cooperativa organizza insieme all’Arci il Progetto Liberarci dalle Spine, che prevede un percorso educativo e formativo di tante ragazze e ragazzi. Inolre, negli ultimi tre anni, ha accolto diverse scolaresche in visita didattica da tutta Italia per conoscere la loro esperienza.
Utilizzo delle donazioni
a) Cofinanziamento per l’acquisto da parte della cooperativa della necessaria attrezzatura agricola.
b) Azioni di miglioramento funzionale, architettonico ed estetico del Bene Confiscato sito in Via Crispi 64 a Corleone attualmente denominato Casa Antonino Caponnetto, che è contemporaneamente sede della Cooperativa, base logistica per i volontari del progetto Liberarci dalle Spine e sede dell’omonimo Circolo culturale e ricreativo Arci attivo tutto l’anno sul territorio.
Corleone dall'alto
Promotore:
Arci Toscana con Cgil Toscana, Lega Coop Toscana, Banca Etica Popolare e Unicoop Tirreno
Durata della campagna: 10 Aprile 2011 – 10 Aprile 2012
Obiettivo delle donazioni: 100 mila euro
Eventi programmati: 180
Certificazioni della donazione: pergamena , foto e video sull’avanzamento dei lavori o sulle forniture
Io Amo la Vitamina L
Raccolta fondi in favore della Cooperativa Sociale Lavoro e Non Solo di Corleone
Codice IBAN IT66B0501802800000000137137
Banca Etica Popolare filiale di Firenze

Dal 28 agosto prende il via la X Edizione dello Stage di Filaga: "Tra vento del Nord e scirocco del Sud"

Re-immaginare il capitalismo ed un nuovo welfare per un modello di futuro del Mediterraneo
Le posizioni della LUP
La decima edizione dello Stage di Filaga cade in un momento particolarmente significativo, segnato da ricorrenze importanti e da profondi cambiamenti degli assetti economici, politici, sociali e culturali che hanno governato - e talvolta solo assecondato - questi ultimi anni. Viviamo uno scenario in turbolenza che non può non accendere la sensibilità di quel reticolo di idee, passioni e tensioni costituito dalla Libera Università della Politica e che anima l’integrazione tra formazione e dibattito, tra diagnosi e proposta, sempre alimentata dalla comprensione storica, in linea col tempo presente e rivolta verso il futuro.
Il 2011 è l'anno delle celebrazioni dell'Unità del Paese e, come si è potuto registrare nel corso delle manifestazioni che si sono succedute, è stata l'occasione per riflettere sullo stesso processo unitario ma, soprattutto, sulle ragioni per ricostruire e rafforzare il “patto costitutivo” di fronte alle spinte centrifughe – o peggio disgreganti – che segnano, talora artificialmente, la storia recente dello Stato, non sempre Nazione.
L'occasione è favorevole per l'approfondimento dei motivi delle differenze di sviluppo - già indagate nelle precedenti edizioni dello Stage di Filaga - ma anche per la ripresa di tematiche sulle quali la crisi complessiva del sistema Italia aveva messo la sordina. Di fronte all'agitata “questione settentrionale” è ritornata, con la drammaticità delle condizioni dei territori cui si riferisce, la storica “questione meridionale”. Un ritorno che potrà essere foriero di risultati a patto che non venga ridotto al consueto rivendicazionismo meridionale che prescinde dai contesti di responsabilità che vi devono stare a monte.
Inoltre, gli ultimi eventi dei referendum e delle consultazioni elettorali amministrative – enfaticamente definiti “vento del nord” – hanno opportunamente riattivato il dibattito politico creando le condizioni per taluni necessari ripensamenti, primo fra tutti il modo di rapportarsi con la società civile, a cui sono chiamate le classi dirigenti, siano esse quelle attuali, se adeguate al compito, che quelle future da costruire sulla base di una rinnovata e rigorosa etica pubblica, fondata sul principio di responsabilità e non solo sulla retorica della rappresentanza.
Ma il 2011 è anche l'anno della cosiddetta “primavera araba”, che ha visto scendere in piazza milioni di cittadini - soprattutto di giovani - di un'area che appariva assolutamente impermeabile al nuovo, anestetizzata da regimi autoritari e incapace di generare movimenti di massa autonomi rispetto anche ai valori tradizionali. E' stato sorprendente, e ancora non adeguatamente interpretato, l'improvviso emergere di movimenti che sono riusciti a spazzare via regimi immobili e poco democratici, o a forzare i governi per l'adozione di nuove regole democratiche in stati che fino ad allora le disconoscevano. Tutto questo ha infranto la tradizionale icona di un mondo arabo immobile e diverso dall’effervescenza delle comunità occidentali, e ne ha rilanciato la funzione e riconfigurato – anche se ancora in modo contraddittorio – le politiche.
Non sappiamo quali saranno gli esiti successivi, e se il vento della democrazia riuscirà a spiegare le vele del nuovo Mediterraneo dei popoli. Se, ad esempio, il potente richiamo delle tradizioni ricondurrà sui consueti binari le varie emergenze o se invece queste ultime, come sta avvenendo in Marocco, porteranno ad esiti insospettabili, cioè alla nascita di un mondo arabo che, pur custode della propria cultura, accolga il valore della laicità e della democrazia come fondamenti per il futuro. Siamo convinti però che quando i popoli si mettono in marcia, il ritorno indietro appare molto difficile. Ed è innegabile l'insorgere di un Mediterraneo 2.0 che passa anche dall'accesso alla rete, dalla cooperazione, dall'abbattimento di barriere e dalla condivisione di ambizioni.
Le novità del mondo arabo, naturalmente, hanno avuto una ricaduta sull'Europa. L'esodo biblico che investe le nostre coste e che impone l'adozione di politiche d'accoglienza adeguate di cui l'Unione Europea deve essere il principale attore, ne è la manifestazione più eclatante. L'UE e l'Italia, come il territorio che sta sopportando il peso maggiore dell'emergenza, seppure distratte dal baratro economico verso cui stanno andando, devono spingere per la ripresa di quelle iniziative mediterranee che si sono interrotte bruscamente a causa delle non sempre attente politiche dall'allargamento, vissuto più come una necessità economica che come un’opportunità politica.
Un nuovo Trattato di Barcellona e una nuova Agenda di Lisbona devono mettere a punto una risposta seria per fare del Mediterraneo non solo un luogo di preziose materie prime, produzione a basso costo, consumi e scambi economici ma anche un luogo di integrazione socio-culturale: nuovo centro nel riposizionamento dei poteri, delle leadership e degli attrattori. Riattingendo alla sua storia millenaria il Mediterraneo deve tornare un grande mercato - nel senso positivo del termine - di beni e servizi, di idee e tensioni etiche, di visioni politiche e di ambizioni sociali. Un grande mercato in cui scambiare non solo beni materiali, ma capace di riconnettere in un grande progetto politico i “capitali reali” che potranno alimentare un nuovo modello di futuro: il capitale territoriale delle qualità, il capitale culturale delle identità, il capitale umano delle capacità, il capitale sociale delle comunità, il capitale produttivo delle competitività e il capitale finanziario delle fiscalità. Ognuno di questi capitali ha una potenza formidabile ma solo la loro cooperazione può generare quel potente impulso che potrà far riemergere il Mediterraneo come nuovo centro politico, culturale e sociale in uno scenario in cui la forza propulsiva degli Stati Uniti è in declino - e il recente downgrading del rating del debito pubblico è un segnale potente -, in cui la potenza economica della Cina ha le gambe fragili per l’assenza di democrazia e in cui l'Europa torna a manifestare sterili egoismi nazionali.
“Reimmaginare il capitalismo” è la parola d’ordine che attraversa il mondo dopo l’appello lanciato dalla sinistra liberale americana sulla rivista The Nation (2011). Un appello per ridisegnare un “capitalismo democratico” nell’era del fallimento dei suoi protocolli finanziari, per produrre un cambio radicale di priorità, regole e valori che siano in grado di alimentare un "nuovo umanesimo" che sappia guidare l’economia. Nel dibattito globale generato dallo tsunami finanziario e dal progressivo downgrading dei bilanci degli Stati, vissuto come un vero e proprio crollo di affidabilità della politica – come titola The Economist – reso ancora più drammatico dal fitto intreccio di produttori e possessori di debiti pubblici e risparmi privati, il Mediterraneo può essere in grado di proporre un modello di futuro. Un nuovo capitalismo con meno finanza, meno diseguaglianze, meno ingiustizia sociale. Un nuovo modello di capitalismo meno distruttivo e più centrato sui bisogni dei cittadini, capace di agire sul benessere dovrà essere non solo immaginato, ma anche reso concreto, tradotto in opzioni politiche e in decisioni organizzative, si deve trasferire alle forme di governance, si deve tradurre in modelli produttivi e deve riallineare l’etica pubblica con i comportamenti privati.
Affrontare il modello di sviluppo del Mediterraneo attraverso una revisione dei suoi capitali significa parlare in maniera concreta delle sue risorse naturali e dei suoi patrimoni culturali, di nuovi distretti produttivi transnazionali e di filiere di cooperazione industriale, del ruolo innovativo delle città e della modulazione dei regimi fiscali. Agricoltura e Paesaggio, Beni culturali e Turismo, Energia e Trasporti, Formazione e Città sono le risorse che il Mediterraneo offre e che vanno coltivate esaltandone le specificità e confortandole con quelle innovazioni di carattere tecnico o di mercato che la ricerca può offrire. L'Italia, che potenzialmente ha tutte le caratteristiche per candidarsi a leader del nuovo mercato, può e deve giocare un ruolo decisivo, accelerando l’innovazione dei processi, attingendo alle proprie esperienze ed eccellenze, mettendo in gioco quelle risorse che, potenziate dalla sfida con il Mediterraneo, potranno consentire il superamento della crisi, sconfiggendo il pericolo del default non con interventi palliativi ma con un rafforzamento del metabolismo del paese. E poiché Filaga è Sicilia e, nel pensiero del suo fondatore, è alla Sicilia – ombelico del Mediterraneo da cui interrogare il futuro – che bisogna riferirsi, interrogandosi su quale debba essere il suo ruolo, chiedendosi se la sua speciale condizione di autogoverno sia un ostacolo o un valore, e indagando su quali debbano essere gli strumenti per metterlo in circuito virtuoso. La risposta è decisiva e condiziona la vita di noi tutti cittadini siciliani, allo stesso modo qui a Filaga, come negli anni passati, con l'impegno e la collaborazione di tutti, vogliamo aggiungere il nostro contributo di formazione e partecipazione, di idee e riflessioni, di diagnosi e soluzioni.
I temi di Filaga 2011
A che punto è la globalizzazione? Perché è forte la domanda di protezione, di una nuova regolazione pubblica del mercato?
Gli effetti recenti di una globalizzazione dei mercati senza un'adeguata internazionalizzazione delle regole e dei poteri di controllo ha mostrato con evidenza la fragilità di un modello di sviluppo basato su una convergenza di interessi essenzialmente egoistici. Il capitalismo globale si è trasformato in un saccheggio globale, un neocolonialismo brutale che ha deformato culture, appiattito differenze, anestetizzato democrazie. Abbiamo assistito ad uno sviluppo "dopato" dai flussi finanziari generati dal mercato globale che hanno nascosto le vere capacità dei territori di produrre sviluppo reale: ad un modello di sviluppo locale selettivo è stato sostituito un modello bulimico che ha eroso risorse e ridotto opportunità. Alla capacità regolatrice della "mano invisibile" del mercato è stata sostituita la mano invisibile dei mercanti, che ha lavorato sulle redditività prodotte dai disequilibri di costi, di manodopera, di regole. Alla capacità strategica della politica è stata sostituita la volontà degli agenti di sviluppo che hanno impacchettato le risorse locali in progetti che assomigliano ai "derivati" che hanno distrutto l'economia reale. Oggi invocare il potere regolatore delle istituzioni pubbliche - anche transnazionali - e il primato della politica non vuol dire tornare indietro, ma significa completare il processo di globalizzazione agendo preventivamente sulla introduzione di sensori ed antidoti e non inseguendo le volontà dei mercati o le arroganze dei rating che nella prassi recente hanno sostituito le volontà, le aspirazioni e le ambizioni delle generazioni future.
Tra federalismo virtuoso e federalismo avvelenato. Stare insieme malgrado le differenze a 150 anni dall’unità d’Italia.
Da un lato le celebrazioni dell'Unità in un rinnovato spirito patriottico e dall'altro le tensioni disgregatrici dettate dalla paura hanno riportato sulla scena politica, ma non ancora nell'agenda, le ragioni della costruzione di una Nazione delle differenze virtuose piuttosto che delle omogeneità eterodirette. Allo stucchevole dibattito sulle ragioni del divario tra Nord e Sud, alla ricerca di motivazioni che ne consolidino le distanze in una inutile ricerca di compensazioni, si va sostituendo - non senza difficoltà - la diagnosi politica su un modello di Italia federale che non si accontenti di cristallizzare le differenze e di alimentare gli egoismi, ma che si interroghi sulle risorse locali, sulle conseguenti responsabilità nel metterle in azioni e sulla costruzione di un nuovo welfare cooperativo e non meramente redistributivo. Il Mezzogiorno deve mutare prospettiva, da una visione periferica e nostalgica deve assumere la sfida di un federalismo dinamico che sappia essere da competizione e non da regolamentazione.
Una nuova politica per il Mezzogiorno deve proporre al Paese il suo ruolo di motrice della crescita dell’economia nazionale, rialimentando la spinta propulsiva impressa dal Nord e oggi anch’essa in declino. Il Mezzogiorno deve avere un progetto consapevole per essere una tra le più importanti piattaforme culturali, logistiche e produttive dell’Europa, agendo anche come leva dell’integrazione euromediterranea e capace anche di intercettare i flussi e le economie della green economy, non solo promuovendone l’innovazione, ma anche riproponendone la tradizione. Il progetto per il Mezzogiorno deve recuperare il suo anelito strategico, la sua anima unitaria e la sua passione integrativa, contribuendo a compensare un federalismo frammentario con lo sviluppo di una nuova identità nazionale. Le politiche per il nuovo Mezzogiorno devono essere in grado di provocare un nuovo “contratto sociale” nel quale un principio di giustizia e di cooperazione sia in grado di reggere l’insieme societario, orientando al contempo la convivenza civile.
La rivolta araba e l’emergenza immigrati: rischi ed opportunità per i territori del nostro paese.
Le rivolte, non sempre o non ancora rivoluzioni, che stanno agitando la "primavera araba" offrono una sfida non solo interna a regimi considerati immutabili e spesso rispettati solo per interessi nazionali, ma soprattutto esterna nei confronti di un'Europa che dopo aver fatto dell'abbattimento delle barriere uno slogan fondativo si ritrova a volerne erigere di nuove di fronte ad un massiccio flusso di migranti, vissuti più come emergenza che come opportunità. Naturalmente i flussi migratori inter-mediterranei possono essere una preziosa opportunità demografica, produttiva, culturale solo se regolati, solo se componenti di una politica dell'accoglienza e dell'integrazione che sfugga al duplice rischio della paura da un lato, e della benevolenza all'altro. Un movimento di centinaia di migliaia di persone, di rifugiati, di giovani, di laureati, insieme a clandestini, criminali e disperati non può essere affrontato in maniera aggregata, lasciato solo alle forze di polizia, ma deve essere sottoposto alla politica: dovrà entrare, soprattutto per l'Italia, nell'agenda della coesione sociale e del nuovo welfare, ma anche della competitività e della formazione, diventando una questione strutturale e non meramente emergenziale. La società multietnica e interculturale va vissuta con la maturità di prevederne i rischi di aggravio in un paese che sta rialimentando i razzismi interni, ma anche di coglierne rapidamente le opportunità per il mercato del lavoro, per la costruzione di scambi, per l'internazionalizzazione della formazione.
Crisi globali e capitali da rivalutare: l’agricoltura, la pastorizia, la medicina di qualità integrata coi servizi alla persona, il turismo culturale e sostenibile, la cantieristica e la logistica.
La crisi globale che come un fiume carsico riemerge con sempre maggiore violenza, il default degli Stati dopo quello delle banche, il downgrading della politica dopo quello delle imprese ci richiedono una riflessione sul modello di sviluppo che se da un lato si deve interrogare sulla riduzione della società dei consumi verso una rinnovata società della produzione, dall'altro lato ci impone di rivedere su quali "capitali" si dovrà fondare un nuovo mercato più democratico. Al capitale finanziario, sovrano di una economia delle bolle speculative, dovranno essere affiancati capitali di maggiore solidità, radicati nei territori di origine, componenti del nuovo genoma dello sviluppo. E nel laboratorio di questa ricomposizione del codice genetico del capitalismo del XXI secolo l'Italia dovrà portare in dote i suoi capitali identitari: il territorio rurale intrinsecamente connesso con la produzione del paesaggio, la ricerca scientifica connessa alla salute ed alla qualità della vita, il patrimonio culturale e ambientale come fattore di attrattività e matrice di sviluppo, le porte di accesso di persone e merci e la gestione integrata della nuova logistica del Mediterraneo. Questa dotazione, tuttavia, rischia di restare potenziale se non concretizzata da adeguate politiche di settore e di sistema. Perché possa esercitare il suo valore, chiede una visione selettiva, impone una capacità di integrazione di settori e filiere, chiama ad una governance multilivello che stemperi gli egoismi locali. Altrimenti il rischio è che i nostri capitali rimangano congelati in un'eterna aspettativa e non entrino mai nel gioco attivo delle opportunità, nel confronto con altri paesi, nella sfida delle loro performance.
Ripartire dalle città: una nuova politica per un’exit strategy creativa da un sistema in crisi.
Viviamo nel secolo urbano, dominato dalle grandi metropoli e dal successo planetario della città come condizione prevalente della vita sociale. Ma il successo del modello politico, economico, culturale e simbolico della vita urbana, rischia di trasformarsi in un periodo di dissipazione delle componenti essenziali dell'essere città. A vincere, infatti, nell’evoluzione accelerata delle agglomerazioni urbane, nelle megalopoli create da inarrestabili migrazioni interne, nelle città diffuse prodotte dal decentramento selvaggio delle funzioni centrali, sono spesso le spinte antiurbane: l'anticittà si insinua nella città. L’anticittà non è un tumore da estirpare, ma è un’energia profonda e apparentemente pacifica, che non si contrappone alla città, ma piuttosto la erode dall’interno. Senza grandi gesti, muovendosi pervasiva e spesso invisibile dentro i meccanismi di riproduzione dello spazio urbano contemporaneo; ne inquina l'identità, ne allenta le connessioni, ne logora i nodi e ne compromette il metabolismo. Interrogarsi sul ruolo delle città come motori dell'innovazione, propulsori delle identità e alimentatori creativi dello sviluppo diventa quindi non solo una necessità analitica, ma connota la sfida che attende le nuove classi dirigenti. Soprattutto in un'Europa che, pur vedendo indebolito il ruolo degli Stati nazionali, incapaci di costruire una rete di salvaguardia alla crisi che sta erodendo le conquiste degli ultimi anni, non riesce a riattivare le politiche urbane che ne hanno connotato gli anni della fondazione: è stata la rete delle "Città Urban" a costruire la prima vera unificazione politica attraverso i Sindaci prima che i Banchieri prendessero il sopravvento. L'armatura urbana in Europa, ma anche le città-stato dell'Africa mediterranea, costituiscono oggi una sfida per ricostruire un "patto dei sindaci" che non si limiti alla sostenibilità energetica e ambientale, ma che ambisca ad una sostenibilità sociale e culturale che ricostruisca il patto di sviluppo tra capitali territoriali, capitali sociali e capitali produttivi. Le città costituiscono potenti commutatori dei flussi di capitali che le attraversano a patto che ne sappiano intercettare le energie e le sappiano trasformare in progetti di qualità, in un rinnovato welfare urbano, in risorse creative per lo sviluppo. Città plurali, responsabili, policentriche e reticolari sono oggi le sfide che attendono urbanisti e amministratori, attori e regolatori alla ricerca di un efficace antidoto al progressivo rallentamento del metabolismo urbano, spesso produttore di scorie e metastasi piuttosto che di linfa vitale.
Scenari siciliani tra vento del Nord e scirocco del Sud. Difendere il territorio e governare le città. La proposta della Libera Università della Politica.
Nella sua tradizione pluriennale e nella lucida ed ancora attuale visione del suo fondatore, padre Ennio Pintacuda, lo stage di Filaga non è solo un luogo del pensiero laico, un "porto franco" della formazione e riflessione politica, ma è soprattutto un laboratorio dove l'analisi si fa diagnosi, dove gli scenari si riempiono di soluzioni concrete, dove le visioni si traducono in azioni. Ma soprattutto Filaga cerca di prefigurare le soluzioni a problemi che non sono ancora stati messi a fuoco dalla riflessione istituzionale, predisponendo la realizzazione di proposte prima che l'emergenza droghi la decisione. Al vento che proviene dal Nord e allo scirocco del Sud alcuni oppongono un contrasto che si limita ad erigere muri che ne blocchino la violenza e l'impeto, noi abbiamo l'ambizione di ritenere che al vento si risponde con i "mulini" dello sviluppo, incanalandone l'energia in un progetto, sfruttandone l'impeto e regolandone l'intensità, ma soprattutto trasformandolo in forza motrice dello sviluppo locale. Uno sviluppo locale che accetti la sfida della globalizzazione democratica, che non crei recinti ma anche che non diluisca le identità in una indifferenziata omogeneità. Difendere i capitali territoriali e governare i capitali urbani sono le sfide per il Paese in un'ottica che guardi ai valori, alle nuove generazioni, alle sapienze consolidate e ai talenti in formazione. Le giornate di Filaga discuteranno di queste sfide non sottraendosi ad una proposta che non sia frutto di ideologie obsolete o di pregiudizi sterili. Il terreno del futuro della Sicilia deve essere arato con nuovi strumenti e seminato con sementi di qualità, protetto dai venti ma anche alimentato dalla volontà della speranza. Filaga intende esortare i protagonisti di oggi e i leader di domani a declinare i temi proposti a partire dalle tesi, ad individuare le priorità, ad definire le agende della politica, dell’economia e della società per rilanciare un “patto di futuro” per il Mediterraneo.

Quel tesoro punico restituito dai fondali di Cala Tramontana

di Lillo Miceli
Pantelleria - Recuperate 3.418 monete bronzee, forse disperse durante una battaglia
Non credevano ai loro occhi, gli archeologi e subacquei che stavano lavorando al progetto per la valorizzazione dei siti sommersi al largo di Cala Tramontana, a Pantelleria, quando accidentalmente hanno scoperto un vero e proprio tesoro: 3418 monete puniche di bronzo adagiate sulla sabbia del fondo marino. E' stato un piccolo bagliore ad attrarre l'attenzione del ricercatore Francesco Spaggiari, prima una moneta, poi un'altra e poi tante altre ancora. Lo stupore è stato grande perché non si tratta di un ritrovamento qualsiasi, ma di uno dei più importanti di età punica.
«E' stata un'autentica sorpresa», ha detto l'architetto Giovanni Di Fisco, direttore del progetto finanziato da Arcus Spa e realizzato dal consorzio Mediterranea Engineering, Ares e Cala Diving. «Da giugno - ha aggiunto Di Fisco - lavoriamo alla creazione di itinerari archeologici subacquei nella cala, ad una profondità compresa tra i 15 e i 22 metri. Sapevamo della presenza di reperti, anfore e ceramiche soprattutto, ma non immaginavamo di trovare un tesoro. All'inizio erano solo 600 monete, poi giorno dopo giorno, sono diventate più di tremila. Probabilmente, sono state disperse durante un evento bellico».
Le monete ritrovate da Spaggiari, hanno tutte la stessa iconografia: su un lato la dea Tanit con la testa rivolta a sinistra e l'acconciatura sostenuta da una corona di grano e sull'altro una protome equina (testa di cavallo), rivolta verso destra e affiancata da simboli (una caduceo e una stella). Sono monete molto diffuse, coniate tra il 624 e il 241 a. C., anni in cui i romani completavano la conquista della Sicilia, con Pantelleria ultimo baluardo cartaginese.
«Il fatto che si tratti di monete uguali, ci fa pensare a un pagamento istituzionale - ha sottolineato Leonardo Abelli, direttore scientifico del progetto -. Se si fosse trattato di un pagamento frutto di un commercio, i tagli delle monete sarebbero stati differenti. Lo sfondo che si può ipotizzare è quindi quello di una nave cartaginese di stanza a Pantelleria, pronta a salpare alla volta della Sicilia con un carico importante di monete che servivano a finanziare la missione antiromana presso i partiti punici dell'Isola».
Le ipotesi sui reperti ritrovati, il contesto di Cala Tramontana e la distribuzione territoriale del potere durante la seconda guerra punica, saranno i temi del convegno: «I tesori archeologici di Cala Tramontana», che si terrà domani al Castello di Pantelleria, organizzato da Arcus Spa, Mediterranea Engineering, Ares e Cala Levante Diving.
Il progetto è piuttosto suggestivo: creare dei percorsi archeologici sottomarini dopo avere ripulito, catalogato e ricollocato laddove sono stati scoperti i reperti restituiti dal mare. Un museo subacqueo con un percorso affascinante, nel pieno rispetto della natura. Saranno organizzate visite guidate per esperti sub che dovranno scendere anche oltre i venti metri di profondità.
Ma per consentire a tutti la possibilità di apprezzare le bellezze archeologiche sottomarine, la seconda parte del progetto, che dovrebbe finanziare Arcus Spa (società che fa capo al ministero delle Infrastrutture ed a quello ai Beni culturali), prevede la possibilità di collocare delle telecamere sott'acqua che invieranno le immagini su grandi schermi. Il visitatore virtuale avrà la possibilità di guidare il percorso grazie a specifici comandi.
Ovviamente, nella posa delle telecamere e dei cavi i tecnici avranno cura di non alterare l'ambiente marino. Telecamere che, oltre a consentire l'immersione virtuale, daranno la possibilità di vigilare su eventuali intrusioni di predatori ed eventuali inquinamenti.
La Sicilia, 12/08/2011

mercoledì 10 agosto 2011

Mineo, un inferno a cinque stelle

Il Centro di Mineo
di Antonio Mazzeo
Un posto letto in villette ben arredate, i campi da tennis e di football, i prati all’inglese, pasti abbondanti tre volte al giorno, la disponibilità di acqua potabile a tutte le ore. Sino a sei mesi fa era il residence di lusso dei militari Usa in forza alla base di Sigonella. Oggi, il Villaggio degli aranci di Mineo (Catania) ospita il più ambizioso dei programmi di “solidarietà” berlusconiani, il Centro di accoglienza (Cara) per circa duemila richiedenti asilo, donne, uomini e bambini scampati miracolosamente agli orrori delle guerre e alle dittature. L’idea del governo è semplice: concentrare in una struttura confortevole tutti i rifugiati dopo averli prelevati manu militari dalle località dove hanno vissuto sino ad oggi nell’attesa di ottenere asilo in Italia. Gli standard di Mineo non sono comparabili certo con quelli delle ex caserme riconvertite in Cara, ma bastano un paio di giorni di permanenza nella torrida piana etnea per rendersi conto che anche l’inferno può essere a cinque stelle.
Il tempo nel centro è scandito da turni e file, in coda per mangiare, per telefonare (solo tre minuti al mese), per fare internet (cinque minuti), per uscire – solo dopo le 8 di mattina - e rientrare – non oltre le 8 di sera - dai cancelli che segnano il confine tra l’oasi del Cara e il deserto di sassi e polvere che si perde a vista d’occhio. Il centro abitato più vicino è quello di Mineo, 11 Km, più distante (25 km), Caltagirone. Chi voleva doveva arrivarci a piedi; adesso sono attivi i bus navetta, ma costano 2 euro A/R per Mineo e 4,5 per Caltagirone e i richiedenti asilo, a differenza di quanto avviene in tutti gli altri Cara d’Italia, non percepiscono alcun contributo economico e devono pagarsi pure le schede telefoniche per parlare con i familiari. La gestione del centro è stata affidata per trattativa privata alla Croce Rossa italiana. Dall’1 agosto, forse, subentrerà la Protezione civile con servizi da subappaltare a cooperative e onlus locali. Sperando che non si ripeta quanto avvenuto in aprile, quando uno stretto congiunto del boss mafioso locale, Rosario di Dio, ottenne un breve incarico per la rivendita di sigarette e schede telefoniche all’interno del Cara.
“Mineo è un centro di segregazione, un esperimento di nuove politiche di detenzione dei migranti”, denuncia la Rete Antirazzista Catanese, promotrice di una campagna per la sua chiusura immediata. “L’area è ipermilitarizzata, ci sono doppie recinzioni e telecamere, un centinaio tra carabinieri, poliziotti e militari dell’esercito effettua controlli soffocanti e non mancano gli abusi. Di contro ci sono pochi mediatori culturali, niente giornali e tv, nessuna attività ricreativa e culturale. Il cibo non piace e nonostante gli alloggi siano dotati di cucine funzionanti, è proibita la preparazione di alimenti”.
L’insostenibilità del modello Mineo è denunciata pure da una ricerca nazionale sul sistema d’asilo condotta dall’ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione) in collaborazione con il Centro Studi Politica Internazionale, Caritas, Consorzio Communitas e Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa. “Il Centro di Mineo – scrive l’equipe di ricerca - per ragioni legate alla sua ubicazione e per il fatto di inserirsi quale corpo estraneo nel già fragile tessuto socio-economico, rappresenta una struttura ad alto rischio di involuzione verso una realtà-ghetto completamente isolata dall’esterno, dove possono facilmente prodursi gravi fenomeni di marginalità e degrado sociale”. Nonostante gli impegni del governo, il centro vive nella totale assenza di programmazione dei servizi, senza alcun collegamento con le amministrazioni locali. “La locale ASL, priva di risorse aggiuntive, difficilmente è in grado di rispondere efficacemente al proprio compito istituzionale di tutela sanitaria”, aggiungono i ricercatori. “Inoltre non è previsto il potenziamento dei servizi scolastici a fronte della nuova utenza (al 13 maggio 2011 risultavano presenti circa 80 minori con famiglie e 40 minori stranieri non accompagnati)”.
Senso di precarietà ed abbandono, sfiducia, solitudine, disperazione sono i sentimenti più diffusi tra gli “ospiti”. I più forti tentano di rimettersi in gioco, sperimentando la fuga verso la Francia o la Germania. Altri si accontentano di camminare ininterrottamente a ridosso del filo spinato come si fa in carcere durante l’ora d’aria. Altri ancora traducono rabbia e desiderio di libertà in legittime manifestazioni di protesta: per tre volte in meno di quaranta giorni, un centinaio di rifugiati ha occupato la carreggiata della superstrada Catania-Gela, sfidando la reazione delle forze dell’ordine. Il 20 giugno, dieci di loro sono stati costretti a ricorrere alle cure dell’ospedale per le contusioni prodotte dalla carica degli agenti. In molti invece soccombono. L’indeterminatezza della semidetenzione, la condizione di eterna sospensione tra l’essere e il non essere, di persona e non persona, possono condurre all’autolesionismo. Sette rifugiati hanno già tentato il suicidio all’interno del Cara, secondo quanto denunciato dallo staff di Medici senza frontiere che a Mineo sta portando avanti un progetto di salute mentale per 350 residenti.
Per l’alto numero di rifugiati ospitati e la cronica inefficenza delle istituzioni chiamate a riconoscere lo status di rifugiato si rischia di prolungare all’infinito il confinamento nel limbo-inferno di Mineo. La commissione territoriale competente per l’esame delle richieste d’asilo ha iniziato le audizioni solo il 19 maggio e riesce ad incontrare solo due persone al giorno per non più di due volte la settimana. A questo ritmo, per smaltire le pratiche relative ai duemila richiedenti, ci vorranno non meno di tre anni. Inoltre sono già stati pronunciati numerosi dinieghi e per un’intera comunità, quella dei pakistani del Punjab, le richieste sono state rigettate in blocco.
Paesi di provenienza dei richiedenti asilo del Cara di Mineo (aggiornato al 18 luglio 2011)
Afghanistan 160, Bangladesh 24, Burkina Faso 47, Ciad 18, Costa D’Avorio 133, Eritrea 116, Etiopia 49, Georgia 1, Ghana 136, Guinea 17, Iran 24, Iraq 11, Kenya 1, Libia 8, Mali 136, Niger 14, Nigeria 328, Pakistan 317, Senegal 54, Siria 1, Somalia 5, Sudan 36, Tunisia 6, Turchia 20, Camerun 7, Gabon 2, Liberia 5, Marocco 1, Mauritania 3, Guinea Bissau 2, Togo 37, Gambia 32, Sierra Leone 12, Benin 4, Congo 12, Egitto 2, Palestina 1.
Articolo pubblicato in Left Avvenimenti, n. 30 del 29 luglio 2011

domenica 7 agosto 2011

Partinico, bimba morta in ospedale, il padre accusa: non ho visto un medico

L'ospedale di Partinico
di ROMINA MARCECA

Ispezione della Regione, del caso si occupa anche la commissione parlamentare presieduta da Orlando. La piccola, 10 mesi, era stata portata a pediatria per problemi respiratori. E' morta dopo una seduta di aerosol in un ospedale già al centro di accuse e polemiche
LA PEDIATRA aveva rassicurato i genitori consigliando di portare la bambina al mare per farla riprendere da quei problemi respiratori. Michelle Agusta, invece, 10 mesi appena, poche ore dopo il ricovero nel reparto di pediatria a Partinico e dopo una seduta di aerosol, è morta. Sul decesso della piccola, l'ottavo caso negli ultimi due anni nell'ospedale del paese alle porte di Palermo, la Procura ha aperto un'inchiesta dopo la denuncia dei giovanissimi genitori e ha iscritto nel registro degli indagati il nome della pediatra, di due medici e di due infermieri dell'ospedale ribattezzato "della morte" per i decessi di neonati. "Mia figlia stava benissimo. L'abbiamo portata lì perché aveva un po' di catarro - dice il padre della bambina, Leonardo Agusta, operaio di 21 anni - Le hanno fatto tre aerosol in poche ore. Non ho visto alcun dottore, ma solo le infermiere di turno che eseguivano ordini dati al telefono. Michelle era la nostra prima bambina ed è morta tra le braccia di mia moglie. Chi ha sbagliato deve versare lacrime di sangue". Sott'accusa c'è un cortisone che sarebbe stato somministrato alla neonata con la terapia. Ma sarà l'autopsia, disposta dal magistrato di turno, a chiarire le cause della morte. Intanto l'assessore regionale per la Salute, Massimo Russo, ha disposto un'ispezione nell'ospedale per acquisire tutta la documentazione relativa al decesso. La prossima settimana Russo convocherà anche la direzione del presidio ospedaliero. Anche il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori e le cause dei disavanzi sanitari regionali, Leoluca Orlando, ha chiesto chiarimenti al direttore generale dell'Asp di Palermo, Salvatore Cirignotta. L'anno scorso l'ospedale di Partinico finì nella bufera per i sette neonati morti al parto in due anni nel reparto di ginecologia, che fu chiuso e poi riaperto dopo la nomina di un nuovo primario. La famiglia Agusta in pronto soccorso è arrivata alle 23,30 di giovedì. La bambina aveva difficoltà respiratorie. I medici hanno disposto il trasferimento nel reparto di pediatria, dove la neonata è stata sottoposta all'aerosol in cui sarebbe stato aggiunto il farmaco cortisonico. Al termine della terapia, la piccola, secondo quanto riferito dai genitori ai carabinieri, ha iniziato ad ansimare e a diventare paonazza. Infermieri e medici hanno attaccato la mascherina dell'ossigeno cercando di far riprendere la neonata, nell'ultimo disperato tentativo. Alle 5,30 di ieri il cuore della piccola Michelle ha cessato di battere.
La Repubblica, 6 agosto 2011

Cinque Agosto 1989: Nino Agostino, agente di Polizia

Nino Agostino
Fare memoria è un impegno, un dovere che sentiamo di dover rendere a quanti sono stati uccisi per mano delle mafie, un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta ma, prima ancora, verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di uomini e donne che vivono il proprio tempo senza rassegnazione. Per non darla vinta ai mafiosi e ai violenti di ogni risma, è necessario che nessuna vittima dell’ingiustizia diventi un nome senza storia. La storia dell'agente di polizia Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castellucci, incinta di una bambina, è certamente una delle più drammatiche ed oscure vicende della storia di un'Italia retta, allora come adesso, da poteri deviati e da un antistato che troppo spesso diviene Stato. Sulla morte di Nino Agostino non è ancora stata fatta luce ed i suoi assassini, insieme ai mandanti, sono a tutt'oggi uomini liberi esattamente come qualsiasi altro onesto padre di famiglia. Sul fascicolo relativo alle indagini sul suo assassinio è stato apposto quello che non si può esitare a definire "il sigillo della vergogna" ovvero il Segreto di Stato. Nino e Ida, quel giorno, si trovavano davanti alla villa di famiglia per partecipare al compleanno della sorella di Nino. Furono crivellati di colpi da due sicari in motocicletta sotto gli occhi dei genitori Vincenzo ed Augusta. Suo padre, Vincenzo Agostino, un anziano uomo che ha percorso qualsiasi strada pur di ottenere giustizia da quello Stato per il quale suo figlio Nino ha consapevolmente sacrificato la vita, ha promesso di non tagliare più la propria barba bianca fino a che non otterrà quello che gli spetta: giustizia per suo figlio, per la sua famiglia, per la nuora Ida e per sua nipote mai nata. Di recente, nel registro degli indagati in merito all'inchiesta sulla morte di Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci, è stato iscritto Guido Paolilli, poliziotto in pensione, indagato per favoreggiamento aggravato e continuato a Cosa Nostra. Il collega e amico di Nino Agostino che svolse le indagini immediatamente dopo la sua morte, fornì una pista che conduceva ad un "delitto passionale". In Sicilia questa è quasi una tradizione che, se non fosse perchè si tratta di omicidi, verrebbe a buon diritto inserita negli almanacchi di storia e cultura popolare; prima li ammazzano e poi li fanno passare per pazzi o puttanieri. L' iscrizione nel registro degli indagati è scattata in seguito ad una conversazione intercettata a marzo nella sua casa di Montesilvano a Pescara. Paolilli ed il figlio stavano ascoltando, su RAI UNO, Vincenzo Agostino, padre dell'agente, che in quel frangente citava le parole scritte su un biglietto trovato nel portafogli di Nino: "Se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”. Il figlio di Paolilli, chiedendo al padre quale fosse il contenuto dell'armadio, si sentì rispondere: "Una freca di carte che ho distrutto". Sul conto di Paolilli anche Vincenzo Agostino ha rivelato elementi interessanti: "un giorno Guido Paolilli, che era amico di mio figlio, insistette per venire con noi al cimitero. Incalzato dalle nostre domande sulle indagini, disse che la scoperta della verità non avrebbe fatto piacere. Disse pure che avrebbe fatto il possibile per mostrarci sei fogli". I sei fogli non sono mai stati mostrati alla famiglia Agostino, né ve ne è più traccia. Paolilli ha dichiarato che i sei fogli vennero sequestrati durante la terza perquisizione nell'appartamento di Nino Agostino. Negli atti della Squadra Mobile risultano però solo due perquisizioni. Un'altra incongruenza di non poco conto nelle dichiarazioni di Paolilli è quella relativa alle mansioni svolte. Paolilli ha dichiarato di svolgere servizio presso il nucleo scorte ma diversi suoi colleghi hanno asserito, smentendolo, che l'indagato svolgeva attività antimafia. Paolilli era persona di fiducia di Bruno Contrada ed ha testimoniato a sua difesa nel processo a suo carico. Si riferiva proprio a Paolilli l’agente Agostino quando disse ad un collega: "Sto collaborando con un amico per la cattura di latitanti"?. Ad oggi esiste un solo pentito che ha raccontato di questo omicidio: Oreste Pagano, il quale ha affermato "Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della Questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì". I servizi segreti italiani hanno sempre negato che l'agente Agostino abbia svolto servizio presso il SISMI ma la recente riapertura delle indagini sarebbe giustificata dal ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio della Squadra Mobile che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto tra le fila dei servizi segreti. Inoltre, una nota riservata del 1993 a firma del capo del centro di controspionaggio di Palermo alla prima divisione Sismi di Roma, testimonia il grande interesse dei servizi nei confronti dell'operato dei giudici inquirenti sulla morte del poliziotto: "Centro controspionaggio di Palermo. Riservato. Oggetto: riapre l’indagine sul delitto Agostino. Data 5 marzo 1993. Secondo quanto è stato possibile apprendere il gip titolare dell’inchiesta sarebbe in possesso di due memoriali consegnati dai familiari dell’Agostino e del Piazza che avrebbero indotto il magistrato a riaprire i due casi, unificandoli. Nei memoriali di cui sopra, acquisiti dal gip, pare che siano contenute affermazioni di una certa gravità in merito al noto episodio del rinvenimento di un ordigno esplosivo nell’estate del 1989 presso la villa all’Addaura del dottor Falcone". In Italia ormai è prassi avere due VERITA’: la verità giuridica (determinata dalle sentenze) e la verità “storica” (determinata da fatti certi ma che, per varie ragioni, non hanno portato ad una sentenza di condanna dei colpevoli). In questa Nazione esistono le vittime innocenti di mafia di “serie B”, i cui familiari spesso non hanno nemmeno il “diritto” di conoscere la verità storica perché essa si può avere forse, soltanto, se a chiederla sono la maggioranza dei cittadini (“se l’Italia tutta chiederà la verità lo Stato non potrà sottrarsi a questa richiesta” A. INGROIA). La ricerca della verità, in uno Stato di diritto, dovrebbe chiamarsi “INTERESSE NAZIONALE”, qui invece, dove la giustizia è diventata un lusso per pochissimi eletti, l’OMERTA’ DI STATO è la realtà che fronteggiano giornalmente queste famiglie abbandonate e, che si vorrebbe, relegate al silenzio. A febbraio 2011 è partita una petizione per togliere il “segreto di stato” sul caso VOLTA A SCOPRIRE TUTTA LA VERITA’; ad oggi hanno firmato poco più di 1.500 persone.
Benedetto Randazzo