di SALVATORE FALZONE L´idea era di farne un sanatorio di lusso, ma una commissione di inglesi lo sconsigliò. Il Fai celebra l´anniversario del Grand hotel di Palermo.
C’era una volta - e mai ci fu - un sanatorio di lusso sul mare, all´Acquasanta, dove curare i polmoni alto-borghesi di mezza Europa. Comincia così il romanzo del grande albergo palermitano, mitico già nel nome, mito abitato da miti, che tra alti e bassi, anno dopo anno, ha attraversato il Novecento e ancora oggi è qui con l´imponenza supponente di chi ha visto la storia con gli occhi: Villa Igiea. Reggia borghese della famiglia siciliana più famosa della Belle Epoque, salotto chic della bella società che credeva nel progresso, superbo rifugio dell´intellighenzia internazionale, cornice liberty di mille storie e mille avventure, castello di passioni infuocate e feste che finivano all´alba. Night negli anni Cinquanta, tutto smoking e balli, auto da sogno e panfili, e tanti artisti, scrittori, registi, attori, massoni, whisky a fiumi e sigari pregiati, flash e donne impellicciate, in posa sugli scaloni, tra specchi e dipinti, inseguite sulle terrazze che sfumavano verso il mare con finte rovine.Il tempio dedicato alla ninfa della Salute fu inaugurato il 19 dicembre di centodieci anni fa. E l´anniversario sarà festeggiato domenica con un incontro organizzato dalla Fai di Palermo cui prenderanno parte gli studiosi Francesco Amendolagine, Eliana Mauro ed Ettore Sessa. Qualche anno prima di quel 1900, il professor Vincenzo Cervello, famoso medico e sperimentatore palermitano, si era convinto di guarire i malati di tubercolosi con cure nuovissime e nello stesso tempo di realizzare un sanatorio popolare, oltre che un laboratorio chimico e farmaceutico. Ne parlò con l´amico Ignazio Florio junior, che non ci pensò due volte a uscire i quattrini e a creare una società ad hoc, con un capitale di un milione di lire.
L´armatore comprò l´area del parco neoclassico dell´illuminista massone principe di Belmonte, compresa la villa in stile neogotico di proprietà degli eredi dell´eccentrico ammiraglio Cecil Downville, che ne aveva fatto un singolare rifugio d´amore. Quel pezzo di Sicilia incontaminata, tra le pendici del Monte Pellegrino e la scogliera dell´Arenella, era solcato da una sorgente con straordinarie capacità organolettiche (non a caso sfruttata dai fratelli Pandolfo che nel 1871 avevano aperto il primo stabilimento di bagni minerali). Lì doveva sorgere Villa Igiea, stazione climatica dove purificarsi lo spirito e il corpo, impresa che doveva servire anche a sovvenzionare la clinica popolare. Il progetto venne affidato a Ernesto Basile, che stava lavorando alla costruzione del villino Florio all´Olivuzza.
E partirono i lavori. Ma poi arrivò una commissione di medici inglesi - era l´estate del 1899 - e del sanatorio non se ne fece più nulla. Secondo loro i committenti non ce l´avrebbero spuntata: l´intento umanitario era nobile ma poco remunerativo, meglio trasformare il complesso in un casinò come quello di Montecarlo. Era il periodo del boom delle terme e dei Grand Hotel. Così Ignazio Florio, che era il maggiore azionista, decise di modificarne la destinazione d´uso.
«Rimasero al loro posto - spiega Sessa - tutti gli accorgimenti di ingegneria sanitaria consigliati da Cervello e progettati da Basile, dalla ventilazione al riscaldamento, dalla pendenza delle scale ai montacarichi».
Ma la medicina fu sostituita con la mondanità e con il turismo di lusso. E nacque il più rinomato albergo dell´Italia meridionale, severo negli esterni, magnifico all´interno, con la sala da pranzo progettata per ospitare gli affreschi di Ettore De Maria Bergler e i manufatti mobilieri di Ducrot. All´inaugurazione partecipò la crème dell´alta società internazionale dell´epoca. Erano presenti anche gli inviati del Figaro, del New York Times, del Daily Mail, del Koelnische Zeitung, del Corriere della sera e di numerose altre testate, compresa ovviamente L´Ora fondata da Ignazio nell´aprile dello stesso anno.
Dopo quella sera si susseguirono i capitoli di un romanzo lungo un secolo (svelato qualche anno fa da Amendolagine, autore di un pregiato volume edito da Sellerio). Nel 1903 nacque il club dell´hotel, il Cercle des Etrangers con sale da gioco e da ballo. Nel 1907 arrivarono in pompa magna i sovrani d´Inghilterra. Poi fu la volta del sultano di Zanzibar coronato da un turbante da Mille e una notte. La slava Sminorva fece perdere la testa a centinaia di corteggiatori, a cominciare dal tenente de Bosis che l´ammirava, mentre lei prendeva il sole, sorvolando la spiaggia con l´aereo:, lei lo salutava con la mano, lui andò a schiantarsi sugli scogli e morì. Arrivò il re del Siam, Paramandra Maha Chulalongkom, piccolo tozzo e baffuto. E poi Giolitti, Marinetti, Marconi. Mussolini nel 1924, fu ospite di Giuseppe Lanza di Scalea. E i sovrani di Grecia, del Belgio, di Spagna e Romania. Ma con la grande guerra tramontò la Belle èpoque palermitana e nessuno suonò più il can-can.
Gli anni Trenta furono più noiosi, i camerieri rimpiangevano le mance di un tempo, le feste dei gerarchi in camicia nera non erano poi così divertenti. Scoppia la seconda guerra mondiale: arrivano i tedeschi prima e gli americani poi (bevevano come spugne e vestivano male) e l´albergo subì profonde trasformazioni. Solo il Salone Basile rimane inalterato. Gli ospiti? Ricchi inglesi, svedesi, danesi che venivano a svernare in riva al mare. Ma anche musicisti, archeologi, antiquari, esiliati. E arrivò il dopoguerra con gli yankees, gli svizzeri e certi agiati rentiers nordeuropei che stringevano amicizia con i tromboni e i viveur del luogo.
Era bizzarro il mondo di Villa Igiea: allora, il direttore aveva un nome tedesco, Helmann, ma era di Genova, il barman era malato di gioco e inventava cocktail dalla mattina alla sera, un certo Burnus, americano gigantesco, passeggiò per giorni scalzo in attesa di un calzolaio: gli avevano rubato tre paia di scarpe numero 50.
Proprio come gli anni che a Villa Igiea portarono di nuovo sfarzosi gala. Italoamericani con orribili giacche a quadri, signore vestite da Pucci e Dior, uomini in giacca bianca. Flora Volpini, l´autrice del bestseller "Fiorentina" veniva lisciata da tutti, Greta Garbo faceva il bagno con la sua classe inconfondibile, Ranieri di Monaco accompagnato dalla bellissima Grace Kelly, la Callas prendeva il sole, Onassis beveva da solo al bar e non rideva mai dietro gli occhiali neri. Approdò il grande cinema: prima Rossellini con in mano menu e carte di vini (doveva girare un film su Garibaldi e il Risorgimento), poi Claudia Cardinale, Alain Delon e Burt Lancaster (camera 237) nel 1962 ai tempi del "Gattopardo", Alberto Sordi insieme a Senta Berger per "Il mafioso" (Sordi trangugiava angurie tutto il giorno), Paul Newman, Kirk Douglas abbracciato con Irene Papas (Ulisse cinematografico lui, Penelope televisiva lei), Gina Lollobrigida, Sophia Loren ospite durante le riprese del "Viaggio" (la scena finale, quella della morte del personaggio, venne girata nella decadente Sala Segesta), Richard Burton sempre ubriaco sul suo yacht ancorato davanti alle terrazze.
Negli anni Settanta scese anche De Sica, che rimase affascinato dalla decadente malinconia dell´albergo. Siamo ai giorni nostri: Benigni gira una scena di "Johnny Stecchino" nel Salone Basile. A fine anni Novanta sbarcano Gustavo VI di Svezia, Beatrice d´Olanda, e Juan Carlos di Spagna con la regina Sofia, ultime teste coronate ad approdare a Villa Igiea. L´anno dopo toccherà a una regina senza corona, la first lady Hillary Clinton. I Florio non ci sono più, il Novecento è finito, ma c´è ancora il Grand Hotel che doveva diventare sanatorio.
La Repubblica-Palermo, 17.12.2010
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