martedì 16 giugno 2009

MESSINA DENARO. Il boss, lo scrivano e le veline

Ritratto del latitante trapanese che ha ereditato i segreti di Riina e Provenzano. Unico indizio della sua presenza, i pizzini ritrovati. E qualche favoreggiatore davvero poco discreto
di Salvo Palazzolo
L’ultima volta che l’hanno visto correva in Porsche verso il lido di Marina di Selinunte. Foulard al collo, pantaloni Versace e rolex Daytona. Era il 1993, l’anno delle bombe di mafia a Firenze, Milano e Roma. Da quei giorni insanguinati Matteo Messina Denaro sembra essere scomparso nel nulla. Oggi ha 47 anni ed è ritenuto il nuovo capo di Cosa Nostra siciliana: “Perché ha ereditato i segreti dei Corleonesi”, sostiene il pentito Nino Giuffrè. Ovvero, l’archivio di Totò Riina e i rapporti politici di Bernardo Provenzano. “Quei segreti – prosegue Giuffrè – continuano ad essere per chi li detiene una formidabile arma di ricatto, ma anche la chiave che custodisce i tesori di Cosa nostra”.Unico indizio della sua presenza, i pizzini. Come fu per Bernardo Provenzano. Matteo Messina Denaro continua a governare così la mafia del terzo millennio: dispensando ordini e massime di vita criminale attraverso piccoli foglietti di carta che viaggiano per la Sicilia, e anche all’estero (ne sono convinti gli investigatori), attraverso i soliti fidati postini. “Io non andrò mai via di mia volontà”, assicura lui in uno dei biglietti ritrovati dalla squadra mobile di Trapani: “Ho un codice d’onore da rispettare. Lo devo a Papà e ai miei principi. Io starò sempre nella mia terra fino a quando il destino lo vorrà e sarò sempre disponibile per i miei amici”.Il “destino del mafioso” è un concetto che ritorna. Al giovane Sandro Lo Piccolo, latitante a 25 anni, Messina Denaro scriveva: “ Mi dispiace le condizioni in cui ti trovi, so cosa vuol dire perché anche io ho cominciato da giovane, ed ormai sono passati tanti anni, capisco che la gioventù vorrebbe essere passata in altri modi, ma purtroppo un uomo non può cambiare il suo destino. Un uomo fa quel che può fino a quando il suo destino non si compia, l’i mportante è vivere tutto con serenità e con dignità”.
Fra il covo di Provenzano (scoperto nel 2006) e quello dei Lo Piccolo (2007), una decina di pizzini di Messina Denaro sono finiti all’attenzione dei poliziotti della squadra mobile di Trapani diretta da Giuseppe Linares, da anni ormai impegnato nelle ricerche del superlatitante. Quei pizzini restano le tracce principali. E presto hanno svelato una sorpresa. Non sono stati vergati da Matteo Messina Denaro. Non hanno avuto dubbi i grafologi incaricati dagli inquirenti di confrontare la scrittura dei biglietti con la firma apposta tanti anni fa dal boss su un verbale di polizia. Forse, sarà perché il giovane capo di Cosa nostra ha problemi di vista. O forse, è solo un vezzo. O un’ulteriore cautela. Chi indaga ritiene che Messina Denaro abbia uno scrivano, fedele trascrittore di ordini e riflessioni. Con licenza di apportare, a sua discrezione, le citazioni ritenute più opportune. “Credo di essere diventato il Malaussène di tutti e di tutto”, fu un dotto riferimento. Oppure: “L’unico leader a mia memoria fu Craxi, oggi basta che si faccia antimafia”. E ancora: “Lo dice Toni Negri, la giustizia italiana è marcia e corrotta alle fondamenta”. Chi indaga su questi indizi avanza l’ipotesi che il misterioso scrivano possa essere un professore di Lettere. Messina Denaro continua a restare un fantasma. O quasi. “Lo scopo di quest’ultima attività d’indagine è di isolare il latitante – dice il sostituto procuratore Paolo Guido, che da un anno e mezzo coordina un nuovo gruppo di lavoro per la ricerca di Messina Denaro – il sistema di controllo e di protezione di cui può godere il capomafia appare ancora straordinario ed eccezionale. Su quel versante dobbiamo incidere. E’ la stessa strategia che si è dimostrata vincente per la cattura di Bernardo Provenzano”.Così, scavando nella rete delle complicità e delle protezioni, le indagini hanno scoperto che Matteo Messina Denaro si è rivolto a un trapanese trapiantato da anni a Roma. Il padrino cercava un documento falso. Ed è stata un’altra sorpresa inaspettata. Domenico Nardo gestisce una società che a Roma offre guardie del corpo a veline e personaggi dello spettacolo, la World protection srl, e nel bel mondo della Capitale si muove con disinvoltura. Anche la figlia di Nardo è una starlet, che è stata fidanzata con nomi noti del mondo dello spettacolo. Insomma, lui non è proprio uno di quei personaggi discreti che ogni latitante sogna di arruolare a tutti i costi. Eppure, Messina Denaro si fidava di Mimmo Nardo: le intercettazioni della polizia dicono che trafficava non solo in documenti falsi, ma anche in droga. Chissà a cosa serviva un documento ben fatto a Matteo Messina Denaro. Probabilmente, per viaggiare. Ma verso dove?
(La Repubblica, 16 giugno 2009)

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