giovedì 11 giugno 2009

Ciancimino, indagati 4 politici siciliani

Accuse per Vizzini (Pdl) e gli udc Cuffaro, Cintola e Romano. Il figlio di «don Vito»: presero soldi per favorire gli affari di mio padre
ROMA — L’accusa è concor­so in corruzione aggravata dal­l’aver favorito l’associazione mafiosa. I senatori inquisiti Car­lo Vizzini (Popolo della Libertà, presidente della commissione Affari costituzionali), Salvatore Cintola, Saverio Romano e Sal­vatore Cuffaro (Udc) saranno chiamati a risponderne nei prossimi giorni davanti ai magi­strati della Procura di Palermo che indagano sul cosiddetto «te­soro » di Vito Ciancimino, l’ex sindaco della città condannato per mafia e morto nel 2002. L’inchiesta è scaturita dalle più recenti dichiarazioni del­l’ultimogenito di Ciancimino, Massimo, già condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi di carcere per riciclaggio dei soldi del padre.
S’è definito una capro espiatorio, ha parla­to di altri personaggi ben più importanti di lui coinvolti nel­la gestione dei soldi lasciati dal padre, compresi uomini politi­ci. Di loro si occupava — ha ri­ferito — il tributarista Giorgio Lapis, condannato anche lui nel processo per riciclaggio, di­stribuendo il denaro prelevato dal conto «Mignon Sa» presso la Banca di Ginevra, in Svizze­ra, da un altro imputato con­dannato: l’avvocato Giorgio Ghiron, titolare di studi a New York, Londra e Roma. Secondo quanto raccontato da Massimo Ciancimino, che gli inquirenti ritengono riscon­trato da altri elementi di prova, tra gli «ingenti quantitativi di denaro» elargiti da Lapis per conto di Ciancimino una buona fetta sarebbe finita a Vizzini, ex leader socialdemocratico poi entrato in Forza Italia. Secondo i calcoli degli inquirenti, nel corso del tempo, avrebbe rice­vuto almeno un milione di eu­ro. Tramite la mediazione di Cintola (ex assessore regionale, già inquisito per concorso in as­sociazione mafiosa in indagine archiviata nel settembre 2007, senatore dal 2008), altri soldi sarebbero finiti a Saverio Roma­no e Salvatore Cuffaro; il primo è stato appena eletto al Parla­mento europeo, l’altro è l’ex presidente della Regione, di­messosi dopo una condanna in primo grado per favoreggia­mento, approdato lo scorso an­no a palazzo Madama.
I milioni del «tesoro» di Cian­cimino, in parte già sequestra­to nel 2005 perché considerato di «provenienza mafiosa» vista la condanna riportata da Vito e i suoi rapporti con capimafia del calibro di Bernardo Proven­zano, stavano sul conto «Mi­gnon » e sono serviti a liquidare i soci palesi e occulti della socie­tà «Gas», una sorta di conteni­tore creato dall’ex sindaco do­po la vendita a un gruppo spa­gnolo. Secondo Ciancimino jr., e ora anche secondo l’ipotesi ac­cusatoria formulata dai pubbli­ci ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, a una quota di liquidazione avrebbe avuto di­ritto anche il senatore Vizzini. Di qui i pagamenti a lui e ad al­tri politici che, nella storia rac­contata dal figlio dell’ex sinda­co, sono serviti negli anni pas­sati a «oliare i meccanismi» del­le concessione per la distribu­zione del gas in Sicilia, un affa­re gestito proprio da Ciancimi­no attraverso le sue società. In pratica il denaro veniva da­to ai capi-partito o ai capi-cor­rente dei partiti, che poi aveva­no il compito di agevolare l’ag­giudicazione degli appalti e la concessione dei lavori nei vari centri dell’isola. A riscontro del­le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, ci sarebbero parzia­li ammissioni (seppure con giu­stificazioni diverse e molto me­no compromettenti) dell’anzia­no tributarista Lapis, documen­ti e intercettazioni telefoniche che però, per essere contestate ai senatori indagati, dovranno prima essere trasmesse al Parla­mento insieme alla richiesta di utilizzazione. Qualche mese fa, dopo la pubblicazione di indiscrezioni sul coinvolgimento di Vizzini nell’inchiesta, il senatore aveva replicato con una denuncia per calunnia contro il figlio dell’ex sindaco: «Non conosco il si­gnor Massimo Ciancimino — disse Vizzini —, dal quale dun­que non posso mai avere ricevu­to nulla, così come non ho mai avuto rapporto alcuno con suo padre. Ho però dedicato buona parte della mia vita e della mia attività parlamentare prima a demolire il sistema politico-ma­fioso costruito dal signor Vito Ciancimino, e poi a combattere la mafia e tutti i detentori di pa­trimoni mafiosi». L’onorevole Romano parlò di «vicenda che non ha alcun fondamento».
Giovanni Bianconi
Corriere della sera, 11 giugno 2009

Nessun commento: