lunedì 27 giugno 2011

Verbumcaudo, il bene confiscato e la macchina del fango

Il feudo Verbuncaudo
di Chiara Pracchi
“La mafia non c’entra nulla”. L’importante è mettere subito le cose in chiaro, allontanare i fantasmi. E allora V.M, del Giornale di Sicilia, attacca così il suo pezzo sull’ultimo attentato subito da Vincenzo Liarda, il sindacalista di Polizzi Generosa che da tempo è impegnato a promuovere l’assegnazione di Verbumcaudo, il feudo confiscato nel 1987 a Michele Greco e mai utilizzato.
“La mafia non c’entra nulla – esordisce il giornalista – E non c’entrerebbe nemmeno la criminalità comune”. Resta da chiedersi chi, allora può aver messo la scatola, contenente una candela accesa, delle bottiglie di alcol, della carta e dei pezzi diavolina, nel cofano della macchina di Liarda. Il fatto che il giornalista non dia una risposta a questa domanda non è un bel segno per il sindacalista della Cgil. E in sottofondo pare già di sentir risuonare le note di Don Basilio, che nel Barbiere di Siviglia canta: “La calunnia è un venticello, un auretta assai gentile, che insensibile sottile, leggermente dolcemente, incomincia a sussurrar …”
Così, il giornale, che già in passato si era distinto quale campione regionale di negazionismo, si dilunga sulle “anomalie” dell’attentato: il fatto che il rogo si sia sviluppato in pieno giorno, nel centro di Petralia Sottana, pochi minuti dopo che l’auto era stata parcheggiata, invece che nella campagna appena fuori Polizzi, dove il giornalista erroneamente crede che Liarda viva, costituisce per l’estensore dell’articolo un fatto inspiegabile. Non una preoccupante prova di forza.
“Anche le modalità, secondo gli investigatori, sarebbero abbastanza singolari, almeno per un avvertimento mafioso – prosegue il redattore – Perché oltre al linguaggio, Cosa nostra usa sempre ‘protocolli’ e ‘rituali’ ben precisi, perfino quando si tratta di dar fuoco a un’auto”. Quali protocolli e rituali? “Questo dovrebbe spiegarlo lui a me – esordisce il Maggiore Carrozzo del Nucleo Investigativo di Termini Imerese – E’ vero che non si è trattato né del lancio di una molotov né di un incendio appiccato con del liquido infiammabile sparso sulla macchina, però da qui a dire che non rispecchi i protocolli rituali della mafia … Ciò che posso affermare con sicurezza è che si è trattato di un episodio sul quale occorre seriamente indagare”. Di più il Maggiore non si lascia sfuggire, se non un giudizio non proprio lusinghiero sulla sicumera mostrata dal giornale siciliano, nel momento in cui le indagini sono solo all’inizio.
In attesa di scoprire se il rogo dell’altro giorno può essere considerato l’avvertimento numero otto, può essere utile ripercorrere l’intera la vicenda.
“L’incontro” fra il feudo di Verbumcaudo e Vincenzo Liarda avviene nel 2003, quando Vincenzo è Vice Presidente del Consiglio Comunale di Polizzi Generosa. E’ svolgendo questo ruolo che viene a conoscenza del bene, posto quasi al confine con la provincia di Caltanisetta e confiscato a Michele Greco, dal giudice Istruttore Giovanni Falcone. Da quel momento inizia la sua opera per cercare di recuperarlo e assegnarlo, così come prevede la legge 109. La situazione, però, è complessa. L’ostacolo principale è costituito da un’ipoteca sottoscritta dallo stesso Michele Greco, che negli anni è arrivata a gravare per due milioni e mezzo di euro circa. Il pericolo di vendita all’asta per estinguere il passivo è reale. Per di più, nel marzo del 2008, il giudice civile di Termini Imerese decide di affidare il possedimento in comodato d’uso gratuito alla famiglia Battaglia. Ex mezzadri della tenuta, i Battaglia sono incensurati, ma per nulla desiderosi di restituire allo Stato il feudo, finalmente riunito nelle loro mani.
Il 26 aprile del 2010 Vincenzo riceve la prima lettera intimidatoria con il disegno di due proiettili: “Presidente, lei ha una bella famiglia se la goda il bene di Verbumcaudo lo lasci perdere ci ascolti è un consiglio anche i suoi amici la pensano così attento”.
“La prima volta sinceramente non l’avevo presa sul serio – racconta Vincenzo- perché da noi ricevere lettere di questo genere è normale. Sapevo che altri consiglieri ne avevano ricevute e non avevano neanche denunciato”. Chi invece la prende subito sul serio è il senatore Giuseppe Lumia, che partecipando al Consiglio Comunale di Polizzi fa i nomi delle famiglie mafiose presenti sul territorio delle Madonie: Maranto, David, Privitera, Madonia. Lo fa anche per distogliere l’attenzione da Liarda, senza riuscirci. Da quel momento i due vengono accomunati nelle minacce. Che non tardano ad arrivare.
Il 10 maggio la missiva porta polvere da sparo e il messaggio: “Allora non capisce ultimo avvertimento dato che della sua bella famiglia non ci interessa il contenuto lo divide con il suo amico Lumia bravi.” La punteggiatura, decisamente, non è il loro forte.
Passano solo pochi giorni e un “vero” amico si perita di metterlo in guardia dai pericoli che corre, con una lettera recapitata all’ufficio della Cgil di Polizzi: “Sono tuo amico vero, attento ti vogliono fare la festa. Lascia perdere Lumia e tutto il resto, ti stanno usando. Pensa alla tua famiglia, stai rischiando assai ascolta sanno tutto di te come ti muovi dove vai dove stai. Ripeto ti vogliono fare danno un tuo amico”
Vincenzo non si scoraggia neanche quando danneggiano l’auto di sua moglie e il 15 giugno del 2010, insieme al sindacato e a Susanna Camusso organizzano un’occupazione simbolica del feudo. (raccontata da Narcomafie nel numero di Giugno del 2010)
La lugubre monotonia delle minacce non cessa e ad agosto ha modo di raggiungere una delle sue vette creative. La composizione è poliedrica: i soliti due proiettili con la scritta “ questi sono veri e bastano per farvi stare zitti per sempre”; una foto di Lumia, con una croce disegnata sopra e l’epitaffio “Morte a Lumia e a Liarda”; infine un’immagine di Falcone e Borsellino accompagnata dalla dedica “Non siete così importanti ma solo mezze cannucce (sic) ma vi finirà peggio di loro”. Non fosse chiaro il messaggio, 5 giorni dopo gli tagliano 9 ulivi nella campagna che possiede appena fuori Polizzi. Meglio abbondare, come si suol dire.
E’ a questo punto che il ministro Maroni decide di assegnargli la scorta. La presenza di due carabinieri del luogo, 24 ore su 24, fa praticamente cessare le intimidazioni. L’ultima lettera è del 25 Novembre. Intanto, pur tra mille intoppi burocratici, nel marzo 2011 si raggiunge un accordo con Unicredit per l’estinzione dell’ipoteca, che grava sul feudo, a 440 mila euro. La vicenda viene considerata risolta. Il pericolo svanito. E dall’oggi al domani, con una breve comunicazione ufficiale, gli viene tolta quella scorta che, secondo V.M., gli era stata concessa “sull’onda dell’emotività”. Vincenzo non si lamenta. Forse vorrebbe, ma non può farlo. E’ un uomo delle istituzioni e “nella vicenda di Verbumcaudo – dice – lo Stato ha fatto tutto quello che doveva, scongiurando la vendita del bene”. Ma non appena viene revocata la misura protettiva, il 15 aprile, negli uffici del Senato viene recapitato a mano quello che è forse il messaggio più preoccupate: “Voi ci avete tolto la terra, noi vi toglieremo la vita. Non abbiamo premura, il tempo è nostro amico. Finirà questa attenzione e voi siete soli e morti pezzi di m… Viva la mafia”.
Questo il contesto in cui il Giornale di Sicilia invita a “leggere’ bene anche l’ultimo episodio … per capire cosa si nasconde dietro questa lunga scia di attentati. E se … c’è veramente la mano della mafia o qualcos’altro”. Don Basilio docet.
Narcomafie, giugno 2011

Nessun commento: