venerdì 27 maggio 2011

Il presidente Umberto Santino: "Necessarie nuove indagini sul delitto di Peppino Impastato"

Peppino Impastato
Apprendiamo dalla stampa che negli archivi del Palazzo di Giustizia giacciono materiali riguardanti l’inchiesta sull’assassinio mafioso di Giuseppe Impastato, di cui non siamo a conoscenza. A suo tempo, dopo la conclusione dei processi a Vito Palazzolo e a Gaetano Badalamenti, condannati come mandanti dell’assassinio, abbiamo chiesto, come famiglia Impastato e come Centro Impastato, la consegna, in fotocopia, dei materiali relativi all’inchiesta. Sappiamo che nelle perquisizioni subito dopo il delitto sono stati sequestrati “informalmente”, cioè senza redigere verbale (il che configura un illecito che si doveva segnalare e punire) documenti e materiali vari, libri, giornali, lettere ecc. con cui sono stati riempiti otto grandi sacchi usati per la raccolta dei rifiuti. Molti di questi documenti e materiali non sono stati restituiti alla famiglia e al Centro, e per iniziativa del giornalista Salvo Palazzolo, alcuni di essi sono stati pubblicati sul quotidiano “la Repubblica” del 27 marzo 2011. Successivamente lo stesso giornalista ha fatto avere al Centro questi e altri documenti. Abbiamo saputo che l’8 aprile scorso il sostituto procuratore Francesco Del Bene ha sentito Giovanni Impastato, fratello di Giuseppe. Il Centro, rappresentato da chi scrive, ha avuto un ruolo decisivo nella ricerca della verità; pertanto siamo fortemente interessati a una ricostruzione completa dei fatti e delle responsabilità e chiediamo che le indagini vadano avanti per continuare e portare a compimento un itinerario che già è riuscito a raggiungere alcuni punti fermi. A queste indagini il Centro darà il suo contributo, in linea con un impegno cominciato dallo stesso giorno del delitto.
Il primo punto fermo è la condanna dei mafiosi già indicati come mandanti dell’omicidio, mentre non si è riusciti a condannare gli esecutori. Essi sono stati individuati nelle persone dei mafiosi Nino Badalamenti e Francesco Di Trapani, uccisi nella guerra di mafia degli anni ’80, mentre un terzo, Salvatore Palazzolo, detto Turiddazzu, non si capisce perché non sia stato portato in giudizio. Il secondo punto fermo è la relazione della Commissione parlamentare antimafia sul depistaggio delle indagini, approvata a larga maggioranza nel dicembre 2000, che il Centro ha fatto pubblicare dagli Editori Riuniti nel volume: Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, nella prima edizione del 2001 e nella seconda edizione del 2006. Nella relazione si ricostruisce il ruolo della magistratura e si fa riferimento all’operato del procuratore capo Gaetano Martorana. La stessa mattina del 9 maggio 1978, poche ore dopo il reperimento dei resti del corpo di Giuseppe Impastato, il procuratore inviava al procuratore generale di Palermo un fonogramma in cui si legge:
«Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda – Morte di persona allo stato ignota, presumibilmente identificata in IMPASTATO GIUSEPPE, nato a Cinisi il 15.01.1948. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978, persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale IMPASTATO Giuseppe, in oggetto generalizzato, si recava a bordo della propria autovettura FIAT 850 all’altezza del Km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore». Il fonogramma del procuratore Martorana è all’origine del depistaggio, indicando la falsa pista dell’attentato, subito dopo seguita dall’allora maggiore Subranni, poi promosso generale. E poco dopo, durante un’ispezione nella casa della zia Fara, dove abitava Giuseppe Impastato, veniva trovata la lettera in cui scriveva che voleva “abbandonare la politica e la vita”, e il cerchio in tal modo si chiudeva: l’attentatore era un suicida. Così si voleva far passare Giuseppe Impastato, cancellando il suo decennale impegno contro la mafia. La lettera fu trovata dal sottufficiale dei carabinieri Carmelo Canale, cognato del maresciallo Antonino Lombardo, e consegnata al “Giornale di Sicilia” che ne pubblicò ampi stralci. Così si diffuse la convinzione che si trattasse di un attentato compiuto da un suicida.
Desidero ricordare che per smantellare questa montatura, condivisa da quasi tutti i magistrati, con pochissime eccezioni, il procuratore Gaetano Costa e il consigliere istruttore Rocco Chinnici soprattutto, e dalle forze dell’ordine, dai carabinieri di Cinisi agli ufficiali della Legione, abbiamo dovuto impegnarci, spesso nel più completo isolamento, per lunghi anni, scontrandoci con la decisa volontà di tanti di oscurare la verità, che è riuscita a farsi strada con grande ritardo. Tra coloro che si sono distinti per la protervia nel sostenere, anche quando era stata smascherata, la tesi dell’attentato terroristico, desidero segnalare il maggiore dei carabinieri Tito Baldo Honorati, successivamente promosso generale, che il 20 giugno del 1984, a sei anni dal delitto e dopo la sentenza istruttoria del maggio precedente che affermava inequivocabilmente che si trattava di un omicidio ad opera della mafia, anche se restavano ignoti mandanti ed esecutori, scriveva:
«Le indagini molto articolate e complesse svolte all’epoca da questo Nucleo operativo hanno condotto al convincimento che l’Impastato Giuseppe abbia trovato la morte nell’atto di predisporre un attentato di natura terroristica. L’ipotesi di omicidio attribuito all’organizzazione mafiosa facente capo a Gaetano Badalamenti operante nella zona di Cinisi è stata avanzata e strumentalizzata da movimenti politici di estrema sinistra ma non ha trovato alcun riscontro investigativo ancorché sposata dal Consigliere Istruttore del tribunale di Palermo, dr. Rocco Chinnici a sua volta, è opinione di chi scrive, solo per attirarsi le simpatie di una certa parte dell’opinione pubblica conseguentemente a certe sue aspirazioni elettorali come peraltro è noto, anche se non ufficialmente ai nostri atti, alla scala gerarchica. Lo stesso Magistrato peraltro, nell’ambito dell’istruttoria formale condotta con molto interessamento, non è riuscito a conseguire alcun elemento a carico di esponenti della mafia di Cinisi tanto da concludere con un decreto di archiviazione per delitto ad opera di ignoti».
Il testo è riportato nella relazione della Commissione parlamentare antimafia, alle pagine 178 e s. della prima edizione del volume Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio e alle pagine 180 e s. della seconda edizione.
Rocco Chinnici, una delle figure più integre della magistratura italiana, lo stratega della lotta alla mafia con la creazione del pool, era stato ucciso il 29 luglio del 1983, non aveva mai avuto aspirazioni elettorali di nessun genere e questo personaggio, vestito con la divisa di pubblico ufficiale, si permetteva di infangarne la memoria con affermazioni calunniose, assolutamente gratuite. Personaggi come questo sono stati premiati con la promozione in carriera mentre avrebbero meritato l’estromissione dall’Arma.
Tra i documenti acquisiti ci sono degli appunti, dal titolo Alcune domande, a firma di un “Centro Informazione Democratica”, in cui si parla di incontri di uomini delle forze dell’ordine con esponenti fascisti e di rapporti redatti in collaborazione tra loro. Dalla documentazione non risultano accenni alle voci sulle confidenze di Gaetano Badalamenti alle forze dell’ordine. Tali voci sono state diffuse anche in relazione alle vicende del maresciallo di Terrasini Antonino Lombardo, che più volte si sarebbe recato negli Stati Uniti per incontrare il capomafia detenuto in seguito alla condanna riportata nel processo alla cosiddetta Pizza Connection. Com’è noto, il 4 marzo 1995 il maresciallo Lombardo si è suicidato nella caserma Bonsignore di Palermo. Su queste vicende non si è mai fatta adeguata chiarezza.
Giuseppe Impastato indagava su questi rapporti e queste conoscenze hanno contribuito alla decisione di eliminarlo fisicamente e moralmente, seppellendolo sotto il marchio di terrorista? Questa è la domanda a cui si deve rispondere riprendendo le indagini volte a chiarire il ruolo che hanno avuto rappresentanti delle istituzioni ed altri soggetti nell’orchestrare e commissionare il delitto camuffandolo da atto terroristico.
C’è poi la vicenda dei carabinieri Salvatore Faldetta e Carmine Apuzzo uccisi ad Alcamo marina il 27 gennaio 1976. Tra le carte c’è un volantino a firma “Lotta continua” del 31 gennaio 1976, in cui si parla delle indagini a senso unico, una volta scartata la pista mafiosa, indirizzate a colpire i militanti della “Sinistra rivoluzionaria” e del Partito comunista, con le perquisizioni delle loro abitazioni. Tutto questo, “in una zona che è, senza ombra di dubbio, campo d’azione incontrastato della mafia: sofisticazione del vino (Partinico), traffico degli stupefacenti (Cinisi, Alcamo) speculazione edilizia mascherata da sviluppo turistico (Cinisi-Terrasini), sequestri di persona (Alcamo-Salemi), taglieggiamenti ed estorsioni a danno di ditte appaltatrici di lavori pubblici, controllo del collocamento della forza lavoro e degli enti locali, imposizioni di ogni genere, lotte tra cosche e una valanga di miliardi ricavati da loschi intrallazzi, riciclati e immessi nel traffico degli stupefacenti”. Com’è noto, recenti dichiarazioni di un ex carabiniere hanno rivelato che le confessioni delle persone incriminate e condannate sono state estorte con la tortura e si è riaperta una pagina che veniva considerata definitivamente chiusa. Anche queste vicende sono collegate con l’attività di inchiesta e di controinformazione svolta da Giuseppe Impastato e dal gruppo politico in cui militava.
Su queste e altre eventuali vicende il Centro chiede che si faccia la chiarezza necessaria e ribadisce che collaborerà attivamente a tutte le iniziative che mirino seriamente all’accertamento della verità.
Umberto Santino
Presidente del Centro Inpastato - Palermo

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